Horizon, recensione: Kevin Costner punta sull’usato sicuro del western vecchia maniera

Costner torna in sella e dietro la cinepresa per la prima, lunghissima parte di una saga western che sembra voler conquistare solo il suo pubblico più affezionato e irridicibile. La recensione di Horizon.

di Elisa Giudici

Nel 1990 Balla coi lupi ha cambiato la vita di Kevin Costner, donandogli un successo critico e commerciale incredibile. Per un certo pubblico statunitense, conservatore, vecchio stampo e amante del genere western e dei cowboy, ha messo sulla mappa le popolazioni native come qualcosa di molto più complesso e degno di rispetto del nemico da uccidere.

Trentaquattro anni più tardi, Costner continua a coltivare il suo duraturo rapporto con quell’America e quel pubblico sparso per il mondo che lo vuole ancora in sella a un cavallo, rude ma gentile, schietto e affidabile, a dare solidità a un passato di frontiera e a rassicurare un pubblico che si sente sulle soglie di un futuro che fa paura.

La critica e il resto del pubblico però Costner se lo sono un po’ scordati. Troppo vecchio, troppo polveroso, troppo vecchio stampo. Gli Emmy e i Golden Globes ignorano sistematicamente Yellowstone, una serie poco commentata e chiacchierata, ma con una fanbase solidissima e che fa ascolti pazzeschi. Una serie la cui star è proprio Costner.

Costner tenta di lanciare il suo franchise western

Forte di questo successo, Costner ha investito il suo ritrovato star power in un nuovo western vecchio stampo: Horizon. Nelle sue ambizioni, dovrebbe trattarsi di una saga di film divisa in tre o quattro capitoli, che racconti la conquista dell’orizzonte statunitense, i primi insediamenti dei coloni bianchi nel selvaggio Ovest, gli scontri con i nativi, la creazione degli Stati Uniti d’America. Costner dimostra di aver ben capito come funzionano i franchise oggi giorno: multicapitolo, lunghissimi, articolati, molto simili a serie TV.

Il primo capitolo di Horizon uscirà al cinema con le sue quasi tre ore di epica western. Presentato al Festival di Cannes fuori concorso, il film apre a una seconda parte già girata, da montare, prevista per l’autunno. Se il progetto incontrerà il successo sperato, arriveranno la terza e forse anche la quarta.

Per ora la reazione della critica è molto fredda, ostile. Per Costner non è un problema, fino a un certo punto: il suo obiettivo è il pubblico che andrà in sala, che comprerà l’home video del progetto, una solida fanbase sottovalutata a livello mainstream che macina numeri che film ben più blasonati e chiacchierati si sognano. Gli riuscirà quest’impresa?

L’impressione è che Costner, da regista e produttore, abbia puntato su un usato un po’ polveroso, ma davvero sicuro. Horizon ha dentro una nostalgia non da poco per quel western privo di complessità e ambiguità che il resto del cinema sembra aver superato da tempo. Cow, I fratelli Sisters, Il potere del cane: tutti i western di livello passati al cinema di recente riscrivono la storia della frontiera in maniera ambigua, cupa, prevaricatrice da parte dei bianchi sui nativi americani.

Horizon invece riporta un certo pubblico nostalgico in un mondo in cui la ragione sta da entrambe le parti, perché ci sono le avvisaglie di una guerra, ci sono guerrieri valorosi sui fronti contrapposti e c’è una terra contesa. Il terreno di gioco è così ben delimitato che la storia si apre con un massacro da parte degli Apache su una piccola cittadina appena insediatasi, ancora costituita da tende, senza che questo risulti stereotipato o problematico. I bianchi hanno le loro ragioni, i nativi anche: la terra è una sola. La vendita dei lotti del West continua, così come l’afflusso di carovane, la nascita di nuove città protette dall’esercito, il cambiamento dell’orizzonte statunitense.

Horizon è un franchise pensato per il pubblico dei papà

Anche il cast guarda al pubblico dei papà che guardano un certo tipo di serie in televisione. Tra i protagonisti di questa epopea divisa in capitoli e con una miriade di personaggi ricorrenti figurano anche Sam Worthington, Giovanni Ribisi, Danny Huston. Kevin Costner fa la sua comparsa dopo un’ora abbondante di film, nei panni di Hayes Ellison. Si presenta come allevatore di cavalli arrivato in Wyoming per un affare, ma rimane subito invischiato una storiaccia di omicidi, vendette e lotte familiari che lo costringono alla fuga con una bella bionda e il bambino a cui si ritrova d’improvviso a fare da madre.

Horizon è tutto composto di famiglie bianche e native che tentano di trovare un equilibrio, di vivere in armonia con il territorio, di comunità che si formano su legami cementati dalla difficoltà di mettere radici a lungo in una terra che può essere brutale, dove la morte è sempre dietro l’angolo. Il ritmo è discreto, la storia sa davvero molto di già visto, ma è perfetta per quanti vogliono una minestra ben scaldata, senza rischiare qualcosa di nuovo. Viene da scomodare l’appellativo di “daddy prestige television”, la televisione che sforna serie e contenuti fatti con creanza ma con il pubblico dei papà (uomini, eterosessuali, bianchi, probabilmente conservatori, sicuramente over 50) in mente. Un pubblico magari non così vocale sui social o sulla carta stampata ma fedele, affidabile.

Il paragone televisivo è particolarmente calzante, perché Horizon non ha quasi mai il respiro cinematografico. Sembra in tutto e per tutto una serie e la sua divisione in capitoli rafforza quest’impressione, tanto che il primo film si chiude con una sorta di trailer del secondo. Manca solo la scritta: “nelle prossime puntate”. Forse avrebbe funzionato meglio come serie, perché non avrebbe messo Costner di fronte alla prova fulminea e talvolta brutale del responso del botteghino, da cui dipendente il destino della sua nuova saga.