Arrogante ma irresistibile: Diciannove è l’esordio italiano di un regista da tenere d’occhio

L’esordio alla regia di Giovanni Tortorici è un film sorpredente, che non ha paura di risultare antipatico ma che, nonostante la ristrettezza dei mezzi, rivela già più di un talento. A partire da quello del regista.

Arrogante ma irresistibile Diciannove è lesordio italiano di un regista da tenere docchio

Bello e arrogante, consapevole d'esserlo, persino un po’ compiaciuto, d'esserlo. Diciannove può risultare indigesto, ma non passa inosservato, specie considerando che alla scrittura e alla sceneggiatura c’è un esordiente italiano. A metterlo sotto i riflettori ci ha pensato il suo angelo custode: il film infatti è prodotto dalla Frenesy di Luca Guadagnino, che era al suo fianco in sala a Venezia per la prima mondiale della pellicola. Molto più che un sostegno economico: Diciannove brilla anche grazie a nomi come il montatore Marco Costa e al direttore della fotografia Massimiliano Kuveiller, collaboratori di Guadagnino che il regista mette al fianco della giovane proposta. Con la loro bravura, ovviano in parte ai limiti imposti dai mezzi economici molto limitati con cui la pellicola è prodotta.

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Le ristrettezze produttive però, in un certo senso, si ben si sposano con il tema del film, che si potrebbe brutalmente sintetizzare come una sorta di I dolori del giovane fuorisede. Un racconto personale che non sorprende abbia attirato questo protettore, dato che Diciannove ricorda da vicino i primi film italiani di Guadagnino, quando era un giovane siciliano abbastanza spavaldo da avvicinare Tilda Swinton e convincerla a fare un film con lui. Quando era ancora legato a doppio filo all’isola della sua gioventù,tanto da percorrerne e raccontarne i locali notturni.

Tortorici quel legame siciliano lo rescinde a inizio film, cercando fortuna e sé stesso altrove. Diciannove racconta romanzandoli i suoi anni universitari, attraverso l’alter ego di Leonardo, in cui non difficile vedere in chiaro scuro, da subito, il carattere a tinte e contrasti forti di chi scrive una sceneggiatura sferzante, mai ingentilita, intrisa dei modi di fare e di dire di un giovane che viaggia tra Londra, Siena e Roma e si porta dentro un certo modo di fare ed essere italiano, Oltre a certi pazzeschi capi di abbigliamento che urlano davvero “studente squattrinato fuorisede” (l’incredibile felpa blu con il logo dell’acqua Norda, la maglietta del CONI).

Diciannove: i dolori e la frenesia del giovane fuorisede

La forza del suo racconto sta nella lettura nettissima, talvolta giudicante, che dà dell’ambiente e delle persone che popolano le stanzette in affitto abitate da Leonardo. Si uscirebbe abbastanza disgustati dalla sguardo sprezzante con cui vengono raccontate le due coinquiline senesi, ree di essere carnivore e più piagiamate della sorella del ragazzo, se non fosse che con lo stesso acume sferzante Tortorici racconta il suo alter ego, ovvero il giovane sé stesso.

Quella vissuta da Leonardo è una post adolescenza fatta degli assoluti della gioventù mescolati a incongruenze e colpi di testa sempre a un passo dal disastro. Sul finale del film finalmente qualcuno riesce a tenergli testa e a inquadrarne la strana frenesia: se non si fosse incaponito sullo studio ossessivo di Dante e dei poeti rinascimentali italiani, questa sua strana ossessione avrebbe potuto condurlo nella strada imboccata dai giovani kamikaze talebani, sentenzia l’intellettuale torinese che lo ospita per una cena, beffardo ma sincero.

Arrogante ma irresistibile: Diciannove è l’esordio italiano di un regista da tenere d’occhio

Diciannove distilla la frenesia di un ragazzo che cerca la sua strada, percorso da vampate di desiderio e irrazionalità. Leonardo sta ancora incanalando e mettendo a fuoco i suoi talenti, i suoi interessi artistici e amorosi, il suo futuro. Intorno a lui ci sono uno spaccato di amici e parenti visti con grande lucidità, con tutto il futuro davanti ma già insoddisfatti, incasellati in una sorta di morsa sociale che sembra già scattata, ma al rallentatore. Leonardo invece corre velocissimo, sfugge alla trappola, continua a cercare la sua meta. Alla fine la distanza tra chi studia medicina e cucina il ragù per ore e la cugina che mangia solo uno yogurt specifico e non concepisce di rimanere a casa la sera non è poi così siderale e distanziarsi da tutto questo richiede solitudine, sacrificio, arroganza e persino andare in posti poco piacevoli della propria mente. 

Leonardo vorrebbe tirarsene fuori e per farlo, per rimanere fedele a sé stesso, non fa che sbattere contro estremi: da quello della sua alimentazione a quello della sporcizia della sua stanza, da quello dello studio matto e disperatissimo su antichi tomi comprati su eBay a quell’idea carezzata ma poi rifuggita di prostituirsi per arrotondare la generosa mancia materna. Tutto per potersi tuffare di testa nella sua conoscenza di sapere senza fondo, o forse con un fondo disperazione che ancora non riesce a quietare, a incanalare, perché non ha nemmeno vent’anni e non riesce a non essere incredibilmente abrasivo e saccente, tranne quando è così fragile da commuoversi ascoltando Giannini che legge Cavalcanti su YouTube.

Federici si compiace dei suoi mezzi registici, facendo spesso capolino nelle soluzioni smaccatamente visibili della sua regia. Tuttavia è un approccio che funziona e ha meno ingenuità e scivoloni di quanto ci si aspetterebbe da un esordiente. Non tutto il cast è propriamente all’altezza della sfida (qualcuno fatica a uscire dai confini della recitazione amatoriale) ma Diciannove rivela un altro notevole talento: quello del protagonista Manfredi Marini, che esplora con grande naturalezza e carisma le contraddizioni di Leonardo. I tanti primi piani in cui gli leggiamo in faccia il prisma di emozioni che vive, le frustrazioni che spesso esterna in maniera tortuosa e indiretta, non fanno davvero pensare a un secondo esordiente assoluto, stavolta davanti alla cinepresa.

Arrogante ma irresistibile: Diciannove è l’esordio italiano di un regista da tenere d’occhio

L’irruenza, la specificità anagrafica e geografica di certi scambi (mai avrei pensato di sentire in un film espressioni quali “porco il clero” generosamente intercalate nei dialoghi tra i protagonisti) e la prospettiva talvolta ombelicale della storia non lo faranno amare da tutti, anzi. Per molti aspetti è più facile apprezzarlo se si ha un’età simile a quella del regista o se si hanno storie di disappori con i conquilini nel proprio passato da fuorisede universitari. Sono però limiti più che riassorbibili dentro l’etichetta di esordio, che è un po’ come avere diciannove anni da registi: Tortorici a tutto il tempo davanti a sé di decidere se essere più contenuto, più cauto, più mediato nel suo racconto e nel suo raccontarsi o se di trasformare la verve dell’esordio nel marchio stilistico del suo cinema.

Diciannove

Durata: 109'

Nazione: Italia

7

Voto

Redazione

TISCALItestatapng

Diciannove

Diciannove è un esordio registico raramente entusiasmante nel panorama asfittico italiano, che racconta con grande energia e discreta efficacia l’ingresso nell’età adulta e l’irrequietezza per quella adolescenza, quell’innocenza che scivola di dosso mettendo i brividi. Il corpo e la mente ogni tanto vanno fuori controllo: il film non a caso si apre con il protagonista svegliato da una piccola epistassi, inspiegabile. Così come quegli sbalzi d’umore, quella bussola che gira vorticosa senza riuscire a trovare una strada degli anni universitari irrequieti, confusi, ma allo stesso tempo, a posteriori, rivelatori. Come forse considereremo, tra qualche anno, questo film.

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