Denti da squalo, recensione: l’esordio di Gentile spalanca la porta al futuro tecnologico
Denti da squalo, recensione
L’estate non è mai andata troppo d’accordo con il cinema italiano. Si parla di un periodo in cui le distribuzioni nel nostro Paese si arrendono al caldo, alla necessità della spiaggia e del mare, svuotando tutte le sale cinematografiche. Eppure, c’è chi quella sfida ha voluto vincerla raccontando una fiaba estiva, bramosa di fuga e di crescita, un romanzo di formazione che finisce per mostrarci la crescita di un personaggio che, ancora una volta, si ritrova invischiato nella criminalità tipicamente italiana, anzi romana.
Denti da squalo, esordio su un lungometraggio per Davide Gentile, parte dalla volontà di esprimere, dall’8 giugno solo al cinema, il desiderio di crescita di Walter, un 13enne cresciuto col disagio di un padre morto prematuramente. A interpretarlo è un giovanissimo Tiziano Menichelli, al suo esordio, affiancato dalla madre Rita, una precisa e appassionata Virginia Raffaele, spogliata della sua vena da imitatrice e calata in una parte di cuore, di pancia, fatta di urla e di reazioni materne. Entrambi non sanno come affrontare quel lutto che li ha colpiti, dopo che Antonio (Claudio Santamaria, proposto solo nei flashback e nei colloqui onirici col figlio) li ha lasciati da soli. L’unica possibilità che ha il giovane Walter è quella di approcciare un giovane Carlo (Stefano Rosci, anche lui esordiente) e aiutarlo a fare da custode alla villa del Corsaro, un ispirato Edoardo Pesce munito di zoccoli ai piedi. Sarà qui che il ragazzino inizierà a fraternizzare con l’altro protagonista del film, uno squalo tenuto all’interno di una piscina e al quale bisogna provvedere e dare da mangiare.
Lo squalo che non fa più paura
Ci sono tante allegorie, tanti simboli in quello squalo che Davide Gentile ci propone nel suo film d’esordio. C’è il desiderio di mettere in bocca al Corsaro delle parole dure, che facciano capire quanto nella vita criminale è necessario rimanere all’erta e quanto, invece, bisogna essere bravi a capire di doversi fare da parte, di doversi tirare indietro in determinate situazioni. Allo stesso tempo, però, la sceneggiatura di Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, che nel 2014 avevano vinto il Premio Solinas proprio con questo lungometraggio, riesce a concentrarsi sul dramma familiare di Walter, desideroso, in maniera incosciente, di diventare come suo padre, fino a quella maturazione che lo porterà a domandarsi che fine dovrà fare quello squalo.
Walter è un personaggio maturo, in grado di dire che suo padre non è stato un eroe, ma un coglione. Lo fa con consapevolezza, così come con arroganza affronta tutte le situazioni malavitose dinanzi alle quale si ritrova. C’è una grande attenzione agli scambi anche con Tecno, il giovane boss criminale che proverà a indirizzare Walter su una strada non adeguata, ma allo stesso tempo c’è cura e premura nel mettere insieme delle situazioni registiche che richiedono l’intervento di una potente CGI nella realizzazione dello squalo. La tecnica usata è quella che prevede una commistione con un animatronic, così da poter mettere in piscina qualcosa di tangibile per il giovane Walter, ma di visibile anche per la troupe, che ha dovuto lavorare in parte con qualcosa di inanimato. Quasi una grande novità per l’Italia e il suo cinema.
L’estate in cui imparai a crescere
Denti da squalo finisce per essere un film di formazione nel momento in cui Walter compie il proprio percorso, ma lo fa anche Carlo, che da ragazzo squinternato arriva a essere un compagno fedele, conscio del fatto che può fidarsi di chi prova a stargli accanto, nonostante lui sia sempre cresciuto in cattività. Quasi come lo squalo. Walter rivede suo padre in quella bestia, lo approccia come se fosse il genitore scomparso e prova a dargli tutto ciò che può, con l’attenzione quasi paterna che avrebbe voluto ricevere lui da Antonio. È un bailamme di sentimenti ben intrecciati, perché dopotutto la sceneggiatura non ha molto di originale di offrire, soprattutto a fronte del fatto che è una storia di un decennio fa, figlia di altre epoche e di altri modi di raccontare, ma Gentile riesce a raccontarla nel modo giusto. Ancora una volta è il come e non il cosa ad avere la meglio e finiamo per trovarci dinanzi a un film con la giusta dose di contributo tecnico e anche con la dovizia di chi dietro la camera da presa ci sta stare. Supportato, inoltre, dalla produzione di Gabriele Mainetti, qui per la prima volta nelle vesti di produttore e intenzionato a far sì che tutto possa funzionare per il meglio: è la sua presenza che assicura al cast l’intervento di Virginia Raffaele, di Claudio Santamaria, di una certa attenzione sul prodotto nonché a una direzione ben precisa, che però non va mai a pestare i piedi al regista, padrone indiscusso del suo set.
Chiudiamo con un’ultima riflessione: potrebbe quasi sembrare, in alcuni punti, che Denti da squalo voglia raccontare l’ennesima storia di criminalità à l’italiana. Sebbene in alcuni punti il timore sfocia proprio in realtà, nel complesso ci sono dei momenti che riescono a evadere da questi aspetti e quasi a ridicolizzare quella scuola criminale che vuole essere la fittizia Roma che Davide Gentile si è inventato. Tecno ci prova, Walter lo smonta, Carlo pensa che sia l’unica soluzione, il suo carattere lo spinge a capire che non funziona così; la stessa Rita fa in modo di far capire a suo figlio che non è la storia di Antonio il copione da seguire, non è Claudio Santamaria l’esempio. Si finisce per demistificare le condizioni mai agevoli di chi decide di essere squalo, che nel momento in cui smette di fare paura va solo soppresso.
Il tutto supportato da una colonna sonora che porta la firma di Gabriele Mainetti, che oltre al ruolo di produttore si prende l'incarico di supportare la messinscena con un suo accompagnamento musicale, realizzato insieme a Michele Braga, autore già delle colonne sonore di Generazione 56K, la prima serie dei The Jackal, e di Guida astrologica per cuori infranti, che lo aveva visto impegnato in un genere diametralmente opposto a Denti da squalo.