Green Book

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I fratelli Farrelly nel corso degli anni si sono caratterizzati per essere dei cineasti specializzati nel campo del genere demenziale. 

Film come "Scemo & più scemo" e sopratutto "Tutti pazzi per Mary" si sono inseriti nel corso degli anni '90 come dei veri e propri capisaldi del genere comico americano. Uno stile filmico che si presta particolarmente alla collaborazione in coppia (sul fronte registico), se non addirittura tra fratelli (come ben testimonia la saga de "Una pallottola spuntata" e l'epopea dei fratelli Zucker).

Nonostante negli ultimi film del duo già emergesse la volontà di esplorare nuove strade e nuovi filoni cinematografici, in pochi nella critica si aspettavano un'opera come "Green Book".

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E non soltanto perché si tratta, dopo molti anni, di un'opera esclusivamente diretta da Peter Farrelly, ma perché  in grado di inserirsi non solo nei circuiti più strettamente popolari, ma anche in quelli più ufficiali o da addetti ai lavori. Anche per questo "Green Book"  si è aggiudicato il Golden Globe come miglior film nella categoria Musical/Comedy e ben 5 nomination agli Academy Awards, tra cui miglior film, miglior sceneggiatura originale, miglior attore (Mortensen) e miglior attore non protagonista (Ali).

Nick Vallelonga è un italoamericano del Bronx, che svolge il ruolo di factotum (anzi: responsabile delle pubbliche relazioni) per un locale chiamato Copa.  Locale chiacchierato, odore di mafia, ambienti alla Frank Sinatra. Il locale viene chiuso per due mesi, e Nick si trova senza lavoro per un periodo. Viene a sapere che a un "dottore" serve un'autista. Questo dottore non è altro che uno dei più autorevoli pianisti classici d'America: Don Shirley. Un pianista di colore. Non sarà facile la collaborazione tra i due, ma la paga è buona.  Ed è il viaggio che rende amici.

Tratto (come purtroppo ci ricorda una scritta iniziale) da una storia vera, il film ha un grande pregio: gioca sullo scorrere del tempo, ti stupisce anche se già puoi immaginare l'esito o la morale del film.

In effetti quel Vallelonga spiccia affari loschi, ma appare simpatico a prima vista. Parlotta uno strano italiano del sud (motivo per cui appare fondamentale vedere questo film in lingua originale, per tutti i giochi di parole e linguistici presenti dall'inizio alla fine) e sappiano benissimo che non sarà mai uno di quelli veramente cattivi.

Green Book

È scettico, ma di buona volontà.

In questo viaggio per gli stati sud-orientali del paese i due si trovano in un doppio regime. Uno bianco e uno nero.

In certi stati non possono dormire nella stessa struttura alberghiera, in altri hanno bagni differenziati.

A guidarli, un libro verde. Per viaggiare sicuro, in luoghi a misura anche per le persone di colore.

Il tutto assume le sembianze di un vero e proprio dramma nel dramma se consideriamo che il personaggio del dottor Shirley è interpretato da un nero anomalo, meno "nero" del suo conducente italo-americano: sa le lingue, ha studiato all'estero, non conosce i capisaldi della musica jazz e della musica black, che aveva contributo a plasmare una forte identità tra la comunità di colore.

È un uomo privo di identità (su vari fronti, come si palesera' nel corso del film) nel bel mezzo del sud americano. Tra Ohio, Louisiana, Tennessee e il terribile stato dell'Alabama il film racconta come una storia fatta di spocchia e diffidenza possa diventare collaborazione e sincera amicizia. Nulla è lasciato al caso nella sceneggiatura di questa commedia on the road, tra battute in italiano, risposte in tedesco e polli fritti. Un senso di armonia pervade un film che fa dei due interpreti e dell'aspetto narrativo il proprio elemento principale.

Col grande merito di non indugiare in un didascalismo tipico di tutti i film tratti da storie vere (ovvero l'amicizia reale tra l'autista Vallelonga, che ha curato la sceneggiatura di questo film prima della sua scomparsa nel 2013) e che si palesa perlopiù in una presenza "indiretta" nella storia di Bob Kennedy e ad un ben poco visibile cartello pubblicitario di un cinema nel finale, intento a promuovere il kolossal "Lawrence d'Arabia". Citazioni minimali, quasi nascoste per un'opera che intende proporsi come entertainmemt di gran classe, ma apprezzabile da tutte le tipologie di pubblico possibili ed immaginabili.

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