Il film di Barbie è Ken-abbastanza: la recensione senza spoiler

Il film di Barbie rischia di rendere Ken il vero protagonista di una storia brillante, frizzante, ma mai davvero rivoluzionaria come forse avrebbe voluto essere.

Il film di Barbie è un blockbuster molto riuscito, del tipo che si vorrebbe vedere sempre: cinema commerciale ma con tante buone idee dentro, gran ritmo e scrittura sbarazzina, talvolta un po taglie.

Da parte di chi è al comando c’è davvero la voglia d’ispirare chi lo guarda - bambine, ragazze, donne - e di far riflettere e pensare i papà, i fratelli e i fidanzati al seguito. Per giunta è una pellicola davvero contemporanea, che parla la stessa lingua del pubblico che la attende con tanto fervore: una lingua meta-testuale in cui il film parla con chi sta in sala ma anche con sé stesso, assolutamente consapevole della propria identità, con una voce fuori campo (in originale dell’attrice Helen Mirren) che fa un po’ da grillo parlante, un po’ da meta-spettatore. Sospeso tra scene meme, auto-citazioni, easter egg e qualche frecciata allo status quo del “cinema patriarcale” (da 2001 - Odissea nello spazio a Il padrino, passando per Justice League di Zack Snyder) Barbie è impegnato a commentare ciò che succede sul suo stesso schermo, fino a interrompere l’azione del film per constatare l’ovvio. Ovvero che Margot Robbie è una delle donne più simili all’ideale estetico irraggiungibile di Barbie che respirino sul globo terracqueo.

Quando però ingaggia la sfida insita nel portare su schermo un’idea, un simbolo tanto potente e tanto controverso e contraddittorio di femminilità come quello incarnato da Barbie, se la gioca così sul sicuro da incassare l’ok persino da Mattel, storica azienda produttrice della bambola bionda, che sulla carta dovrebbe essere il super cattivo della situazione.

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La trama di Barbie

Margot Robbie interpreta Barbie Stereotipo, la più stereotipata delle Barbie: bionda, bellissima, sempre perfetta in un mondo in cui ogni giorno è il migliore in assoluto, come tutti quelli precedenti. Barbie le sue Barbie-amiche vivono un tran tran quotidiano alimentato dall’immaginazione e dal sogno, che hanno permesso loro di costruire un mondo a loro misura delle loro ambizioni.

Un mondo dove ci sono anche tanti Ken, tra cui quello che anela ad essere il partner di Barbie Stereotipo. Ken (Ryan Gosling) riesce a vivere in questa perfezione solo se scaldato dallo sguardo di Barbie, solo se sicuro della sua attenzione. Ken vive con disagio la presenza di un altro Ken suo rivale (Simu Liu), così come è spiazzato dal fatto che Barbie “non lotti per lui”, non lo veda come il centro del suo universo.

Nel bel mezzo del solito party serate insieme alle amiche nella sua casa dei sogni, Barbie comincia improvvisamente a parlare di morte. La sua perfezione vacilla, tanto da farle perdere i piedi col tallone rialzato, la capacità di fluttuare dal tetto di casa all’auto, fino alla comparsa della cellulite. Decide, seppur con riluttanza, di fare una visita a Barbie Stramba (Kate McKinnon), che le spiega che per sistemare le cose deve raggiungere il mondo reale. Ken, incapace di starle lontano, la segue.

La realtà umana però si rivela molto, molto diversa dall’utopia femminile di Barbieland. Mentre i sentimenti e i limiti umani si fanno sempre più strada nel cuore di Barbie, sia lei sia il suo Ken hanno uno scontro frontale con la realtà patriarcale e maschilista che permea ogni contesto sociale. Anche i vertici Mattel, che hanno fretta di rimettere Barbie nella sua scatola.

Barbie Stereotipo però non è così pronta a tornare alla perfezione precedente: non senza prima aver compreso perché, a differenza di quanto credesse, il mondo umano non ha preso esempio da Barbieland e non è un luogo giusto, soprattutto per le donne.

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Cosa funziona in Barbie

Come ampiamente intuito dalla campagna promozionale del film, l’immaginario di Barbie è travolgente, pensato per funzionare su grande schermo e sui social. È un frullato di mille sfumature di rosa, che abbagliano. Sembra quasi di sentirle sussurrare le decine di dettagli nascosti più o meno visibili che invogliano a una seconda, terza visione.

Scenografie e costumi non solo vantano tra i migliori professionisti in circolazione, ma anche il budget e l’attenzione per creare un’immaginario ricchissimo: si ha paura a sbattere le palpebre per perdere qualche particolare.

Ricco e parzialmente inaspettato il versante musicale: Barbie non è un musical, non del tutto, ma sicuramente fa più di un’incursione in quel territorio, con citazioni pop e immediatamente riconoscibili come Grease. Ci sono poi alcuni inediti che un po’ funzionano come brani di un film animato Disney, un po’ ne funzionano come diretta parodia.

La scrittura è sicuramente il punto forte di un film che riesce a essere la versione seria di sé stesso e poi a parodiarsi con leggerezza, con un ritmo sostenuto e pochissimi inciampi e - dettaglio davvero meritorio - rimanendo sotto le due ore. Barbie dimostra che si può fare un film ricchissimo a livello di contenuti e d’idee senza veleggiare verso i 180 minuti di durata.

La regia è esuberante, arricchita da tante contaminazioni con il mondo dell’animazione classica e del cinema per ragazzi, senza però strabiliare mai.

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Barbie sembra un film su Ken

L’immaginario di Greta Gerwig regista - da Lady Bird a Barbie passando per Piccole Donne - passa sempre per l’infanzia, tentando di mettere a fuoco l’influenza e il valore che ha quando si è adulti e si fatica a riconnettersi verso la versione di sé giovane e piena di sogni.

L’infanzia è centrale anche in Barbie, che si apre con la scena omaggio a 2001 - Odissea nello spazio in cui un gruppo di bimbe lancia via i bambolotti quando appare il monolite Barbie. Il primo passo falso del film è inneggiare al potere dell’immaginazione e del sogno senza però lasciare al suo pubblico la possibilità di esercitarlo: non c’è sottinteso che la voce fuori campo non espliciti e non si fermi a spiegare.

L’altro principale e unico limite di Barbie - un limite importante però, consideratene le ambizioni - è di non riuscire ad essere altrettanto incisivo come opera d’autore. La pubblicità di lancio del film recita: “lei è tutto, lui è solo Ken”. Barbie il film non riesce a sviluppare o contenere davvero la grandezza di Barbie, l’idea, l’icona.

C’è tutto un contorno femminista (con relativa parodia, perché persino la battaglia femminile diviene metatesto del film) che tenta disperatamente di diventare il centro di un discorso che però fatica parecchio a essere incisivo. Per quanto si sforzi, c’è un’impasse nel tentativo di dire un qualcosa che vada oltre certe argute osservazioni che ci si scambia tra utenti di Twitter.

A rubare la scena tutti, fino a quasi fare suo il film, è Ken: da cozza attaccata al Barbie-scoglio a personaggio più carismatico e antagonista, fino a ex bambola perfetta più in crisi esistenziale della protagonista. È quasi triste constatare come Ken funzioni alla grande perché sia la figura dell’uomo devoto, sia quella del figlio del patriarcato, sia quella del maschio senza punti di riferimento tranne la donna amata sono state già ampiamente codificate dalla storia e dal cinema.

Il film di Barbie è Ken-abbastanza: la recensione senza spoiler

Ancora meno entusiasmante risulta il finale del film, che ancora una volta meta-testualmente ammette di non potere, di non riuscire a trovare una conclusione. Un po’ Pinocchio e un po’ Dorothy, Barbie deve perdere la potenza dell’ideale perfetto che rappresenta per essere gestibile dal film, che carezza persino l’idea affascinante di darle delle colpe, ma poi ci ripensa, perché il vero sogno di Greta Gerwig è l’armonia del presente adulto e la riconciliazione con l’io bambino passato.

Barbie non è insomma il monolite che arriva in una landa di film che non sanno raccontare ancor oggi le donne e rivoluziona tutto. È un film che fa in maniera esplicita ed estremamente diretta, quando non semplicistica, una discorso di base e introduttivo sul patriarcato, tenendo soprattutto gli spettatori maschi per mano, usando Gosling come catalizzatore delle loro frustrazioni ed emozioni di fronte a un film che parla di colpe e responsabilità.

Barbie tiene anche per mano il pubblico incarnato dal personaggio di America Ferrera: adulte della generazione millenial, che da piccole giocavano con le Barbie e le Spice Girls in sottofondo e oggi tentano di essere donne in carriera, moglie e madri, facendo i conti con una generazione successiva ritratta in maniera quasi macchiettista nella sua posa giudicante e aggressiva. Con una certa dose di furbizia è proprio a una rappresentante della Generazione Z che il film mette in bocca le critiche più puntuali non solo all’opportunità di un film su Barbie, ma anche all’esistenza di Barbie come icona femminista. Attraverso l’irruenza e la superficialità di un discorso fatto da un’adolescente, si liquidano problemi tutt’altro che risolti, che potevano rendere Barbie esplosivo.

Invece tutto sommato Barnie è abbastanza indulgente, tanto che Mattel ha dato benignamente il suo consenso, pur passando per “cattiva” con il CEO interpretato da Will Ferrell. Se il tuo film esplosivo su un gioco così rivoluzionario è talmente educato nelle sue critiche che Mattel è volentieri dell’operazione significa che forse Barbie racconta una realtà sotto sotto ben più utopica della nostra.

Barbie

Rating: Tutti

Durata: 114'

Nazione: Stati Uniti d'America, Canada

7.5

Voto

Redazione

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Barbie

Barbie è un gran bel blockbuster estivo, con idee accattivanti, la verve tipica degli scontri sui social, guidato da una scrittura spesso brillante ma purtroppo mai così incisiva da portare a una tanto auspicata rivoluzione del paradigma cinematografico. Alla fine è sempre più facile rendere giustizia al Ken della situazione che non a Barbie, che rimane un’idea troppo grande e complessa per poter essere spiegata da un film che gioca bene le sue carte e il suo cast, senza però graffiare mai.

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