Il ragazzo e l'airone è un film arrabbiato come il suo creatore: la recensione del film di Hayao Miyazaki
La rabbia di Hayao Miyazaki, un mortale che attraverso i suoi film può essere un Dio, è il combustibile che alimenta Il ragazzo e l'airone.
Hayao Miyazaki è un coacervo di contraddizioni e conflitti irrisolvibili, come autore, come uomo, come giapponese. L’aspetto più tragico di un regista e artista sempre in battaglia con sé stesso è che è assolutamente consapevole di questo suo lato fallimentare, a cui non può trovare soluzione né porre rimedio. Miyazaki non sa e non può risolvere il conflitto che ha dentro, neppure con la sua arte, soprattutto con quella. In più vive questa situazione con una gravitas, un modo viscerale e quasi melodrammatico di approcciarsi alla sua opera che lo distinguono da altri colleghi coevi incapaci di appendere la cinepresa al chiodo e godersi la vecchiaia.
Una grande generazione di maestri del cinema sta venendo a patti con la propria mortalità fisica e Hayao Miyazaki è quello che sta vivendo peggio questa fase della propria vita e carriera. Da una parte ci sono colleghi come Martin Scorsese, Ridley Scott, Paul Verhoeven e Marco Bellocchio che hanno trovato la quadra per godersi il tramonto della propria esistenza trovando il modo di rendere la propria passione e il proprio lavoro ancora una volta centrali e rilevanti, con leggerezza. La loro produzione rimane ad alto livello, talvolta incappa in un capolavoro, perché hanno trovato il modo di aver ancora cose da dire e di poterlo fare. Molti di loro, come Miyazaki, da anni sublimano le proprie riflessioni sulla morte sempre più vicina in film testamento spettacolari, grandiosi.
Dall’altra c’è Hayao Miyazaki, che ha annunciato il suo addio al cinema già otto volte, tornando poi sempre sui suoi passi. Il ragazzo e l’airone arriva dopo quello che era sembrato, quello che per molti versi è stato il suo film testamento: Si alza il vento. Nel tempo che questo ultimo lungometraggio ci ha messo a arrivare in Italia, distribuito nelle sale da Lucky Red (in lingua originale e con un doppiaggio e adattamento italiano che non vedrà a capo la controversa figura di Gualtiero Cannarsi), Miyazaki si è trovato costretto a tornare sui suoi passi per la nona volta: se la sua mortalità glielo consentirà, girerà un altro film.
Il ragazzo e l’airone è un film pieno di rabbia
Il ragazzo e l’airone è figlio di questa frustrazione, di questa rabbia: è forse il film più rabbioso di Miyazaki, più aspro e ruvido, dai tempi di Nausicäa della valle del vento. È anche una storia di una complessità enorme, che non sempre è interessata a dialogare col pubblico, a spiegarsi, a semplificare i sentimenti complessi che racconta.
È lo splendido, straordinario equivalente della Pietà Rondanini di Michelangelo, delle ninfee sempre più macchiate e astratte di Monet. Più si avvicina alla sua risoluzione, più Il ragazzo e l’airone si affida ai simboli astratti, per tentare ancora una volta di spiegare irriducibile contraddizione di cui è vittima Miyazaki: un mortale che sa di avere poco tempo per tentar ancora una volta di spiegarsi. Da regista è ben consapevole che una parte di lui sia già immortale, costretto a fare i conti anche con l’eredità della sua opera mentre è ancora in vita. Miyazaki, in buona sostanza, s’interroga sul suo fallimento e non ha risposte rassicuranti da darsi come artista e uomo.
Il precario equilibrio di un secondo addio
Il film è ambientato durante la Seconda guerra mondiale, in Giappone. Il protagonista del film è Mahito Maki, un ragazzino di 12 anni figlio di un importante ingegnere di una fabbrica che costruisce velivoli da guerra. La madre del ragazzo è morta in un incendio e il padre, come da consuetudine giapponese, ha sposato la di lei sorella, che ora aspetta un figlio dal neo sposo. Mahito cova una rabbia violenta per questa situazione, ma rimane silenzioso, composto. La madre non c’è più, lui è stato trascinato in una villa di campagna popolata da anziani, il padre viene scoperto in atteggiamenti affettuosi verso una zia che, di fatto, sta per diventare sua madre.
La villa, lussuosa e circondata da verde e da rovine, è presidiata da uno strano airone grigio, che sembra aver preso di mira Mahito. L’uccello è solo la copertura di un essere mostruoso, che spiega al ragazzo di poterlo portare dalla madre. Deve però entrare nelle rovine di una torre costruita da prozio, scomparso decenni prima. Mahito si ritrova a seguire la misteriosa e inaffidabile creatura, dato che la zia Natsuko sembra averlo preceduto alla torre. Finisce così in una realtà parallela misteriosa, ricca di volatili e creature magiche che sembrano conoscere lui e la di lui madre molto bene. L’architetto di questo mondo è, al suo interno, l’equivalente di un dio, a cui è stata conferita la possibilità di creare la propria realtà tenendo in precario equilibro una serie di costruzioni di legno.
Miyazaki abbraccia il cambiamento, anche se conosce il dolore che comporta
Si alza il vento era personale e autobiografico, ma Il ragazzo e l’airone non è da meno. Impossibile non vedere il confronto tra questa figura divina e il giovane Mahito e non vederci dentro Miyazaki, l’ultimo Dio di un’epoca dell’animazione ormai tramontata, costretto a subire la commercializzazione delle sue storie più intime e sentite, costretto a cambiare metodo di lavorazione, costretto a fare i conti con quanto sia stato un essere umano ricolmo di cattiveria e contraddizioni, dimentico della famiglia e incurante del benessere dei propri collaboratori allo studio Ghibli per realizzare un sogno in più, una storia in più.
Come buona parte delle opere di Miyazaki, Il ragazzo e l’airone è un prodigio di tecnica. L’animazione della scena dell’incendio che apre il film è qualcosa che travalica il cinema e sconfina nella pura arte pittorica, con una potenza visiva ed emotiva incomparabili. Come il vecchio dio del suo film, Miyazaki è arrivato a lambire capacità sovrumane nella ricerca di un equilibrio nella disposizione dei suoi blocchi di legno. Come il suo personaggio, che altri non è se non lui, sente sempre più vicina l’impossibilità di mantener quest’equilibrio, di trovare un’erede. A livello più immediato Il ragazzo e l’airone è un racconto ambientalista e pacifista, che guarda talvolta con disgusto, talvolta con meraviglia a ciò che rende gli umani tali, evidenziandone meschinità e purezza, presenti già nel giqeovanissimo protagonista.
Il vero cuore palpitante del film è però la consapevolezza di potersi confrontare ancora per poco con cui canone che sa già che gli sopravviverà, ma su cui presto non potrà più vegliare personalmente, gelosamente. L’aspetto forse più strabiliante del film è come Miyazaki, attraverso il suo protagonista, identifichi il cambiamento come la strada da percorrere anche se è difficile da accettare, anche se comporta il superamento di ciò che amavamo e non c’è più, Miyazaki che è al contempo colui che rimane nel passato e colui che, film dopo film, si muove verso il futuro, ha capito più di chiunque altro quanto sia necessario e doloroso chiudersi alle spalle la porta di ciò che è stato.
Da qui l’imbarazzo di fronte al proprio fallimento, perché l’unica porta che Miyazaki non riesce a chiudere è quella sulla sua carriera, anche se, soprattutto perché il suo pubblico e l’umanità rimangono sordi ai suoi appelli, alle sue grida.
Il ragazzo e l’airone è un film complesso, ricchissimo di simbologie, che finisce in un regno magico permeabile a una realtà onirica che viene spesso la tentazione di psicoanalizzare. Vedendolo si prova un dolore preciso: quello della consapevolezza di quanto questa bellezza costi in termini umani, materiali e morali al suo creatore, di quanto ogni nuovo film di Miyazaki venga strappato a un passato su cui si sta chiudendo molto rapidamente la porta della Storia.