Il Traditore

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Marco Bellocchio torna a Cannes. E lo fa con gran classe. Con il suo “Il Traditore” (presentato e uscito nelle sale simbolicamente nel 27esimo anniversario della strage di Capaci), il regista piacentino fornisce un contributo cinematografico utilissimo alla storia recente del nostro paese. Ma sopratutto ha il grande pregio di fornirci tantissimi spunti di cinema puro.

L'accostamento Bellocchio-Buscetta non suona come il più adatto. La scelta di affidare al regista un così complesso e pesante progetto produttivo, risiede nella volontà di Bellocchio stesso di mettersi al servizio di narrazioni cinematografiche di successo o consolidate. In quest'ottica si può vedere l'ultima opera del regista “Fai bei sogni”, trasposizione del bestseller di Massimo Gramellini. E in quest'ottica possiamo anche vedere la scelta da parte di Bellocchio (che fu sì un grande alfiere del free cinema di marca inglese degli anni '60, ma non propriamente un esponente della scuola del cinema di denuncia sociale) di realizzare la travagliata e complessa vita del pentito di mafia Tommaso Buscetta.

 “Il Traditore” è più film in uno. Da una parte la storia di un uomo. Dall'altra, la vicenda giudiziaria. Sul primo versante possiamo definire quanto mai vigorosa la tenuta registica di Bellocchio: egli tratteggia (attraverso la grande interpretazione di Favino, capace di recitare in tre lingue distinte) l'epopea di un uomo attraverso oculate scelte musicali.

Come se fosse una partitura operistica, vediamo Buscetta destreggiarsi tra le arie di Giuseppe Verdi, dal Nabucodonosor all'Aida. Nelle scena d'azione, montate e a tratti anche in quelle erotiche vediamo la mano di un cineasta che pur avendo quasi ottant'anni è rimasto giovane (stilisticamente) nell'animo.

Il Traditore

La vicenda giudiziaria di Buscetta (che sostanzialmente comprende metà del film e le sue deposizioni nel corso dei vari processi) invece si inserisce nel filone del cinema documentaristico, che tanti epigoni ha avuto negli ultimi anni nella nostra cinematografia nazionale. In questo contesto oltre che risultare molto oculata l'interpretazione di Favino (oggettivamente identico nelle fasi di deposizioni al pentito di mafia che più che pentito si definiva mafioso integralista) segue un buon cast di attori che deve interpretare personaggi ovviamente realmente esistiti. Con più (De Gennaro) o meno (Falcone, Giulio Andreotti) efficacia.

“Il Traditore” è dunque un bel film ma collocabile in una via sospesa, in cui di fronte al cinema puro e alle trovate narrative (molto interessante quella del flashback finale, che non sveliamo), il rischio di apparire un po' troppo un documentario e un po' troppo poco un film (purtroppo) resta tutto. E' tuttavia chiaro, però, che “Il Traditore” sia un contributo di indubbio valore dato al cinema italiano (oltre che alla verità giudiziaria del nostro paese). E per questo Bellocchio andrebbe ringraziato e sostenuto in vista del Festival di Cannes in corso in questi giorni.

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