Guardiani della Galassia Vol. 3, recensione: una grande festa d’addio
James Gunn dà l’addio all’universo Marvel concludendo l’arco narrativo degli eroi che ha forgiato, in un film ricco di emozioni forti: la recensione di Guardiani della Galassia Vol. 3.
Ha il sapore dell’addio il volume 3 dei Guardiani della Galassia, il più maturo e sobrio dei film con cui James Gunn ha plasmato un pezzo importante del MCU. Se non sarà l’ultimo film con protagonisti i Guardiani, è di certo l’ultima pellicola con protagonista questo gruppo, capitanato da Peter “Star Lord” Quill.
Gunn ha saltato la barricata e lavorerà per la rivale DC, alcuni degli interpreti principali (Zoe Saldana e Dave Bautista) hanno annunciato pubblicamente di voler chiudere la loro avventura nei rispettivi ruoli Marvel. Volente o nolente dunque, un capitolo Marvel si chiude. Per giunta in un momento in cui Marvel non riesce a uscire da una fase di stallo, forse prodromo di una crisi vera e propria.
Il Volume 3 dei Guardiani ci ricorda cosa Marvel può essere. Lo fa con un film ricolmo di emozioni non diluite, che promette di far piangere copiosamente i fan. L’impressione in sala è davvero forte: sembra quasi un film drammatico, forse lo è. La lievità tipica del gruppo di sgangherati protagonisti a malapena contiene l’ondata di dolore che portano con sé come bagaglio, come il coperchio di una pentola in ebollizione, che rischia continuamente di saltare.
Rispetto al passato, James Gunn qui è più diretto, abrasivo, pronto a rivelare alcuni non detti cruciali in scene ricche di tensione. Da sceneggiatore e regista è disposto a guardare dentro a personaggi i cui traumi recenti e passati sono tutt’altro che risolti, forse irrisolvibili. L’antidoto è come sempre l’amicizia e non è una superficiale dichiarazione buonista. Gunn qui la racconta a 360 gradi, compresa la fatica, il sacrificio e il risentimento che talvolta genera essere a disposizione dell’altro quando ne ha più bisogno.
Continua a leggere la recensione di Guardiani della Galassia Vol. 3:
- Cosa succede in Guardiani della Galassia Vol. 3
- Cosa funziona e cosa no in Guardiani della Galassia Vol. 3
Cosa succede in Guardiani della Galassia Vol. 3
Il terzo volume dei Guardiani della Galassia si apre su una nota molto drammatica: Peter Quill (Chris Pratt) infatti è l’ombra di sé stesso. La morte di Gamora e il suo ritorno senza le memorie condivise con lui gli riesce insopportabile e sobilla il suo terrore mai sopito dell’abbandono.
Il focus della pellicola però è un altro: il vero protagonista del volume 3 è Rocket (Bradley Cooper), nonostante passi buona parte del film tra la vita e la morte. In questo capitolo viene rivelato il passato del personaggio, che rende dolorosamente chiaro il terreno di dolore condiviso su cui è germogliata la profonda amicizia con Peter.
Il cattivo putativo della pellicola è l’Alto Funzionario (Chukwudi Iwuji), i cui esperimenti di eugenetica permetto anche d’introdurre il personaggio di Adam Warlock (Will Pouter). Per salvare la vita a Rocket, Peter, Nebula, Gamora e gli altri dovranno infiltrarsi tra i ranghi della Orgocorp e rubare un’informazione cruciale.
Il vero nemico contro cui tutti dovranno vedersela è però la fine. A ogni Guardiano e personaggio comprimario infatti viene richiesto di non rimanere aggrappato al passato, ma superare dubbi e paure e fare ciò che è necessario e che spesso è stato rimandato. Preparate i fazzoletti.
Cosa funziona e cosa no in Guardiani della Galassia Vol. 3
James Gunn è uno che sa come rendere memorabile un film costruito sul prevedibile svolgimento di un titolo Marvel tipo. Lo si capisce dal piano sequenza che apre il film che raggruppa i nostri eroi, ancora a pezzi dopo il ritorno senza lieto fine di Gamora.
Giunto al terzo film del franchise, è sin troppo facile per lui giocare con rimandi e motivi avviati nel primo film e consolidati dal secondo. Forse indulge persino un po’ troppo nelle sequenze musicali e nei rimandi al passato: la conclusione della storia di Peter è un monito potente a quanto possa essere pericoloso attaccarsi eccessivamente a oggetti e rituali, caricandoli di un significato e di un valore che bisogna invece trovare nel rapporto con gli altri.
Gunn sembra quasi voler mettere sotto pressione i suoi personaggi, per far venire a galla verità taciute per gentilezza o per imbarazzo. È tempo di aprire gli occhi, la musica è finita ed è ora di andare avanti e guardare in faccia alla realtà.
Con un livello di violenza e dolore psicologico al limite di ciò che è consentito fare in un film con valutazione PG13 (ovvero aperto al pubblico delle famiglie e dei bambini), Guardiani rafforza e ripete il suo mantra. È come se tutto il trauma e il dolore che i personaggi si portano dentro e - come viene ricordato da Mantis - non si lasciano mai alle spalle desse un senso più profondo al bisogno di un abbraccio, all’affidarsi senza riserve alla piccola comunità familiare che ci si è creati.
Avrete già capito dunque che Guardiani della Galassia Vol. 3 è l’ennesimo film che sembra fare psicoterapia in sala. Lo fa forse con più convinzione e persino più cattiveria dei film visti finora imboccare questo sentiero.
Un altro tema forte della pellicola, che la rende sorprendentemente politica, è come la sua storia si presti facilmente a essere come alfiere di un messaggio antispecista. L’antispecismo è un pensiero filosofico che si oppone all’attribuzione di diverso valore alle varie specie animali, attribuendone uno maggiore agli appartenenti all’umanità, a discapito degli animali. La storia di Rocket e Cosmo, unite al salvataggio finale, fanno ben più che suggerire questo corso di pensiero. Dopo aver preso piede nel cinema d’autore, l’antispecismo è pronto allo sbarco nella cultura mainstream e a Hollywood? Forse, ma Guardiani della Galassia sembra rendersi conto di essersi fatto prendere la mano e torna (parzialmente) sui suoi passi.
Che dire poi della Controterra? Peccato James Gunn abbia così poco tempo per rafforzare quella che è solo una suggestione, ma comunque potente. Attraverso la rilettura da incubo della società terrestre (e in particolare della linda suburbia statunitense) riprodotta e distorta dall’Alto Evoluzionista e trasformata in una sorta di paradiso di mostri e furry, ci si sente dentro più di un dubbio sulla vita ordinata e perfetta che l’America proietta di sé.
Non si può dire più di così senza rischiare qualche spoiler. Gunn saprà conquistare con la sua capacità di creare spettacolo e intrattenimento, stavolta unito a un voltaggio emozionale più alto del consueto. Il tutto sul solito tappeto musicale mai scontato e con la capacità di distinguere il bene dal male senza cedere a facili stereotipi, senza mai perdere l’empatia.
Difficile non sentire in questo film tutto il dolore vissuto da Gunn negli ultimi anni, per lui non facili. Il licenziamento per una battuta infelice tirata fuori dal suo account Twitter a distanza di anni e la morte del padre (a cui il film è dedicato) hanno scavato dentro anche al suo protagonista, lo Star Lord di Chris Pratt. Senza però riuscire a strappargli la sua umanità a nessuno dei due.