Flatliners - Linea Mortale
Esiste un dilemma esistenziale che, in minima parte, attanaglia ognuno di noi nel profondo: cosa succede quando si muore? C’è qualcosa in fondo al proverbiale tunnel? Questa domanda, a cavallo tra una riflessione filosofica e un interesse scientifico, ha comunque ispirato molti registi che, nel corso degli anni, hanno confezionato pellicole dai generi diversi, passando necessariamente dal filone drammatico a quello horror.
Parlando di “flatliners”, in realtà, possiamo tranquillamente tornare indietro negli anni ’90, quando il regista Joel Schumacher scelse un manipolo di giovani attori (poi famosi) per confezionare il suo Linea Mortale, film che fece la sua figura collocandosi tranquillamente nell’area grigia del “buono, ma non si applica”.
A distanza di ventisette anni dalla sua uscita, Nels Arden Oplev (quello di Uomini che Odiano le Donne) ha ripreso lo script dell’opera lavorando a una sceneggiatura che ricalcasse fedelmente gli stilemi della pellicola precedente, senza rinunciare però a prendersi la libertà di cambiare qualcosa. Alla fine di questo viaggio, riusciremo a darci una risposta?
FARE I CONTI CON SÉ STESSI
Courtney (Ellen Page) è una studentessa di medicina ossessionata dall’esperienza post-morte e decide, senza troppe remore a quanto pare, di tentare un esperimento volto a morire solo per essere successivamente rianimata. Una scelta simile potrebbe far drizzare i capelli a chiunque, ma al contrario i suoi amici di corso Jamie (James Norton), Marlo (Nina Dobrev) e Sophie (Kiersey Clemons) la seguono in questa folle esperienza, trovandosi poi loro stessi coinvolti in questo gioco pericoloso.
Se inizialmente l’esperienza sembra assimilabile al miglior trip provocato da una sostanza allucinogena, poco dopo tutto questo cambia irrimediabilmente acquistando toni lievemente più horror.
Sembra infatti che il viaggio non produca soltanto effetti di super-intelligenza, o accesso a ricordi sopiti stile Limitless, ma si porta dietro anche allucinazioni orribili dove ognuno sembra costretto a confrontarsi con qualche dramma del proprio passato. Questi incubi o esperienze spaventose accompagnano lo scorrere della pellicola, limitandosi a dei sintomatici jump scares e nulla più.
La trama ha infatti un retrogusto di assurdo, che culmina in un finale discutibile che rende oltremodo claudicanti i 110 minuti di esposizione in sala, anche a discapito di un Kiefer Sutherland presente all’appello solo per provocare un minimo effetto nostalgia.
C’è anche il moralizzatore nei panni di Ray (Diego Luna) che si limita a salvare i suoi amici nel momento del bisogno, dimostrandogli a tempo debito come ognuno di loro possa essere fallace ma capace comunque di prendersi le proprie responsabilità, a patto di rinunciare a qualcosa.
La ricerca di redenzione da parte dei protagonisti sfocia purtroppo nel banale, come se la sconfitta del proprio mostro interiore possa essere semplicemente ridotta solo all’accettazione delle proprie responsabilità. Forse è proprio vero che, alla fin fine, alcuni misteri devono rimanere tali per non perdere il fascino che li rende attraenti.