Il libro delle soluzioni, recensione: Michel Gondry diverte con brutale onestà
Michel Gondry racconta il costo umano dietro la creatività che l'ha reso un regista famoso: la recensione di Il libro delle soluzioni
Marc Berger, l'alter ego di Michel Gondry in Il libro delle soluzioni, racconta così le sue sensazioni quotidiane: "Al mattino mi sveglio triste, il pomeriggio mi sento manipolato." La tristezza e la paranoia sono compagne di letto della creatività strabordante che lo caratterizza come autore, lui che è lo specchio, l'avatar di Gondry stesso nel film. Dopo qualche impasse, il regista francese regala al pubblico un film divertentissimo, che trasforma la sua brutale onestà in commedia, senza negarsi qualche momento di commozione.
Non è forse un caso che Michel Gondry quest'anno compia 60 anni e, pare di capire, abbia finalmente messo un po' di distanza tra il regista che è oggi e il sé visionario e osannato dalla critica. Nella sua ultima opera guarda al suo passato, racconta i suoi errori, vissuti e perseguiti con tenacia, realizzando una sorta di impietosa analisi del proprio giovane sé e lettera di scuse verso quanti gli sono stati vicini durante la realizzazione dei suoi film più visionari. "Se mi lasci ti cancello," "L'arte del sogno," "Mood Indigo": Il libro delle soluzioni, a dispetto del titolo, è la summa dei problemi che la creatività che ha generato questi film tanto apprezzati ha comportato per il regista.
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La trama di Il libro delle soluzioni
Girata nei luoghi dell'infanzia di Gondry, la pellicola è una commedia che insegue un regista alle prese con un film che non riesce, forse non vuole portare a termine. Dopo alcuni titoli di successo, Marc Berger (Pierre Niney) si trova impantanato nella post-produzione di un lungometraggio che dura già quattro ore nel suo montaggio provvisorio. Di fronte alla richiesta dei produttori di tagliare qualcosa o spiegare loro il senso della trama strampalata del progetto (che risulta soporifero ai più), Marc fugge in campagna con il montato insieme ad alcuni fidati assistenti, con l'idea di terminare il film lontano da ingerenze esterne. Marc in realtà non vuole saperne di vedere il film, terrorizzato di scoprirlo brutto. Per questo motivo addossa tutto il lavoro ai suoi assistenti, nella segreta speranza che lo traggano d'impiccio.
Ha inoltre deciso di non assumere più medicinali per i suoi problemi di salute mentale, lasciando che la sua creatività corra a briglia sciolta, mai rallentata dalla chimica. Le conseguenze di questa scelta però si rivelano insostenibili sul medio-lungo periodo, specie per chi gli sta intorno. Marc infatti salta da un progetto all'altro, inseguendo idee astruse nel cuore della notte, finendo per esasperare i suoi familiari e collaboratori.
Tra i progetti più strambi a cui si dedica, oltre all'animazione di un corto in stop motion (che ci viene mostrato nel corso della storia e taglia a metà il film), c'è proprio il libro del titolo. Il progetto è una summa del potere distruttivo dell'immaginazione senza redini di Marc: dovrebbe essere un libro che contiene soluzioni a ogni problema, ma il suo contenuto si esaurisce in appena qualche simbolo e frase senza senso.
Perché vedere Il libro delle soluzioni
I fan di vecchia data di Gondry faranno bene ad arrivare al cinema preparati: Il libro delle soluzioni infatti ha un approccio visivo molto tradizionale, essenziale. La creatività e il pizzico di follia tipico del regista sono riservati alla storia, ma non prendono mai il sopravvento, come in passato, regalando un film molto, molto vicino al territorio del cinema commerciale.
Questo perché Gondry ha finalmente svoltato pagina. Questa commedia brillante che segna il ritorno di un regista che si era un po' perso e nel raccontarsi ritrova la forma. Attraverso la performance brillante di Pierre Niney, perfetto avatar del regista, Gondry ci racconta il costo di quanto gli abbiamo visto fare in precedenza, spiegando quanto a livello umano essere come lui sia insidioso.
Lasciare correre la propria immaginazione senza redini è gratificante, ma sul lungo periodo distruttivo: è questo che Marc deve capire nel film, ma il processo è così lungo, così viziato da egoismi e colpi di testa, che rischia di isolarsi del tutto e rimanere solo. Le brevissime estasi creative che vive non valgono il prezzo umano che comportano, dice attraverso dialoghi brillanti e tempi comici perfetti il Gondry di oggi, evidenziando le ipocrisie di quello di ieri.
Non è che la creatività di Marc sia sempre dissonante, anzi, alle volte è davvero geniale. Il problema è che, per mettersi al riparo dal dolore e dalla paura del cambiamento, per evitare la nebbia mentale operata dalle medicine che lo stabilizzano, Marc abbraccia anche il più contorto, il più stupido dei suoi spunti creativi.
Il film risulta divertentissimo, specie se qua e là si colgono i riferimenti alla filmografia e biografia di Gondry. Su tutte segnalo la scena in cui Marc decide di registrare la colonna sonora del film provando a condurre da solo un'orchestra messa insieme in uno studio amatoriale di paese, pretendendo che i componenti improvvisino sul momento la traccia guardando il muoversi dei suoi arti e del suo corpo. Il passaggio è molto buffo, ma quel che lo rende pregevole è la consapevolezza che alla base ci sia un aneddoto vero, come confermato dal regista.
Insomma, bisogna fidarsi e affidarsi a Gondry, che quando promette un cameo di Sting poi Sting lo fa apparire davvero, rivendicando le poche gocce di ragione che conservava in un mare di ingiustificate (ma divertenti) follie.