Estranei è una pugnalata al cuore, ma vale la pena soffrire per questo grande film: la recensione
Ci sono film che fanno male: Estranei è uno di questi, ma è talmente bello e importante che vale la pena di affrontare il dolore che racconta e suscita.
Estranei incarna tutto ciò che rifugge chi va al cinema per distrarsi e passare un paio di ore di divertimento e allegria. Il commento più comune tra quanti l'hanno visto riguarda appunto la tristezza, il dolore che fa provare a chi lo guarda. Tanto che viene da chiedersi: ne va la pena? Un film dovrebbe far soffrire così tanto lo spettatore? Nel caso di All of Us Strangers, è utile concentrarsi su cosa sia questo dolore: un prodotto di scarto, il compimento parziale di un riconoscersi catartico nell'esperienza del protagonista della pellicola.
Il regista Andrew Haigh non sta cercando a tutti i costi di farci piangere, non è interessato a un sentimentalismo che usa la tristezza come mezzo ricattatorio per suscitare un’emozione nel suo pubblico. Al contrario, va a toccare delle corde così profonde dell’esistenza umana che la reazione è quella di chi viene sfiorati su un nervo scoperto, pulsante. Contrariamente a quanto possa suggerire il suo titolo, Estranei è intimamente familiare al pubblico adulto, su più livelli. Ne racconta i sentimenti difficilmente esprimibili a parole, ma diffusi nell’esperienza umana contemporanea, in chiave metropolitana.
Laddove le parole falliscono, c’è l’immagine cinematografica. Oltre che a essere uno sceneggiatore dotatissimo, Haigh è assolutamente in grado di evocare atmosfere e sensazioni con la sua costruzione dei fotogrammi, delle scene. Il film si apre con una scena strepitosa, che racchiude tante delle suggestioni di Estranei. La vedete in testata: Andrew Scott osserva un tramonto infiammare il panorama metropolitano di Londra e noi osserviamo lui, a petto nudo, lo sguardo triste, fuso a questa visione che rimbalza e si riflette sul vetro del suo appartamento.
Estranei è tutto lì: è la storia di un uomo solo su cui si riflettono ricordi e sensazioni fortissime, che infiammano il suo animo di desideri che non può realizzare.
Solitudini londinesi
Estranei si sviluppa in gran parte in un condominio appena costruito e ancora sfitto ai margini di Londra. Visto da fuori, dalla strada, si nota facilmente come solo due finestre siano accese, solo due appartamenti siano abitati. Uno è quello di Adam (Andrew Scott), sceneggiatore televisivo che vive una vita molto appartata.
Una sera, in ascensore, incontra l’unico altro abitante del palazzo. Il misterioso vicino di casa si chiama Harry (Paul Mescal). Più giovane e audace di lui, si presenta poco dopo al suo pianerottolo, brillo, chiedendogli di entrare. Pur essendo a sua volta omosessuale, Adam si nega, chiude la porta: non è emotivamente pronto.
Sono giorni infatti che il ricordo dei suoi genitori lo visita, lo assedia. Tanto da prendere il treno, tornare alla sua casa natale, osservarla da fuori, abitarla di nuovo nella sua mente. Adam è attratto dalle presenze dei genitori simili a fantasmi, dal dialogo impossibile con la madre e il padre che non hanno avuto modo di conoscerlo adulto. Ora che ha la loro età vorrebbe conversare, confrontarsi con loro. Harry però non demorde e diventa la sua ancora al presente: essendo più giovane di lui, ha un approccio differente al proprio orientamento sessuale, alla propria famiglia, tanto da affrontare con delicatezza i traumi di Adam. C’è però un altro tipo di dolore, un’altra solitudine, più insidiosa, che si nasconde nella sua vita.
Mille strati di solitudine
Estranei è una storia di fantasmi, ispirata all’omonimo romanzo dell’autore giapponese Taichi Yamada scritto nel 1987 e trapiantata nel vissuto di Haigh. È lo sceneggiatore e regista a metterci l’ambientazione londinese e la caratterizzazione queer, ma la vena autobiografica e molto personale del film si spinge più in là. Molto più in là. La casa a cui Adam ritorna infatti è proprio quella dell’infanzia di Haigh, che un po’ mette in scena i ricordi di bambino del protagonista, un po’ fa rivivere i suoi.
Razionalmente questo lo spettatore non lo può sapere, ma in Estranei c’è quella vibrazione tipica delle storie che da qualche parte, sotto spoglie appena differenti, sono accadute nella realtà e vivono ancora nei ricordi di un’artista. È un film profondamente personale e per questo, anche non essendo uomini, omosessuali, inglesi e scrittori, si rimane talvolta abbagliati da una pagliuzza dorata di esperienza condivisa. Certo siamo di fronte a un film queer, ma ancora di più a un racconto profondissimo di una millefoglie di solitudini. Alcune le possiamo afferrare, alcune ci toccano nel personale, altre ci rimangono estranee, ma non per questo lasciano indifferenti.
Estranei è efficacissimo nel raccontare la sua comunità di riferimento e il suo mutare generazionale. Attraverso la relazione tra Adam e Harry diventa palese come alcune delle componenti fondative dell’esperienza di una persona queer cresciuta negli anni ‘80 e ‘90 si siano quasi dissolte nelle generazioni successive. Le parole malaccorte delle persone e dei familiari, la solitudine, l’incomprensione verso sé stessi, persino la terminologia per scoprirsi e definirsi. Lo slittamento dal termine gay e queer, il mutare di sfumature di entrambe le parole nel giro di trent’anni. Estranei però racconta anche come un qualcosa di quel senso di differenza, estraneità, isolamento rimanga, nonostante tutto.
Un altro tipo di solitudine che racconta con grande efficacia è quella dell’età adulta, quando si è lontani dalla propria famiglia o si è rimasti del tutto soli. Non è necessario essere anziani: Adam ha perso i genitori da giovanissimo, è isolato sia per attitudine caratteriale, sia per condizione familiare, pur non essendo vecchio. Il tramonto con cui si apre il film sembra infiammare il suo desiderio impossibile di avere un rapporto con i genitori ora che ha la loro stessa età, ora che i suoi ricordi frammentari e la sua esperienza gli permettono di capirli di più, di carpire più chiaramente i loro limiti di coppia, di genitori, di esseri umani. Da quei ricordi però emergono anche schegge dolorose. Così come tra lui e Harry c’è una distanza generazionale evidente, Adam è costretto a fare i conti con il fatto che i suoi ricordi dei genitori sono cristallizzati a un’epoca inclemente con tutto ciò che è altro rispetto all’eterosessualità. Nei suoi dialoghi immaginari esplora anche questo confronto con i genitori, con la loro mentalità, ipotizza la loro reazione, non sempre positiva.
Andrew Scott si conferma un grandissimo attore
C’è poi un’altra solitudine, tipicamente metropolitana. La emana l’appartamento di Adam, ricostruito sul set con grandi schermi che proiettano la vista spettacolare sulla città. È la solitudine che un po’ si cerca, un po’ di soffre nei grandi formicai che chiamiamo città. Ognuno nella sua cella, contento di avere uno spazio suo, impaurito dall’aprire la porta ad altri, ma anche solo. Questa solitudine è raccontata per lo più per immagini: le inquadrature dell’ascensore, la progressione della luce nel corso della giornata che si allunga sugli arredi, i bagliori sinistri dei colori, ombre che si allungano al tramonto, suoni o mancanza degli stessi.
Oltre che a essere un grande sceneggiatore e tessitore d’immagini, Haigh ha una grande capacità di dirigere gli interpreti, scegliendo i migliori e tirando fuori il massimo da loro. Estranei non sarebbe così emotivamente devastante se non avesse al centro un talento cristallino, sconfinato, sfaccettato come quello di Andrew Scott. Ancora una volta l’attore inglese si conferma potentissimo nel mostrare una fragilità interiore con una recitazione minimale, naturalista. Paul Mescal aveva già impressionato a livello emotivo in Aftersun. Qui è il perfetto connubio tra carica erotica, desiderio, dolcezza e fragilità personale appena trattenuta sotto la superficie. Sono bravissimi anche Claire Foy e Jamie Bell, in un film che davvero non sbaglia nulla. Peccato davvero che l’Academy si sia concentrata su altre storie, altri film, altri interpreti, quando Estranei è già un titolo accreditato a rimanere di questo 2023 cinematografico ancora in grado di regalare emozioni in sala.
Rating: Tutti
Durata: 106'
Nazione: Regno Unito
Voto
Redazione
Estranei
Così come nei precedenti Weekend e 45 anni, Haigh fa un lavoro semplicemente eccezionale sia a livello di scrittura sia a livello di regia, dimostrandosi un cineasta maturo, capace, acuto. Avrebbe ben meritato una menzione agli Oscar, che colpevolmente hanno trascurato uno dei film più belli ed emotivamente potenti del 2023. Andrew Scott è semplicemente straordinario.