Gli spiriti dell’isola, recensione: la commedia nera e crudele sull’amicizia meriterebbe l’Oscar (ma non lo vincerà)
L’esito dei Golden Globes 2023 non vi illuda: nonostante sia uno dei film più originali, graffianti e riusciti del 2022, è assai probabile che Gli spiriti dell’isola non vincerà l’Oscar come miglior film, capitolando a un più rassicurante (almeno in apparenza) Spielberg con The Fabelmans o a un film scaldacuore come lo straordinario debutto Aftersun. L’Oscar è uno, i film validi quest’anno sono molti, eppure non si può che provare un po’ di fastidio pensando a quanto la capacità di raccontare film diversi da tutti gli altri finisca per giocare contro un talento puro come quello dello sceneggiatore e regista Martin McDonagh.
Viviamo in un’endemia di film molto simili l’uno con l’altro, che affrontano nello stesso modo e con i medesimi messaggi temi esplorati in lungo e in largo al cinema, nei media e dal discorso pubblico. Per questo un film come Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin) è qualcosa di davvero prezioso nella sua natura di commedia nerissima con un tema insolito e esplorato in maniera davvero imprevedibile.
Dopo Tre manifesti a Ebbing e In Bruges - La coscienza dell'assassino, il regista realizza una potente, sofisticata commedia nera, dalle premesse cattivissime, che esplora angosce esistenziali di un pugno di personaggi che vivono su una remota isoletta irlandese, Inisherin.
Fine di un’amicizia: la trama de Gli spiriti dell’isola
La spiazzante premessa del film è che Colm Doherty (Brendan Gleeson), un burbero isolano con la passione per il violino e per la musica, interrompe bruscamente la sua amicizia con il suo intimo amico Padraic (Colin Farrell). Dall’oggi al domani, senza spiegazioni, gli dice che non vuole più avere a che fare con lui.
Di fronte ai tentativi di Padraic di capire cosa sia successo e di ricucire il rapporto, Colm lo minaccia: se oserà ancora parlargli o infastidirlo, si taglierà un dito con le cesoie che ha in casa. Un dito delle preziose mani che usa per comporre e suonare musica, a cui ha dedicato la sua vita.
La notizia sconvolge gli abitanti dell’isola e devasta Padraic, un uomo gentile e un po’ sempliciotto, a cui questa brusca interruzione di rapporti crea una vera e propria crisi esistenziale. Sua sorella Siobhan Súilleabháin (Kerry Condon), ben più acuta e pragmatica, tenta di placare le sue paure e aiutarlo a voltare pagina, ma Padraic è scorato e sempre più preoccupato. Oltre alla perdita di un amico, gli pesa il timore di venir considerato un’idiota, una persona noiosa, come Dominic (Barry Keoghan), lo zimbello del villaggio. Il dolore e la gelosia per la lontananza dell’amico lo tormentano e, suo malgrado, Padraic non riesce a rassegnarsi.
Gentilezza e angosce esistenziali: cosa nascondono i protagonisti di Gli spiriti dell’isola?
Sullo sviluppo di questa premessa diabolica non dirò nulla, perché il bello di Gli spiriti dell’isola è proprio assistere impotenti e inconsapevoli come Padraic alle conseguenze della decisione di Colm. Quel che dirò è che ancora una volta Martin McDonagh si dimostra un ottimo regista e un ancor più grande, grandissimo sceneggiatore.
La premessa delle dita e dell’amicizia finita non è un mero artificio per dare un twist interessante al film, bensì l’avvio di una pellicola che esplora il valore della gentilezza umana, scavando dentro vari personaggi e operando ribaltamenti impressionanti rispetto alla loro iniziale percezione. Padraic e Dominic sono sì delle persone bonarie e un po’ sempliciotte, ma nascondono dentro di sé demoni e potenzialità pari a quelle dei personaggi più potenti e riflessivi come Colm e Shioban.
Non solo: il film di fatto racconta in maniera non scontata una profonda angoscia esistenziale che riguarda tutti i personaggi, bloccati su un’isola sperduta e in cui non c’è davvero nulla da fare. Colm in particolare decide di rifiutare la vita convenzionale e accomodante finora vissuta per inseguire il sogno della musica, tormentato dalla possibilità di venir cancellato dalla storia poco dopo la sua morte. Una disperazione esistenziale lo tormenta, ma non lo rende incapace di gesti gentili inaspettati.
Al contrario Padraic è una persona d’animo puro e gentile che, messa in crisi dall’atteggiamento dell’ex amico, esplora fino in fondo le radici e i meccanismi che lo portano a essere cordiale e affabile. Se si guarda con attenzione fin dall’inizio il suo comportamento (la scena iniziale in cui saluta tutti), si trovano già le avvisaglie del potente finale che lo aspetta. A coronare il tutto c’è poi un tocco quasi shakespeariano, con un pizzico di premonizione e funesti presagi, che si muove tra l’esistenziale e il drammatico con una serie di battute nerissime che strappano risate tra un colpo di scena e l’altro.
Così come Rumore bianco, Gli spiriti dell’isola affronta l’ansia esistenziale causata dalla consapevolezza che la morte e l’oblio sono inevitabili. È anche una profonda riflessione su cosa significhi davvero essere buoni e sulla quasi impossibilità di perseguire la propria felicità senza finire col calpestare quella degli altri.