Dreams è il bellissimo Chiamami col tuo nome norvegese: la recensione del film vincitore dell'Orso d'oro
È dai tempi del classico di Luca Guadagnino che un coming of age (queer) non è in grado di scaldare e spezzare il cuore con questa intensità: Dreams è un gioiello. La recensione.
La protagonista di Dreams è una studentessa del liceo che s’innamora improvvisamente, perdutamente della sua insegnante di francese. L’esperienza di Johanne è comune e lontano dall'essere sorprendente, ma il film che la racconta è l’esatto opposto, perché di rado al cinema si vedono una pellicola in grado di catturare con questa intensità, con questa efficacia un’esperienza universale e irripetibile.
Cosa rendere il primo amore unico e differente dagli altri, si chiede il norvegese Dag Johan Haugerud, facendosi forte di un ricordo vivido della sua esperienza personale ma anche del filtro degli anni passati da quel momento. Dreams è il capitolo di mezzo della sua trilogia sui sentimenti ma si muove su un livello completamente differente e di molto superiore rispetto ai precedenti Love e Sex. È la classica quadratura del cerchio, una pellicola in cui tutto va per il migliore dei versi e oltre a grande cinema, regala una grande catarsi emotiva.
Il primo amore impatta anima e corpo
È evidente come ci sia molto del vissuto personale del regista e autore. Lo si capisce dai piccoli dettagli con cui cattura come questo innamoramento manifesti la sua potenza sulla mente e persino sul corpo della protagonista. Dreams non è mai melodrammatico o eccessivo, ma chi l’ha creato ricorda molto bene una caratteristica propria di quell’età: quanto ogni esperienza sia totalizzante. Johanne (Ella Øverbye) è dapprima travolta da un bisogno assoluto di segretezza, poi da una sottile malinconia colta anche da chi le sta attorno, poi se ne rimane a letto per giorni, quasi immobilizzata e febbricitante rispetto a un sentimento che fatica a metabolizzare.
Il film scrive pagine bellissime, letteralmente, perché il suo regista fa scrivere a Johanne una sorta di diario. È uno sfogo, un canale per scaricare l’enorme quantità di energia che l’innamoramento provoca. La voce di Johanne ci accompagna tra le righe di quello che via via diventa un vero e proprio romanzo, con pagine scritte di grande suggestione, grande precisione, brutale onestà con cui disseziona i continui sbalzi del suo sentimento. Passaggi in cui è impossibile non ritrovarsi: quando per esempio desidera disperatamente vedere l’oggetto del suo desiderio ma al contempo la sua visione le scatena la paura che la sua cotta sia evidente e quindi si ritrova a desiderare ardentemente di vedere e non vedere allo stesso momento la sua insegnante. Dag Johan Haugerud scrive in maniera così ispirata che - come avveniva per Il gioco del destino e della fortuna di Hamaguchi - ci si rammarica che questo romanzo non esista veramente.
Il filtro della scrittura rende il film ancora più complesso e intrigante. Man mano che Dreams scorre è evidente come Johanne acquisti padronanza nel mezzo, pur essendo ai primi passi come scrittrice. La pellicola come le sue pagine diventa più sfumata, ambigua, giocando con le aspettative del lettore/spettatore. Siamo però confinati in una prospettiva debole, doppiamente debole. Johanne infatti è la scrittrice che può decidere cosa dire e cosa tacere, ma al contempo è una giovane senza esperienza che si relaziona a un’adulta che al contrario ha sicuramente più dimestichezza, più controllo.
Johanne andrà alcune volte a casa di lei, sognerà di fare delle cose e alluderà ad altre, ammettendo a un certo punto di aver variato, cambiato, modificato. Questo fa di lei una vera, talentuosa scrittrice ancor prima che senta il bisogno di far leggere a qualcuno la sua storia. Alla fine toccherà alla nonna farlo e qui Dreams spicca il volo e diventa una pellicola più che ottima, davvero speciale. La doppia prima volta di Johanne - quella da innamorata e quella da scrittrice - da sola sarebbe più che abbastanza per un ottimo film.
Il primo amore da una prospettiva multigenerazionale
Dreams è ancor più speciale perché ci fa esplodere un arcobaleno di sfaccettature passando questo spunto attraverso il prisma di un racconto tutto al femminile e multigenerazionale. Johanne fa leggere il racconto alla nonna. La donna, scrittrice a sua volta. poi lo passa alla madre della ragazza, intessendo una serie di reazioni e relazioni tra le tre che portano il film a un livello ancora superiore. Dreams parla del primo amore da tantissime prospettive, persino quella poco battuta del bisogno di essere amati in tarda età, anche quando ci si sente indipendenti, felici.
C’è la sottile gelosia per la giovane età e il talento della nipote, c’è l’allontanarsi e il riavvicinarsi tra madre e figlia. Ci sono talmente tante emozioni impattanti che Johanne reagisce sorpresa quando la madre le parla con dolcezza del suo risveglio queer: a considerare la sua cotta da questa prospettiva nemmeno ci è arrivata, sta ancora metabolizzando ciò che è successo tra lei e l’insegnante. Ancor di più ciò che non è successo.
A tutte e tre le sue protagoniste Dreams dedicata grande attenzione, cogliendo l’evoluzione della loro reazione allo scritto, fotografandone le piccole contraddizioni rivelatorie, facendole confrontare sull’amore e la genitorialità, certo, ma anche su Dio, sulla morte, sul femminismo. Il tutto con uno stile di regia asciutto, pulito, minimale, che mette in evidenza la bravura degli interpreti.
Nelle fasi finali del film Dag Johan Haugerud si concede un momento di lirismo e poesia dando alla nonna di Johanne un momento coreografico di danza. È un passaggio bellissimo e commovente, che coglie in pieno quanto possa essere dolorosa la mancanza di un sentimento ricambiato, il bisogno di essere desiderati, toccati. Una scena realizzata su una lunghissima scala la cui forza emotiva fa il paio con quella in cui la madre affronta l’insegnante e poi la stessa, in maniera piuttosto sottile, prende le distanze dalla protagonista, usando la sua capacità di adulta di ferire, battere in ritirata, minimizzare.
Sono tanti i passaggi che meritano una menzione di un film che gestisce con grande realismo un’intensità che per sua stessa natura non può che avere breve durata ma che cambia per sempre chi l’ha provata. Nel finale del film Johanne stessa fatica a entrare in contatto con la sé stessa di qualche mese prima, con il romanzo che ha scritto. Il libro però rimarrà per sempre e non potrà essere rielaborato come il suo ricordo di quell’esperienza, un tempo centralissima, qualche mese già più sfumata, meno ossessiva.