Il regno del pianeta delle scimmie, recensione: le scimmie sono sempre più vere, ma non scatta la scintilla

Il regno del pianeta delle scimmie espande la cronologia del reboot di una delle saghe fantascientifiche più amate della storia del cinema. Lavora benissimo, ma fatica a conquistare.

Il regno del pianeta delle scimmie recensione le scimmie sono sempre più vere ma non scatta la scintilla

C’è un nuovo film della saga del Pianeta delle scimmie al cinema: non l’originale degli anni ‘70, nemmeno la prima trilogia degli anni ‘10 del nuovo secolo. Il regno del pianeta delle scimmie infatti è una sorta di sequel del reboot/prequel della saga originale, ambientato 300 anni dopo la morte del carismatico leader delle scimmie Caesar.

La reazione tranchant e in latino, tributo all’evidente fascinazione che l’antica Roma esercita sugli sceneggiatori di questa saga (e sulla scimmia villain di questo capitolo, re Proximus) è: cui prodest? Ci sono davvero affezionati estimatori, fan, appassionati di questa saga che, quando meno te l’aspetti, torna a bussare alle porte delle sale con un nuovo capitolo? Sta tutto qui il limite di un film che, come la trilogia da cui germoglia, si muove con sicurezza e professionalità sia sul lato narrativo sia nel suo comparto tecnico, mettendo a segno un risultato che davvero sfida i limiti della capacità visiva umana di discernere cosa sia reale e cosa non lo sia.

ll regno del pianeta delle scimmie è tutto quello che dovrebbe essere un blockbuster: ben scritto, ricco di colpi di scena non scontati e ben orchestrati, capace di raccontare il viaggio geografico e interiore di un eroe alle prese con un mondo da scoprire nella sua violenza e nella sua ambiguità moralità. Eppure, come i suoi predecessori, fatica a conquistare davvero: è un compito davvero ben fatto, ma che non cattura l’immaginazione e lascia freddi.

Il regno del pianeta delle scimmie, recensione: le scimmie sono sempre più vere, ma non scatta la scintilla

Le scimmie hanno vinto, ma non è ancora finita

Cesare è morto, ma la sua eredità continua ad agitare i destini degli animali parlanti del Pianeta Terra. A tre secoli di distanza dalla sua fine, il fronte umano e quello delle scimmie si sono frammentati e con essi il ricordo e l’eco della prima ribellione dei primati contro il genere umano.

Protagonista di questo nuovo segmento narrativo è Noa (Owen Teague), una giovane scimmia che vive in una piccola comunità che si dedica all’allevamento delle aquile (altro rimando imperiale romano), mantenendosi a distranza con gli eco, gli ultimi umani considerati alla stregua dei cavalli e dei volatili. Animali inferiori dall’intelletto limitato.

La tranquilla esistenza del suo villaggio viene distrutta dall’incontro/scontro con un altro gruppo di scimmie belligeranti e da quello con un’umana che si rivela intelligente, in grado di parlare e con un obiettivo misterioso da perseguire. 

L'umana Mae (Freya Allan) e Noa finiranno prigionieri presso l’accampamento che re Proximus (Kevin Durand), che rivendica per sé titolo ed eredità di Caesar, vuole trasformare in un regno delle scimmie. Per farlo, desidera entrare in un antico deposito umano dove spera di trovare la conoscenza necessaria a puntare a una nuova evoluzione tecnologica e militare per il suo nascente impero.

Il presupposto narrativo di questo film è che anche le scimmie, in qualche modo, hanno perso parte della loro evoluzione con la morte di Cesare. Si è persa la memoria dei fatti, la capacità di gestire tecnologia e sapere, adattandosi a uno stile di vita tribale. La famiglia di Noa è esempio di un primitivismo attento agli equilibri naturali e simbiontico con la natura, Proximus invece ricorda certi antichi imperi fondati su violenza, schiavitù e conquiste territoriali.

Mae è l’unica presenza umana in questo scenario e viene sapientemente mantenuta in un costante territorio di ambiguità narrativa e morale: è rappresentante quasi unica di una assenza visibile e palpabile, quella degli umani senzienti, che ancora una volta non sappiamo se giocheranno un ruolo positivo o negativo nel racconto scimmia-centrico.

Il regno del pianeta delle scimmie, recensione: le scimmie sono sempre più vere, ma non scatta la scintilla

Le scimmie sembrano vere, ma la loro storia lascia freddi

A proposito di scimmie: a livello tecnico Il regno del pianeta delle scimmie è davvero eccezionale. Spinge ancora oltre le possibilità degli effetti visivi, tanto che in più frangenti un occhio non tecnico non saprebbe davvero dire se ci sia stata o meno una scimmia a cavallo quando si è girata la scena che viene proiettata. I traguardi tecnici raggiunti da questo film, la capacità d’integrare creature elaborate digitalmente e interpreti in carne e ossa in maniera fluidissima, anche nelle interazioni più complesse, è semplicemente impressionante.

Il film però non compie l’errore di cullarsi sulla sua prepotenza visiva ma anzi: torna a curare con grande attenzione il fronte narrativo, mettendo a segno un paio di scene rivelatorie che riescono a farci sentire l’eco di quel celebre finale del primo film del 1968, che segnò indelebilmente la storia del cinema. 

Si sente tutto il tempo che è passato, quanto la sensibilità sia cambiata da specista ad antispecista. Ormai siamo a nostro agio nella prospettiva un tempo rivoluzionaria delle scimmie e il film la moltiplica e frantuma, aprendo un capitolo dal respiro quasi medioevale. L’eco di un grande condottiero e del suo impero che ancora vive nelle storie, ma le voci frammentate, quanto conquistato in parte perduto, nell’attesa di scoprire se Noa sarà il degno erede di Caesar.

Rimangono però i problemi di sempre, a partire da una durata davvero eccessiva. Il film si prende due ore e venti minuti per rifondare la propria storia. Decisamente troppi, soprattutto considerando quanto suggerisce senza dare risposte definitive nelle parti più intriganti della storia (la scena del telescopio, la chiusa della storia di Mae) e quanto lasci opportunatamente aperte certe "morti" importanti, senza però cadaveri a confermarle. 

In un'intervista di qualche anno fa Andy Serkis aveva detto che l'idea era quella di fare altri tre, quattro, forse addirittura cinque capitoli del franchise. Si ricade insomma nell'errore di incuriosire il pubblico rispetto a evoluzioni future (e non scontate), faticando davvero a trovare una giusta chiusa dopo oltre due ore di racconto. La regia di Wes Ball (regista della saga young adult di The Maze Runner) si rivela solida, ma senza mai guizzi veri e propri. 

Il regno del pianeta delle scimmie, recensione: le scimmie sono sempre più vere, ma non scatta la scintilla

Il regno del pianeta delle scimmie

Durata: 145'

Nazione: Stati Uniti

7

Voto

Redazione

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Il regno del pianeta delle scimmie

Bicchiere mezzo pieno: Il regno del pianeta delle scimmie dona alla ripartenza del relativo franchise uno spunto coerente, solido, con in più la promessa di avere tante idee e tante cose da dire per i capitoli successivi. È uno dei pochi franchise che, chiusa una prima trilogia reboot, si dimostra così solido da centrare un quarto film tanto convincente. 

Bicchiere mezzo vuoto: nonostante il realismo impressionante degli effetti visivi e la solidità di una sceneggiatura davvero ben congegnata, il film manca di entusiasmare. Lo si guarda più animati dalla mezza necessità di spuntare la casella di visione e rimane alla pari con la storia che da una vera e propria urgenza. 

Non male, promosso, ma non riesce proprio a dare l'impressione che avessimo voglia o bisogno di questo ennesimo ritorno. Eravamo pronti a concedere la vittoria alle scimmie già sul finire della scorsa trilogia.

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