Gotti

Dopo un lungo peregrinare tra registi che hanno rifiutato la pellicola o scartato la sceneggiatura, il biopic dedicato a John Gotti arriva finalmente sul grande schermo, grazie all’adattamento di Kevin Connoly con John Travolta nei panni del boss malavitoso, ex uomo di punta della famiglia mafiosa Gambino (e risparmiatevi le battute, grazie). Il racconto della vita di Gotti è messo su pellicola attraverso una narrazione non consequenziale e si passa di continuo dal colloquio di un Gotti ormai allo stremo delle forze (Gotti morì in prigione nel 2002 per un tumore alla gola) e il figlio, a tutti i fatti più eclatanti che ne hanno decretato l’ascesa all’interno del clan Gambino.

Un’ascesa ovviamente costellata di omicidi, tradimenti e autentici “colpi di stato”, culminati proprio con l’omicidio del padrino di cui poi Gotti prese il posto. Il problema è del film è forse proprio questo continuo cambio nei tempi di narrazione che, complice anche un montaggio non perfetto (a mio avviso c’è anche un errore abbastanza clamoroso), lascia allo spettatore la sensazione di assistere semplicemente ad una grande sequenza di avvenimenti senza un vero e proprio filo conduttore e, soprattutto, dove si sente proprio l’assenza del protagonista stesso, di cui non si percepisce fino in fondo il pensiero che ha mosso le sue azioni malavitose.

Da parte sua, John Travolta (nascosto da un pesante makeup), cerca di metterci del suo per risollevare una pellicola con il mordente sotto i tacchi, offrendo un’interpretazione più che buona, soprattutto quando si cala nei panni di Gotti “uomo” e padre di famiglia, passato anche attraverso momenti drammaticamente complessi, come la morte di uno dei suoi cinque figli di appena dieci anni. Al suo fianco, così come nella vita reale, troviamo una bravissima Kelly Preston, che sottolinea i momenti più tesi e drammatici con una interpretazione che sicuramente non manca di credibilità.

Purtroppo tutto questo non basta a risollevare il valore complessivo di un film come Gotti che, contrariamente a quello che dovrebbe fare un film di questa portata, rende molto “spesso” il telo di proiezione, creando una barriera tra film e spettatore che non riesce a sentirsi partecipe di quanto gli accade davanti agli occhi.