Dolittle
Dolittle, nelle sale italiane dal 30 gennaio, è un cognome che molti ricorderanno sia per i romanzi da cui prende vita; sia per i film che in passato hanno ripreso l’idea di un dottore in grado di parlare con gli animali. La pellicola che Stephen Gaghan ci propone, ripercorre alcune delle avventure che hanno coinvolto John Dolittle all’interno della serie di romanzi dello scrittore britannico Hugh Lofting.
Siamo nella Londra vittoriana, e il celebre veterinario John Dolittle (Robert Downey Jr.) vive isolato dal mondo da quasi sette anni. Successivamente alla perdita della moglie, ha deciso di vivere solo in compagnia degli animali che stava già aiutando, perché convinto che gli uomini portino con se un dolore troppo grande che non vale la pena di vivere. Le cose iniziano a cambiare quando, un giorno, nella vita del dottore entra Tommy Stubbins (Harry Collett), un giovane ragazzo che non si trova a suo agio tra le mura domestiche perché circondato da cacciatori. Subito dopo il suo arrivo, la presenza di John Dolittle viene richiesta dalla Regina d’Inghilterra in persona (Jessie Buckley), la giovane reggente si è ammalata gravemente quindi è necessario l’aiuto del dottore di cui si fida maggiormente. Per poter salvare la Regina, con l’aiuto di quello che adesso è il suo nuovo aiutante, il dottore si mette in rotta per un’isola misteriosa e remota ripercorrendo la rotta che gli ha portato via la moglie.
Il modo con cui il dottore si avvale dell’aiuto degli animali per le sue diagnosi o le sue azioni è molto ironico e divertente. La regia fa un ottimo lavoro con la fruizione delle traduzioni, infatti, la comprensione della lingua animale non è data per scontata come potrebbe essere una qualsiasi capacità innata. Dolittle nelle prime scene parla con il gorilla in “gorillese”, non lo comprende o risponde nella propria lingua, creando l’idea di un linguaggio vero e proprio che è possibile apprendere attraverso lo studio.
La sua non è una capacità a lui esclusiva, infatti successivamente viene mostrato allo spettatore come lui abbia in passato teorizzato sull’esistenza di una grammatica animale; e il suo assistente inizierà a comprendere i vari linguaggi convivendo con le varie specie e analizzandole. Dall’altra parte si vede come, invece, un pappagallo riesca a migliorare il proprio modo di parlare inglese per rivolgersi agli umani che non comprendono ancora le varie lingue del mondo animale. Visivamente in alcuni tratti del film si ha l’impressione di aver già visto i movimenti dell’attore o le sue successive azioni.
Sembra quasi che la pellicola prenda ispirazione da altri film e, in particolare, le movenze di Robert Downey Jr. sembrano quelle di Johnny Depp in “Alice Through the Looking Glass” (Alice attraverso lo specchio); il Cappellaio Matto ammalato e triste vestito e rimesso apparentemente in sesto dagli animali viene immediatamente richiamato alla memoria dello spettatore.
Appare fin da subito chiaro quanto il target del film sia un pubblico molto giovane, ma la trama arzigogolata pecca in più punti di imprecisione e di buchi. I dialoghi, o le scene in generale, sono mirate all’ilarità facile; giocando sulle classiche scenette in grado di far sorridere sì, ma che in realtà hanno un contenuto spicciolo.
Le tecniche di grafica appagano molto l’occhio perché sono in grado di non storpiare le movenze di un animale nell’articolare le parole appartenenti al dialogo umano, ma allo stesso tempo riescono a creare l’illusione del verso dell’animale. Risultano abbastanza organici le espressioni e i movimenti della muscolatura forse proprio al fatto che dovrebbero aver usato un’animazione in computer grafica e non la più recentemente usata motion capture.