Here, recensione: Forrest Gump non è più qui, ma Robert Zemeckis non l’accetta

Se c’è un risultato che il nuovo film di Zemeckis centra è proprio quello di ricordarci quanto il cinema e noi siamo cambiati rispetto ai tempi di Forrest Gump.

di Elisa Giudici

Here riunisce il trio di Forrest Gump, ma non fa i conti davvero con il tempo che è passato da quando quella pellicola è diventata un caposaldo del cinema statunitense. Il che è ironico, considerando la sfida tecnica a cui il film si sottopone. Il nuovo lungometraggio di Zemeckis infatti è un racconto non lineare cronologicamente, che vuole ricreare il genius loci di un appezzamento di terra di quello che nel tempo è diventato il territorio degli Stati Uniti d’America. La cinepresa è fissa al terreno, il punto di vista forzato, il movimento dato dagli attori che entrano e escono dal suo cono di visione e da pannelli che fanno scorrere allo stesso momento sullo schermo punti diversi del tempo trascorso in quel preciso angolo di terra. Talvolta ancor prima che fosse un angolo d’America.

Il film si apre sul soggiorno che fungerà da set principale della vicenda, con alcuni riquadri che ci mostrano come verrà riarredato nel tempo. All’inizio della linea temporale, ma non in principio al film, in quello stesso luogo è tutta foresta, perché proprio quell’angolo sarà la casa di una famiglia di nativi, la cui storia, suggerisce Zemeckis, è sovrapponibile a quella di tante famiglie statunitensi dei due secoli successivi.

Here racconta lo scorrere del tempo, focalizzandosi sui cambiamenti per raccontare ciò che invece è immutabile

Here è un film che punta sui contrasti visivi e forse non potrebbe essere altrimenti, dato che porta su grande schermo la graphic novel di Richard McGuire pubblicata nel 2014. È un susseguirsi di corsi e ricorsi storici: c’è la febbre spagnola e c’è il COVID, ci sono guerre e fenomeni culturali vissuti prima alla radio, poi in TV, poi sui cellulari. C’è soprattutto la famiglia mononucleare, tra la gioia e gli screzi tra i coniugi e varie generazioni di figli e nipoti. Un'unità sociale che per il cineasta di Here è l’atomo dell’identità statunitense per Zemeckis, forse persino della stessa natura umana.

Nell’appartamento si susseguono quattro famiglie, toccate da piccole e grandi tragedie all’ombra di uno sfondo che non cambierà mai: una casa legata alla storia di Benjamin Franklin che, riconosciuta monumento d’interesse nazionale, rimarrà uguale a sé stessa mentre intorno tutto cambia. È uno dei contrasti più ficcanti di Here, un singolo pezzo del panorama che rimane uguale a sé stesso mentre tutto intorno cambia, anche se gli agenti di quel cambiamento non percepiscono questa mutazione, lo scorrere del loro tempo. Zemeckis sembra suggerire che niente cambia davvero, perché ad assorbire l’impatto della Storia e delle piccole storie è sempre il legame affettivo tra due persone. 

In un film di grandi e piccoli corsi e ricorsi storici, non si può non immaginare un’altra coppia, un duo di fantasmi che aleggiano su Here: quella dei protagonisti di Forrest Gump, film di Zemeckis di straordinario successo che aveva per protagonisti i giovani Tom Hanks e Robin Wright, presentati come innamorati a cui il destino fa sempre lo sgambetto. I due interpreti guidano il cast composito di Here, anche se in teoria il film dovrebbe essere corale, privo di figure di spicco. Invece Zemeckis si lascia prendere la mano e commette il primo errore, infrangendo le stesse regole alla base del suo film.

Zemeckis non riesce davvero a fare suo il cambiamento raccontato in Here

Here dovrebbe mostrarci un fluire di eventi in cui tutto scorre mentre chi vive nel suo momento pensa i luoghi come suoi, dando un’importanza e un significato a quello che, appunto, è solo l’indifferente fluire del tempo. I luoghi non possono che adattarsi all’azione dell’uomo degli spazi, salvo poi sopravvivere sempre a chi li aveva conquistati. Invece Zemeckis proprio non ce la fa a dare un posto speciale ai giovani Hanks e Wright.

Ancora giovani, sì, perché il film impiega una speciale tecnico di de-aging per ringiovanire con gli effetti speciali digitali i volti degli attori, così da consentire loro di interpretare i rispettivi personaggi in tutte le fasi della storia. L’effetto è un po’ quello ottenuto da David Fincher in Il curioso caso di Benjamin Button (2008) dove però s’inseguiva il risultato inverso, cioè l’invecchiamento. Il processo funziona abbastanza da sostenere il film ma al contempo non è abbastanza preciso e invisibile da non distrarre continuamente chi sta vedendo la pellicola.

A differenza del film di Fincher però, Zemeckis di fondo qui scivola in un passatismo concettuale che farà la gioia di quanti amano, anzi, di quanti rimpiangono il suo cinema. La coppia principale di protagonisti - uniti dall’amore ma pian piano allontanati dall’incapacità di affrontare appieno l’insoddisfazione che provano rispetto ad alcune scelte che hanno fatto per la famiglia - è ancora una volta il commentario di una visione degli Stati Uniti e della vita che Zemeckis predilige, appena un po’ rimodernata per non risultare davvero superata. C’è per esempio nel film una coppia formata da un’inventore e dalla sua sensuale partner, allergici alle convenzioni, spumeggianti. Zemeckis li mette presto da parte perché, palesemente, non sa che farsene dell’America che rappresentano, così come si dimostra rigido nel tratteggiare la famiglia afroamericana che comprerà la casa dai due protagonisti.

Zemeckis d’altronde è il cantore di un momento temporale preciso degli Stati Uniti. Per questo il personaggio di Tom Hanks, costretto a sopravvivere al suo legame con quel luogo, quella casa, dovendola lasciare andare, funziona particolarmente bene. Perché di fondo Zemeckis è esattamente quella persona. Quella che riconosce il cambiamento ma non riesce a farlo suo, ancorato a un punto preciso della storia cinematografica e del suo paese che per lui è totalizzante, ma che trent’anni dopo è diventato solo uno dei tanti riquadri che scorrono sui nostri schermi.

Here quindi è il film perfetto per quanti, come Zemeckis, quella casa e quel modo di fare cinema, quel modo di raccontare gli Stati Uniti, li rimpiangono molto. Per tutti gli altri, è uno strano film che non è privo di spunti interessanti, ma che ha davvero una concezione passata, forse superata su tanti temi, che non abbraccia la realtà di chi lo guarderà in sala. Here parla con i codici di un cinema che oggi percepiamo come superato e che, soprattutto, continua a raccontare un singolo punto di vista, volendo per giunta provare a cancellare i segni del tempo dallo stesso.