Un gatto contro l’Apocalisse: Flow è l’ennesima perla d’animazione del 2024 che rivedremo agli Oscar
Non c’è una parola di dialogo in Flow, eppure le emozioni scorrono poderose in questo film animato che riesce a mettere d’accordo cani e gatti: letteralmente.
Il 2024 è un anno magico per l’animazione, anche grazie finalmente a un mercato che riesce a vedere e importare prodotti che vadano altre i confini del target dei più piccoli e delle produzioni statunitensi. Dopo il grande ritorno di Dreamworks con il notevole Il robot selvaggio, è il turno di un film che parte dalla stessa apparente premessa: l’umanità è scomparsa dalla Terra, sono rimasti solo gli animali.
Era così in avvio di Il robot selvaggio, succede lo stesso in Flow, lungometraggio lettone firmato dal giovanissimo regista e animatore Gints Zilbalodis: appena 30 anni d’età e alle spalle Away (2019) un intero lungometraggio realizzato da solo. Spiega lui stesso come, da autodidatta con una passione per il cinema forte quanto la sua timidezza, abbia trovato nell’animazione l’ambiente ideale per imparare a realizzare un’intera storia da solo. Flow è invece un’opera collaborativa, che in parte porta avanti la fascinazione di quel primo lavoro, ispirato dall’isolamento causato dal COVID. Là l’acqua isolava il protagonista della storia, qui pian piano sommerge le ultime vestigia umane: misteriose statue a forma di gatto, una casa in cui il protagonista della pellicola ha vissuto con qualcuno ed è diventato una sorta di musa ispiratrice.
Protagonista di questi 86 minuti tutti azione, movimento, esplorazione senza un dialogo è un gattino nero che si muove per questo mondo in cui qua e là troviamo tracce umane: architetture, utensili. A un certo punto capiamo più o meno anche in che continente ci troviamo, ma non è davvero il focus della storia. Il mistero della scomparsa umana e quello dell’alluvione quasi biblica che sommerge ogni cosa sono presentati dal punto di vista degli animali protagonisti, che si ritrovano giocoforza a condividere i ridotti spazi di un barchino che diventa la loro casa.
Flow prova quanto l’animazione europea sia sottovalutata
Flow li segue in un’avventura che ne racconta i caratteri personali e di specie: un gruppo di cani giocherelloni, un capibara responsabile e saggio, un lemure curioso e un grande uccello che prende in simpatia il protagonista felino, a cui il film e gli spettatori probabilmente perdoneranno tutto, considerando la svolta gattara che la nostra epoca ha già vissuto. Secondo il regista il film presenta questi animati dal loro punto di vista, senza umanizzarli, rendendoli personaggi nella loro intrinseca natura, provando la loro capacità di sostenere un’intera storia stando al centro della scena.
Non è il primo film a farlo e bene - penso al sorprendente Eo di qualche anno fa, o ancora a Cow di Andrea Arnold per rimanere in anni recenti - ma come i film citati, a voler essere del tutto onesti, riflette dentro i personaggi emozioni tipicamente umane, soprattutto nella seconda parte della storia. Flow non è certo un commentario documentaristico di come potrebbero comportarsi specie diverse costrette a convivere, tanto che al personaggio del capibara si possono imputare qualità da monaco buddista quali pazienza, saggezza, perseveranza.
Oltre questo piccolo appunto però rimane un film che ribadisce la forza narrativa spesso sottovalutata e ignorata del mondo dell’animazione europeo e in particolare dell’Est Europa. Lo stile del film è stato da alcuni accosta all’aspetto poligonale e un po’ sporco dei vecchi giochi per PlayStation 2. È un accostamento azzeccato per un film che, complice l’uso delle musiche, i movimenti della cinepresa che ora segue il gatto da vicino e di spalle, ora ne assume il punto di vista, non può che ricordare i vecchi giochi esplorativi in cui ci si perdeva per scenari naturali esotici. Non è un’animazione inizialmente gradevolissima da vedere, nei suoi scatti e nei suoi limiti, ma una volta fatta l’abitudine a questa sua peculiarità, se ne possono apprezzare le sfumature ora pittoriche, ora la luce quasi fotografica del sole che tramonta o che sorge.
La morale di questa favola animale è che, di fondo, una morale non c’è: gli animali che prendono il posto delle persone devono come loro rassegnarsi e abituarsi al cambiamento, fare tesoro delle esperienze e imparare a coesistere e resistere a una natura bellissima ma sostanzialmente indifferente, che da un momento all’altro oscilla tra il salvifico e il mortale. Il tutto con un memento ricorrente per lo spettatore umano: che l’antroprocentricità può diventare nel corso di una marea un ricordo, una fase e basta un passaggio d’acqua per riscrivere la storia, lasciare dietro di sé rovine affascinante abitate con indifferenza o moderata curiosità da chi le reclamerà in futuro.
Durata: 84'
Nazione: Belgio
Voto
Redazione
Flow
Commovente e coinvolgente, Flow riesce nella non semplice impresa di raccontare un’intera storia senza bisogno né di dialoghi né di interazioni umane, provando ancora una volta quando l’animazione sia un medium potente per veicolare emozioni in maniera diretta, attraverso l’immagine, la musica e il movimento, senza bisogno di un commentario linguistico.
Che racconti gli animali nella loro forma “pura” e non filtrata dallo sguardo umano è un’affermazione discutibile, ma quel che fa bene è ricordarci possibilità potenzialmente angoscianti facendo riflettere lo spettatore con calma, senza apprensione. Nell’era della gattofilia estrema che viviamo, il piccolo e vivace protagonista della pellicola non mancherà di conquistare le platea, così come le sue adorabili controparti canine. Flow è un gioiellino lettone ed europeo che ci ricorda che l’animazione del vecchio continente non è davvero da sottovalutare.