Gemini Man
Dal 10 ottobre, nelle sale italiane, Will Smith si sdoppia nel nuovo action movie diretto da Ang Lee (regista di “La vita di Pi” e di “I segreti di Brokeback Mountain”). “Gemini man” è un thriller adrenalinico che permetterà allo spettatore di assistere allo scontro tra Henry Brogan, un assassino professionista di 51 anni, e il suo clone.
Henry, dopo aver trascorso la maggior parte della sua vita a mietere vittime per conto dell'intelligence americana, decide di andare in pensione. Ma Clay Verris (Clive Owen), suo superiore, non ha di certo l'intenzione di appoggiare il suo piano. Come cecchino Henry è una risorsa troppo preziosa per lasciarla semplicemente andare in vacanza, il suo talento è così unico da ispirare Clay a creare un clone dello stesso Henry per cercare di non far andare sprecato il suo dono.
Ricalcando le orme del vecchio “Il sesto giorno”, pellicola nella quale il grande Schwarzenegger scopriva di essere stato clonato per errore, qui troviamo nuovamente lo scontro tra etica e scienza su una tematica nata nel lontano 1996; anno in cui “Dolly la pecora” veniva alla luce. La clonazione, infatti, è il pretesto narrativo sulla quale tutto il film si muove, giustificando tutta l’attenzione ai particolari che è stata data nella realizzazione visiva del volto più giovane di Will Smith. Una copia che cerca di rispondere alle esigenze dello stereotipo del soldato perfetto, la macchina da guerra che l’esercito americano ha sempre sognato d’avere, basti pensare a Captain America; un’idea che deve tenere in considerazione quanto gli uomini possano essere fragili o emotivi, o, ancor più semplicemente, quanto si possa invecchiare e non essere più efficienti e prestanti come quando si ha 20-25 anni.
Una storia che non spicca per la sua originalità ma che comunque mantiene delle caratteristiche registiche ben precise, infatti non viene a mancare una giusta dose di emotività e di sentimenti. Il protagonista riesce a raccontarsi molto bene, la sua storia diventa un monito per chi l'ascolta, e i caratteri secondari riescono a ritagliarsi lo spazio necessario per non essere marginali. Riducendo all'osso la proposta action di Ang Lee, siamo davanti a un thriller che ha tutte le carte in regola per incarnare un’intrattenente “americanata” che punta al mero stupore. Per comprendere meglio questo concetto basti pensare alla clip già online dell’inseguimento in modo, nella quale Henry Brogan riceve in faccia la ruota posteriore del mezzo del suo avversario e ne esce praticamente illeso. Il taglio delle scene, il montaggio, la dilatazione dei tempi, il tutto per poter rendere divertente e godibile lo scontro tra i due Brogan.
Gemini Man, infatti, nel suo cercare di spiegare la trama va contro la maggior parte delle teorie dell’apprendimento o le teorie socio-psicologiche secondo la quale noi siamo semplicemente figli della nostra storia, e delle nostre esperienze, mettendo il pubblico davanti l’idea di un talento che è praticamente rintracciato nelle caratteristiche cromosomiche di un individuo. Il doppio – lo specchio – diviene così qualcosa di facilmente conoscibile, in grado di non nascondere nulla al protagonista perché è come se stesse giocando una partita a scacchi già vista. Viene così rimarcato il fatto che il nostro peggior nemico siamo noi stessi, e che la ricerca della perfezione potrebbe quasi spingerci verso l’annichilimento della nostra umanità.
La cura degli effetti visivi o dei tempi del raccordo è mozzafiato. Il 3D+ in HFR 120fps (fotogrammi per secondo, esattamente 60 per occhio) che è stato usato per la realizzazione di questo film permette una totale immersione all’interno dello schermo, così che viene evidenziata in molte scene nella quale l’uso della soggettiva rende il tutto simile a un videogames sparatutto. Il ringiovanimento che è stato eseguito sul volto di Will Smith è davvero impressionante e riesce a mantenere intatte le espressività dell’attore, tanto che sembra davvero rivedere Smith all’età di 23 anni. In questo specifico caso vale davvero la pena sperimentare la visione del film in 3D+. Oltre ai movimenti di camera e al modo con cui è sono state gestite le riprese va evidenziato il sapiente uso della luce. Molte scene diventano intriganti perché mescolate dal buio, ma la poca luminosità viene sempre attenuta da stratagemmi che permettono allo spettatore di godersi comunque l’azione in scena.