Il Signore degli Anelli funziona come anime? La guerra dei Rohirrim prova a raccogliere l’eredità di Tolkien e Jackson: la recensione
Da una pagina dimenticata del corpus tolkeniano Warner Bros prova a espandere Il signore degli anelli nel mondo animato: un’operazione tecnicamente impressionante, ma non sempre incisiva a livello di personaggi.
Nessuno è ancora riuscito a raccogliere l’eredità filmica della trilogia de Il signore degli anelli di Peter Jackson, anche se, a partire dallo stesso regista neozelandese, non si è mai davvero smesso di provarci. Dopo la trilogia minore de Lo Hobbit, dopo i (pochi) alti e i (molti) bassi della trasposizione televisiva prequel/spin-off curata da Prime Video, New Line e Warner Bros hanno pensato di proseguire l’espansione crossmediale del franchise tolkeniano nella direzione dell’animazione giapponese.
Come il Fosso di Helm divenne tale: storia di una fortezza e del suo re
Serviva il progetto giusto che si adattasse agli stilemi di questo medium, senza però allontanarsi troppo dai due punti di riferimento dell’operazione: il gigantesco corpus tolkeniano della Terra di Mezzo da un lato, la trilogia jacksoniana e pietra angolare del fantasy cinematografico dall’altra. La storia giusta è stata individuata in uno di quei tantissimi passaggi appena abbozzati da Tolkien nel tentativo di costruire una storia millenaria coerente di un luogo inesistente. Una storia raccontata in un passaggio lungo poco più di una pagina tratta dall’antologia Racconti incompiuti di Númenor e della Terra di Mezzo, pubblicata nel 1980 dal figlio dello scrittore.
Il protagonista putativo della srtoria è Helm Mandimartello, leggendario nono re di Rohan che si ritrovò a combattere contro un esercito di Dunlandiani. Il film ripercorre la storia di come e perché il Fosso di Helm prese il suo nome, collegandosi così alla trilogia jacksoniana. L'architettura della fortezza è abbastanza famigliare da stuzzicare la memoria del pubblico, opportunamente stimolata di tanto in tanto da altri riferimenti a personaggi, luoghi e vicende centrali nell’adattamento jacksoniano. Nel racconto letterario c’è una figlia senza nome di re Helm, che occupa un ruolo secondario nelle vicende belliche ma, un po’ come fece Jackson nel suo adattamento (e in particolare con il personaggio di Eowyn) il gruppo di scrittura dietro a questo film ricama attorno a ciò che Tolkien lascia non detto una storia da protagonista per la ragazza.
La guerra dei Rohirrim dà un nome e una storia alla figlia di Helm
La pellicola stessa si apre con questa avvertenza: i cantori e le ballate non ricordano nemmeno il nome di Héra, figlia di Helm Mandimartello, ma la sua storia non raccontata è centrale per le sorti del film. Ci ritroviamo così in una narrazione che tenta di tenersi in equilibrio tra tre poli: epica tolkeniana, adattamento jacksoniano e canone giapponese animato. Il risultato, forse non così sorprendentemente, è un film dal forte gusto high fantasy, che fa sue le dinamiche del racconto fantastico più tradizionale, lavorandole in favore della sua protagonista femminile e non solo, senza però mai ribaltarle.
Il risultato per atmosfere fa pensare quasi più all’animazione francese, culturalmente vicina alle leggende dei cavalieri medioevali e a prodotti statunitensi d'antan come i fumetti, la serie e i film del principe Valiant, se appunto i personaggi femminili avessero avuto un ruolo più centrale. La volontà è quella di tentare di ricreare le atmosfere tolkeniane e jacksoniane, ma forse è l'obiettivo meno centrato dal lungometraggio, che non ha il carisma e forza narrativa per utilizzare i temi musicali di Howard Shore e uscirne vincitore. Sin dalla voce narrante di Miranda Otto (ovvero la Eowyn dei film) questa è una connessione che suona inutilmente, specie in avvio, quando la pellicola sta ancora gettando le basi della sua identità. Meriterebbe di potersi muovere più liberamente, senza dover fare la riverenza a ogni svolta narrativa ai suoi fratelli maggiori.
Rispetto all’adattamento jacksoniano, La guerra dei Rohirrim si dimostra meno abile nel tradire la storia dove necessario, infondendo carisma ai personaggi, donando loro psicologie e caratteri che li rendano interessanti per il pubblico oggi in sala. L’impressione è di sentirsi raccontare una generica leggenda medioevale, un racconto i cui personaggi sono codificati come avviene la tradizione orale: il re possente e orgoglioso, la figlia saggia e ribelle, il pretendente la cui mente viene avvelenata dal desiderio di vendetta e via dicendo. Più che personaggi unici sono caratterizzazioni archetipe e per questo poco incisive, poco memorabili.
Héra non è abbastanza "sporcata" per essere davvero interessante
L’unico personaggio con un po’ di verve è Helm Mandimartello che, pur aderendo pienamente al canone letterario del leggendario re medioevale, ha quel tanto che basta di shakesperiano da renderlo interessante. I pregi di Helm spesso finiscono per diventare i suoi maggiori difetti: la capacità di governare e prendere decisioni diventa qua e là dispotica, l’orgoglio regale diventa miopia in chiave politica ma anche nella gestione dei rapporti familiari. La voce di Brian Cox in questo senso è perfetta per colorare le sue battute di tutta l’ambiguità e tracotanza necessaria.
Meno invisiva invece Gaia Wise, la doppiatrice in originale di Héra, che però si ritrova per le mani la solita protagonista femminile che al contrario non è sufficientemente “sporcata”. Héra è la saggia giovane ragazza che sa sempre istintivamente da che parte stare, i cui moti di ribellione sono più che comprensibili dal pubblico contemporaneo e alla lunga questo volerla rendere una protagonista senza ombre la trasforma in un personaggio piatto, noioso.
Sono i comprimari a risultare più accattivanti, coloro che si muovono al fianco di Héra e del suo pretendente Wulf. I loro confidenti Targg e Olwyn hanno un passato da guerrieri e un presente da consiglieri leali che li rende molto più interessanti dei rispettivi protagonisti a cui si accompagnano.
Per animazioni e regia La guerra dei Rohirrim è davvero lo stato dell'arte degli anime oggi
Se dal punto di vista narrativo il film scorre e si lascia vedere, senza appassionare e ogni tanto scivolando nella noia, dal punto di vista tecnico Il Signore degli Anelli - La guerra dei Rohirrim è davvero un prodotto d’eccellenza, che merita di essere visto dagli appassionati. Le animazioni - gestite dal regista Kenji Kamiyama collaborando con lo studio di effetti speciali Weta e con realtà d’animazione di oltre 60 paesi - sono tra le migliori viste nell’ultimo decennio.
In questo senso il film riesce a replicare il grandeur produttivo che New Line volle nella controparte cinematografica, proprio nelle scene di battaglia che vedono coinvolti centinaia di fanti, cavalieri e cavalli. L’animazione è fluida, il character design dei personaggi il giusto compromesso tra caratterizzazioni asiatiche un certo qual stile senza tempo che ben si armonizza con gli echi epici delle saghe tolkeniane. Kenji Kamiyama sa palesemente il fatto suo nel creare una regia incontri i suoi climax naturali laddove la storia arriva a dei punti di non ritorno, esattamente come fece Jackson nel più bellico dei tre capitoli, Le due torri, che qua e là La guerra dei Rohirrim si trova a omaggiare. Dopo il film dei Looney Tunes, Warner Bros nel giro di pochi mesi si riconferma uno studio in grado di finanziare opportunamente progetti animati di grande ambizione, con un approccio produttivo che nulla ha da invidiare alle alle sue sfide live action più impegnative.