Follemente è il ritorno di Paolo Genovese che attendiamo da Perfetti Sconosciuti: la recensione del film
Non tutte le ciambelle riescono col buco e non tutti i film successivi a un grande successo riescono ad essere alla sua altezza: Follemente, finalmente, è il degno successore di Perfetti sconosciuti.

Lo insegui per tutta una vita e poi, quando finalmente lo agguanti, non se ne va più. I successi, quelli veri, sono una pietra di paragone con cui confrontarsi, di cui non ci si libera mai veramente, a meno di non bissarli e superarli. Deve saperlo di certo anche Paolo Genovese, che una decina di anni fa incappò in un titolo strepitoso per critica e pubblico: Perfetti Sconosciuti, che ne rilanciò la carriera di regista, contribuendo a rendere il volto di Marco Giallini uno dei più popolari e ricorrenti del recente cinema italiano.
Più che un film, un’idea che è una formula perfetta, da titolo, esportata in mezzo mondo, anche se poi nessuno ha saputo come il suo creatore tirarne fuori una versione altrettanto convincente. Genovese ha continuato per la sua strada, girando 3 film più o meno vicini a quella formula (The Place era quasi sovrapponibile) ma non ritrovando mai la quadra perfetta e il medesimo successo.
Follemente è il tentativo andato in porto di girare un buon film che, nelle sue caratteristiche, ricorda proprio Perfetti Sconosciuti. Caratteristiche che, evidentemente, sono proprio nelle corde di Genovese sceneggiatore e regista, che preferisce lavorare con cast molto ampi da far muovere in spazi assai ristretti, con un approccio che è molto vicino a quello di un palco teatrale.
L'Inside Out romano di Genovese l'ha ispirato uno spot della RAI
Nel caso specifico abbiamo tre set, tre interni: l’appartamento dove si svolge l’appuntamento romantico al centro della storia e due appartamenti immaginari dove vivono le personalità e i sentimenti del lui e della lei protagonisti della storia. Una sorta di Inside Out, come hanno più o meno rilevato tutti, se Riley non fosse una ragazzina e fosse italiana, anzi, romana. Genovese dice che però a lui l’idea è venuta nel 2004, vedendo una vecchia pubblicità del canone RAI.
La premessa è quasi banale nella sua semplicità: Edoardo Leo e Pilar Fogliati sono Piero e Lara, due adulti al loro primo appuntamento insieme. Lei lo ha invitato a casa sua e lui, un po’ crucciato per perdersi il derby Lazio - Roma ma intrigato da lei, si presenta puntale nell’appartamento dove si svolgerà una lunga cena. Mentre i due rompono il ghiaccio e cominciano a capire meglio chi hanno di fronte e se ci vogliono finire a letto assieme, nei loro cervelli si consuma una moviola e analisi maniacale delle proprie mosse e di quelle dell’altro, con le varie personalità/emozioni che si confrontano e decidono, momento dopo momento, cosa suggerire di fare a lui e lei.
In Follemente gli stereotipi romantici sono un punto di partenza
Non solo la premessa è semplicissima e senza fronzoli. Anche il come viene eseguita da Genovese è diretto, semplice, immediato e non del tutto scevro dagli stereotipi della commedia romantica, dell’italianità e della romanità. Genovese però li usa più che altro come punto di partenza per poi essere più incisivo o fulminante. Leo per esempio non si limita a un’alzata di spalle mentendo spudoratamente sul suo interesse rispetto al derby ma, con grande nonchalance, butta lì un “ci deve essere una partita di football”. Un giro di parole bizzarro e straniante, che strappa immediatamente la risata.
Laddove Genovese si tiene lontano dagli stereotipi è nel tratteggiare i due protagonisti della storia, inquadrati come pienamente adulti e pragmatici abbastanza per vedere quell’appuntamento per quello che è: un tentativo di avvicinamento tra due persone che hanno già delle vite realizzate e complicate, alla ricerca di compagnia e intimità, ma alle prede con il campo minato della genitorialità: lui è divorziato con una bimba (la cui telefonata interrompe il momento lasagna), è invece lei a non avere figli e una relazione stabile e non sembrare intenzionata ad averne. Genovese non ci ricama troppo su, ma concede ai suoi personaggi di essere pienamente adulti, anche a costo di renderli talvolta disincantati, dimostrando di scrivere pagine romantiche con grande pragmatico. Talvolta sono tinte anche di note amare, ma forse proprio per questo sono più incisive.
Banale, addirittura scontato, è il cast “mentale” del film. Un po’ perché Genovese ha una serie di attori feticcio a cui ritorna e che non lo deludono mai, in primis Giallini e Leo. Un po’ perché alcuni degli interpreti coinvolti, più che incarnare un emozione o un orientamento psicologico, incarnano sé stessi in quei panni. Funzionando, splendidamente. Come non citare per esempio Emanuela Fanelli nei panni di, beh, Emanuela Fanelli. Chi non vorrebbe sentirsi commentare la propria vita dalla sua ironia pungente, dal suo tono di voce piccato? Specie se a farle da contraltare c’è un Claudio Santamaria nella versione arrapata e “omo de sostanza” del cervello del protagonista.
Si finiscono molto presto le cose da dire su Follemente, perché è un film quasi condotto con istinto, in cui Genovese da sceneggiatore riesce a costruire svolte e momenti di tensione interessanti, accogliendo nella storia lo spettatore con una grande dose di verosimiglianza e poi, pian piano, alzando l’asticella. Per quando arriva il momento di aprire il pacco regalo, siamo talmente all’interno della narrazione che è il perfetto culmine narrativo (e ancora una volta, molto teatrale) di una storia che si segue con assoluto coinvolgimento e divertita partecipazione.
Non c’è molto da rilevare perché Follemente, per quasi tutta la sua durata, fila via liscio come l’olio, rischiando poco forse, ma azzeccando tutti i passaggi importanti. Tanto che solo a fine proiezione ci si rende conto di come a differenza della “copia” ci sia pochissimo lavoro di caratterizzazione delle emozioni, tanto che di alcune non capiamo il nome e il ruolo se non appoggiandoci alla personalità e al curriculum del loro interprete.
È l’unica mancanza di un film romantico davvero ben congegnato, che conosce un’impasse solo quando Genovese decide di riunire tutte le emozioni insieme. Un passaggio che sembra una forzatura logica (il bello della premessa è che le emozioni dei due possono immaginare cosa stiano facendo nell’altro cervello, senza esserne però certi) e che fa perdere al film la tensione fino a quel momento dimostrata.
Sembra tutto semplice, facile, persino banale, ma ci sono voluti quasi dieci anni a Genovese per replicare con successo la sua formula preferita: quello del film corale in cui un grande numero si personaggi è chiuso in un interno romano confortevole e continua a dialogare, finché pian piano, tra frasi di circostanza e conversazione spicciola, emerge qualche grande verità sulle relazioni umane.