Five Nights at Freddy’s, recensione: nuovo gioco, vecchia storia
Buoni propositi e una lunga gestazione hanno portato alla creazione di un film molto diverso da quanto ci aspettavamo
Five Nights at Freddy’s è il film horror diretto da Emma Tammi, prodotto da Blumhouse e tratto dall’omonima saga videoludica creata da Scott Cawthon, che ha collaborato alla sceneggiatura insieme alla regista e a Seth Cuddeback.
La vita di Mike Schmidt (Josh Hutcherson) scivola ancora più nel baratro delle difficoltà quando perde il lavoro di addetto alla security per aver picchiato il cliente di un centro commerciale. Sarà costretto ad accettare la paga da fame e il lavoro di guardia notturna all'interno del famoso ritrovo per bambini Freddy Fazbear’s Pizza che ha chiuso i battenti anni prima. A fargli compagnia gli incubi notturni legati alla scomparsa del fratellino, rapito quando era più giovane, le preoccupazioni legate alla responsabilità della sorella minore e le pressioni per la zia che vorrebbe diventarne la tutrice. Scoprirà ben presto che il Freddy Fazbear’s Pizza non è un locale semplicemente abbandonato, popolato da oscure presenze che con il passare delle notti minacceranno la sua famiglia sempre più da vicino.
Il film ha avuto una lunga gestazione iniziata nel 2015 con la Warner Bros, poi passata a Blumhouse nel 2017. Dopo diversi cambiamenti di regia e sceneggiatura, le riprese sono iniziate nel febbraio 2023 a New Orleans e si sono concluse in aprile. Il film vorrebbe offrire una coinvolgente esperienza ai fan della saga videoludica, catturando inevitabilmente anche gli amanti del genere horror, ma l'ampio ed evidente sforzo compiuto per ultimare l'opera non ha condotto a un risultato altrettanto lusinghiero. Del resto non si può pretendere che ogni singolo film prodotto da Jason Blum sia una garanzia di spettacolo tripla “A”, ma nemmeno ritrovarsi spettatori di una storia in odore di riciclo sin dal prologo, dove non c'è un singolo istante che non sia trito e ritrito.
La trasposizione di un videogame su grande schermo raramente ha condotto a uno spettacolo sopra il livello di accettabilità, e con questo non ci riferiamo unicamente ai filmacci di Uwe Boll. Almeno nel caso di Five Nights at Freddy’s le aspettative erano maggiori per la presenza di Blumhouse da una parte, e i suddetti videogame ad alta tensione e di successo dall'altra. Alla base di tutto gli infernali animatronici da cui partire magari per sviluppare un impianto narrativo slasher, possibilmente infarcito con qualche buon jumpscare e il contributo certo non secondario del cast. Josh Hutcherson (franchise Hunger Games), Matthew Lillard (franchise Scream) e Mary Stuart Masterson (amata sin dagli anni '80 con film come Un meraviglioso batticuore, Benny & Joon e Pomodori verdi fritti alla fermata del treno) ci mettono del loro, ma all'interno di una sceneggiatura lisa e stantia.
C'è il lugubre e decadente ex locale in cui avvenne il fattaccio che lo fece chiudere, e c'è la ricerca da parte del protagonista del fratello minore, rapito quando erano bambini e mai più ritrovato. Due macro elementi dello script appiccicati malamente con lo scotch, per giunta con una narrazione che accelera troppo tardi. Disarmante lentezza nell'approfondimento dei personaggi e del loro background di vita, transizioni confuse in cui si stenta a riconoscere chi è chi o cosa rappresenta. Colpi di scena telefonati, l'improbabile e ridicola rivelazione finale lasciando aperta una porta al sequel.
Il top dell'alta tensione lo si raggiunge (involontariamente) attraverso un minuscolo pupazzetto inerte che comunque vaga per il locale, che accompagnato dalle giuste note musicali stimola più degli stessi robottoni incazzosi. Racconto che palesa una disarmante mancanza di idee, dove non si è voluto andare realmente da nessuna parte vagando il superficiale, scopiazzando il passato nella speraza di non scontentare nessuno: fa eccezione un unico sparuto frammento gore, restando circostanziati e fuori dal primo piano.
Ai titoli di coda ci si arriva facendo lo slalom tra gli sbadigli, almeno per chi il cinema di genere lo mastica da tempo.
Del resto, proprio come accaduto per il recente pessimo “sequel” de L'esorcista (30 milioni di budget, oltre 100 milioni di dollari di incasso), almeno dal punto di vista commerciale potrebbe avere ragione Jason Blum, che ha capito come incassare spacciando per nuovi film nati con attaccata addosso la muffa.
Voto
Redazione
Five Nights at Freddy’s, recensione: nuovo gioco, vecchia storia
Che si abbia o meno giocato al franchise videoludico, il film è penalizzato da una sceneggiatura raffazzonata, su cui grava una complessa gestazione e numerosi cambi di mano. Opera con maggiori chance di funzionare in misura inversamente proporzionale alla conoscenza del cinema di genere. Il successo commerciale confermerebbe una preoccupante deriva artistica.