Gioco pericoloso, ma il pericolo è la noia: la recensione del thriller italiano che proprio non ce la fa a essere sensuale

Il thriller di Lucio Pellegrini avrebbe tutte le carte giuste per essere un thriller erotico nostrano, ma sfortunatamente a mancare è proprio il film.

di Elisa Giudici

Non è un bel momento per il thriller erotico come genere cinematografico e, a parte sparutissime sorprese. Non lo è da quasi 30 anni. La morte di Stanley Kubrick nel 1999, arrivata subito prima di finire il montaggio definitivo di Eyes Wide Shut, sembra aver messo una pietra tombale su un stagione durata poco meno di un ventennio nel cinema occidentale mainstream. Se nel cinema d’autore c’è sempre qualcuno in grado di stuzzicare lo spettatore, il comparto commerciale sembra aver del tutto perso la capacità di raccontare la sensualità in sala, figurarsi poi se declinata in chiave ansiogena e misteriosa come il thriller richiederebbe. Ogni anno qualcuno ci prova, ma per lo più ci si trova davanti a delusioni cocenti o conclamati disastri.

Continua la crisi del thriller erotico, ormai quasi estinto

La notizia vera - per modo di dire - è che nel 2025 ci abbia provato qualcuno anche in Italia. Una quasi non notizia, perché dietro Gioco pericoloso è c’è ovviamente la Groenlandia di Rovere e Sibilia, l’unica realtà produttiva italiana che dà una possibilità a generi differenti da quelli rodatissimi, abusati dal clima asfissiante del cinema di casa nostra.

Perché no, verrebbe da dire? Un bel triangolo con due lui - uno scrittore e critico d’arte che non riesce a tirar fuori un nuovo romanzo e un misterioso artista che s’insinua pian piano con sempre più invadenza nella sua vita - che si contendono una lei a sua volta tormentata e piena di segreti. Il trio di protagonisti alterna nomi ormai affermati del panorama italiano come Eduardo Scarpetta (l’artista invadente), volti familiari come Adriano Giannini (lo scrittore e critico snob) a celebrità di sicuro richiamo che ormai fanno molto più che flirtare con il cinema. La bella e misteriosa della situazione la interpreta Elodie, che dopo Ti mangio il cuore sembra sempre più avviata a una carriera cinematografica parallela a quella musicale, in attesa di vederla nel prossimo film di Mario Martone.

La cantante potrebbe, dovrebbe essere l’anello debole di Gioco pericoloso, considerata la sua limitata esperienza. La pellicola potrebbe comunque funzionare, considerando la sua sensualità innegabile e la capacità della sua persona pubblica di accendere i riflettori su un progetto come questo. Invece mentre i tre protagonisti, tutto sommato, se la cavano, è proprio il film intorno a loro a non girare davvero, dall’inizio alla fine. Esattamente come sullo scenario internazionale, questo tentativo di revival del genere in italiano è più che deludente, per motivi molteplici. Alcuni palesi, altri meno semplici da indagare.

I problemi d Gioco pericoloso sono essenzialmente due: la storia non funziona e la regia non fa nulla per trarla d’impiccio o mascherarne le mancanze. Non è proprio un caso che spesso scorrendo nelle vecchie glorie del genere, ci si stupisca che dietro un film ammiccante ci fosse un regista di tutto rispetto e comprovate abilità, magari più legate ad altri generi più "seri". Non ci si improvvisa registi in generale, ma replicare la delicata alchimia di un menage a trois trasmettendo una sensazione - da titolo - stuzzicante ma sull’orlo din un pericolo indefinito, seducente ma forse mortale, non è proprio cosa facile.

Sembra che sullo scenario internazionale, a parte qualche grande vecchio, nessuno sappia giù girare scene allusive ed erotiche, capaci di titillare la fantasia. A casa nostra è Lucio Pellegrini a volersi cimentare nell'impresa, in un progetto di cui ha il controllo creativo quasi totale, essendo sceneggiatore e regista del film. Purtroppo la sua prova non fa eccezione in uno scenario desolante di thriller incapacità di scatenare l'immaginario. Pellegrini ci prova ma lo fa con una regia piatta, che mortifica l’immaginazione e in generale appesantisce l’azione e il ritmo. Con l’aggravante che, tra inquadrature e costumi che vorrebbero essere ricercati ma risultano informi e pretenziosi, si riesce nell’incredibile impresa di zittire il naturale sex appeal della protagonista, che doveva essere il selling point del film, almeno per il grande pubblico e il botteghino.

Case bellissime ma anonime, macchinone inquadrate come negli spot pubblicitari, un mondo dell’arte contemporanea che è solo una grande, gigantesca scusa per dare un’allure sofisticata al film: Gioco pericoloso non riesce nemmeno a creare un’estetica della ricchezza contemporanea calata nei ritiri esclusivi fuori da Roma che non risulti banale, figurarsi farne un commentario sociale.

Se la regia non regala emozioni, la sceneggiatura davvero non le dà niente, ma proprio niente con cui stuzzicarci. Anzi, più si avvicina al finale meno è chiaro cosa il film volesse davvero fare, qual era il punto della storia. In avvio sembra una versione ammodernata e sdentata di Attrazione fatale, in cui è uno dei due lui, ovviamente, a perdere il lume della ragione.

L'ambientazione nel mondo dell'arte contemporanea non va da nessuna parte: in avvio sembra un po' una versione spuntata dell'ironia (già parecchio piaciona) di Ruben Ostlund in merito in film come The Square. Già calare un personaggio spuntato dal nulla e che si chiama Peter Drago in un film e farlo prendere sul serio mentre s'istalla a casa di un famoso critico d'arte richiede a Eduardo Scarpetta tutto il talento di cui è portatore. Quando il film però gli forza la mano in chiave artistica e poi, di punto in bianco, cambia completamente direzione lasciandoci solo con parentesi aperte e mai chiuse (ce c'entrava la famiglia? Come ha risolto come i genitori dopo la loro, come dire, performance artistica? Come è andata davvero a finire?) diventa l'incolpevole portatore di un buco di trama enorme.

Nelle duplici vesti di regista e sceneggiatore, Pellegrini decide di lasciare la strada percorsa per inserire un’ulteriore linea narrativa. Chissà, forse per rendere più contemporaneo il mix di suggestioni del suo film? Ecco quindi comparire un filone un po’ giallo, ma con una sorta di richiamo true crime, che sa proprio di aggiunta dell'ultimo. Mentre le atmosfere virano quasi a quei thriller (non erotici) d’inizio duemila, ecco che Giannini diventa l'artista ossessionato dalla scomparsa della sconosciuta dagli occhi così espressivi. Quest’aggiunta forzosa però rende solo ancor più macchinoso il film. Che per giunta sbaglia anche la chiusa: dopo quello che sembra essere il suo finale naturale (tanto da riprendere l’apertura in una sorta di andamento circolare molto di tendenza in anni recenti) Pellegrino scivola nella spiegazione che sa di colpo di mano da soap, con un epilogo davvero, davvero inqualificabile.