Everest
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Responsabilità non da poco quella di Everest, kolossal diretto da Baltasar Kormàkur. Il nuovo film del regista islandese ha infatti aperto la 72 mostra del cinema di Venezia. Un ruolo che precedentemente era spettato a pellicole quali Birdman e Gravity, film che successivamente hanno spopolato al botteghino e fatto incetta di premi, tra cui un discreto quantitavo di Oscar.
Il film, da giovedì scorso nelle sale, non ha però avuto gli stessi risultati dei predecessori, non riuscendo ad infiammare la platea presente alla prima in quel di Venezia. Abbiamo quindi deciso di andare anche noi a fare un piccolo giro sull'Everest, per capire se il film di Kormàkur é meritevole o meno. Scopritelo insieme a noi…e non dimenticate le racchette da neve!
Everest ci racconta una storia vera accaduta nel maggio del 1996, quando otto alpinisti morirono sulla montagna più pericolosa al mondo per colpa di una violentissima bufera di neve. Oltre alla cronaca, la sceneggiatura di Simon Beaufoy e Mark Medoff si basa anche su un libro scritto da un arpista-scrittore di nome Jon Krakauer che ha preso parte alla spedizione in quel tragico anno.
L'Everest é una montagna pericolosissima, durissima da scalare e tomba per circa 220 alpinisti che dalla metà degli anni novanta ad oggi hanno cercato di raggiungere la sua vetta. Non esiste un vero e proprio motivo che spinge l'uomo a compiere questa impresa (se non, a volte, di natura economica). Il gesto é alimentato dalla lucida follia da parte di molte persone di sfidare la natura e se stessi. Un concetto che traspare a fasi alterne nel corso della lunghissima pellicola di Baltasar, che in centocinquanta minuti ci regala un film che lascia allo spettatore sentimenti contrastanti.
Everest, infatti, é un film che vive di contrasti che, esattamente come le motivazioni dei gesti degli alpinisti sopracitati, sono estremamente difficili da spiegare. Si, perché davanti agli occhi abbiamo una montagna viva, incredibilmente realistica nonostante i moltissimi shoot fatti in studi di posa e infarciti di tantissima CGI. Senza troppi indugi possiamo dire che rispetto ad altre pellicole del passato, il film di Kormàkur é in assoluto il prodotto cinematografico, riguardo a questo argomento, più emozionante che abbiamo mai visto. Le riprese ad ampissimo raggio e dannatamente verticali, la riproduzione del clima e i passaggi della bufera con quell'aria rarefatta e quella sensazione costante di estremo, sono tutti elementi che messi assieme trasmettono allo spettatore la sensazione di avere davanti agli occhi una montagna viva, pulsante, spaventosa e dannatamente credibile.
Peccato che tutto questo sia stato in larga parte vanificato da una sceneggiatura che sacrifica sull'altare della bellezza estetica, una trama sciatta e in grado di non dare mai reali spiegazioni, e soprattutto, colpevole di non riuscire a donare quello spessore drammatico e caratteriale ai personaggi che prendono parte alla spedizione.
Nonostante il foltissimo cast, i veri protagonisti del racconto sono Rob hall e Beck Wheaters interpretati rispettivamente da Jason Clarke e Josh Brolin. Due personaggi profondamente diversi l'uno dall'altro e con carriere personali profondamente diverse. La loro immagine oscura poi quella di altri attori come Sam Worthington e Jake Gyllenhaal, che portano così su schermo personaggi che non riescono ad incastrarsi perfettamente all'interno del contesto e creare una sorta di connessione con il pubblico.
Proprio la connessione, l'empatia, il sentirsi preoccupati di o per qualcuno, é quello che manca a questo film. Regista e sceneggiatori demandano il tutto a delle sporadiche telefonate tra Hall, Weathers e le rispettive mogli (interpretate da Keira Knightley e Robin Wright). Non creano Pathos, e il più delle volte risultano fastidiose nello staccare in maniera così repentina dalla montagna, al comfort delle case in cui si trovano le mogli.
Insomma, Everest pecca in quello che doveva essere il punto di forza di una pellicola che può avvalersi di un comparto audio visivo da paura: la sceneggiatura. Manca pathos, profondità e soprattutto costruzione di personaggi che nonostante l'importanza all'interno della spedizione, rimangono nascosti o poco raccontati. Un peccato, anche perché il cast é di assoluto rispetto e una cura maggiore da parte di Kormàkur avrebbe sicuramente permesso ad Everest, di spiegare al pubblico il lucido dramma a cui molti alpinisti vanno incontro solamente per sfidare la loro folle voglia di oltrepassare i limiti. Invece ci troviamo davanti ad un puro e semplice prodotto di intrattenimento che sacrifica una sceneggiatura interessante per andare a colpire più gli occhi e la testa con immagini mozzafiato. Con le temperature di queste montagne, un po più di cuore e calore umano sarebbe decisamente servito…
Il film, da giovedì scorso nelle sale, non ha però avuto gli stessi risultati dei predecessori, non riuscendo ad infiammare la platea presente alla prima in quel di Venezia. Abbiamo quindi deciso di andare anche noi a fare un piccolo giro sull'Everest, per capire se il film di Kormàkur é meritevole o meno. Scopritelo insieme a noi…e non dimenticate le racchette da neve!
Una montagna senz'anima
Everest ci racconta una storia vera accaduta nel maggio del 1996, quando otto alpinisti morirono sulla montagna più pericolosa al mondo per colpa di una violentissima bufera di neve. Oltre alla cronaca, la sceneggiatura di Simon Beaufoy e Mark Medoff si basa anche su un libro scritto da un arpista-scrittore di nome Jon Krakauer che ha preso parte alla spedizione in quel tragico anno.
L'Everest é una montagna pericolosissima, durissima da scalare e tomba per circa 220 alpinisti che dalla metà degli anni novanta ad oggi hanno cercato di raggiungere la sua vetta. Non esiste un vero e proprio motivo che spinge l'uomo a compiere questa impresa (se non, a volte, di natura economica). Il gesto é alimentato dalla lucida follia da parte di molte persone di sfidare la natura e se stessi. Un concetto che traspare a fasi alterne nel corso della lunghissima pellicola di Baltasar, che in centocinquanta minuti ci regala un film che lascia allo spettatore sentimenti contrastanti.
Everest, infatti, é un film che vive di contrasti che, esattamente come le motivazioni dei gesti degli alpinisti sopracitati, sono estremamente difficili da spiegare. Si, perché davanti agli occhi abbiamo una montagna viva, incredibilmente realistica nonostante i moltissimi shoot fatti in studi di posa e infarciti di tantissima CGI. Senza troppi indugi possiamo dire che rispetto ad altre pellicole del passato, il film di Kormàkur é in assoluto il prodotto cinematografico, riguardo a questo argomento, più emozionante che abbiamo mai visto. Le riprese ad ampissimo raggio e dannatamente verticali, la riproduzione del clima e i passaggi della bufera con quell'aria rarefatta e quella sensazione costante di estremo, sono tutti elementi che messi assieme trasmettono allo spettatore la sensazione di avere davanti agli occhi una montagna viva, pulsante, spaventosa e dannatamente credibile.
Peccato che tutto questo sia stato in larga parte vanificato da una sceneggiatura che sacrifica sull'altare della bellezza estetica, una trama sciatta e in grado di non dare mai reali spiegazioni, e soprattutto, colpevole di non riuscire a donare quello spessore drammatico e caratteriale ai personaggi che prendono parte alla spedizione.
Nonostante il foltissimo cast, i veri protagonisti del racconto sono Rob hall e Beck Wheaters interpretati rispettivamente da Jason Clarke e Josh Brolin. Due personaggi profondamente diversi l'uno dall'altro e con carriere personali profondamente diverse. La loro immagine oscura poi quella di altri attori come Sam Worthington e Jake Gyllenhaal, che portano così su schermo personaggi che non riescono ad incastrarsi perfettamente all'interno del contesto e creare una sorta di connessione con il pubblico.
Proprio la connessione, l'empatia, il sentirsi preoccupati di o per qualcuno, é quello che manca a questo film. Regista e sceneggiatori demandano il tutto a delle sporadiche telefonate tra Hall, Weathers e le rispettive mogli (interpretate da Keira Knightley e Robin Wright). Non creano Pathos, e il più delle volte risultano fastidiose nello staccare in maniera così repentina dalla montagna, al comfort delle case in cui si trovano le mogli.
Insomma, Everest pecca in quello che doveva essere il punto di forza di una pellicola che può avvalersi di un comparto audio visivo da paura: la sceneggiatura. Manca pathos, profondità e soprattutto costruzione di personaggi che nonostante l'importanza all'interno della spedizione, rimangono nascosti o poco raccontati. Un peccato, anche perché il cast é di assoluto rispetto e una cura maggiore da parte di Kormàkur avrebbe sicuramente permesso ad Everest, di spiegare al pubblico il lucido dramma a cui molti alpinisti vanno incontro solamente per sfidare la loro folle voglia di oltrepassare i limiti. Invece ci troviamo davanti ad un puro e semplice prodotto di intrattenimento che sacrifica una sceneggiatura interessante per andare a colpire più gli occhi e la testa con immagini mozzafiato. Con le temperature di queste montagne, un po più di cuore e calore umano sarebbe decisamente servito…