Il treno dei bambini: un pezzo di storia italiana nel commovente film di Cristina Comencini
Un tuffo in un passato che non tutti conoscono ma che tutti dovrebbero ricordare
Pochi elementi nelle nostre vite hanno lo stesso potere evocativo della musica. Lo sa bene il Maestro Amerigo Speranza (Stefano Accorsi) che, immediatamente prima di un concerto, riceve una dolorosa notizia che gli fa fare un tuffo nel passato. Ma lo sa bene anche il vero Maestro, Nicola Piovani, che cura la colonna sonora de Il treno dei bambini, il film di Netflix firmato da Cristina Comencini che ci racconta con commozione, onestà e delicatezza un pezzo di storia d’Italia.
La trama de Il treno di bambini
Quando la notizia di un grave lutto lo raggiunge, il maestro Amerigo Speranza torna con la memoria indietro nel tempo, alla sua infanzia. Nel 1944, a Napoli, mentre la madre Antonietta (Serena Rossi) lo cercava per correre al rifugio, il piccolo Amerigo (Christian Cervone) pensava al nascondino sotto i bombardamenti. Subito dopo la fine della guerra, quando i bambini giocavano in mezzo alle macerie e andavano in giro senza scarpe - da qui la fissazione di Amerigo proprio per le scarpe - i comunisti offrono alle madri l’opportunità di mandare i loro bambini al Settentrione, dove non soffriranno la fame e saranno accuditi. Ma fra la gente, gira voce che i treni porteranno i bambini in Unione Sovietica, dove verranno mangiati…
Antonietta, amante del “signore” locale, dice che il marito è in America. Dopo aver già perso un figlio per malattia, decide di mettere Amerigo sul treno dei bambini. I treno che lo porterà al nord e da cui, una volta cresciuto e diventato forte nella famiglia di Drena (Barbara Ronchi), tornerà…
Un pezzo di storia italiana
La povertà, la mancanza di alternative, le madri che fingono di non aver fame per dare più cibo ai figli. Nella Napoli dell’immediato dopoguerra, l’Italia che cerca di rialzarsi dopo la sconfitta pensa ai bambini. I bambini del Sud che non hanno mai visto la neve, né sanno cosa sia.
Le famiglie che li aspettano al Settentrione, nel caso di Amerigo a Modena, mente la banda suona l’inno nazionale stringono cartelli che inneggiano all’unità e alla solidarietà fra Nord e Sud.
C’è un pezzo di storia italiana nel film commovente, onesto e delicato della Comencini. Un film girato come i film di una volta, pensato dall’inizio alla fine per immergerci in un passato che ha scritto la storia di tante famiglie. Di tanti bambini che per un pezzo di vita più o meno lungo, a volte senza mai tornare a casa, hanno avuto due madri, la loro mamma e una mamma del Nord.
Dal bestseller di Viola Ardone, Il treno dei bambini ci mostra due aspetti dello stesso Paese, un Paese che ha combattuto per scacciare gli invasori tedeschi col sangue e che ora combatte ancora, per rialzarsi.
Amerigo - con un ragazzino che lo interpreta in modo straordinario - si fa interprete di un viaggio della speranza che prima spaventa e poi conquista. Come sempre accade ai bambini che affrontano un grande cambiamento. Dalla paura della mortadella e dei tortellini, cibi che non hanno mai visto, alla separazione dagli amici di sempre, gli amici del quartiere, quando arrivano i genitori affidatari a prendere i loro nuovi ospiti. Fino al momento in cui Amerigo resta solo in stazione: la sua mamma affidataria sta partorendo e non può più prenderlo, così tocca a Derna portarlo a casa. Una donna del partito, che ha perso l’amore della sua vita per mano dei fascisti e sta per trovarne uno nuovo. Derna non ha marito Né figli ma un fratello, Alcide (Ivan Zerbinati), una cognata e dei nipoti che diventano la nuova famiglia di Amerigo.
Alcuni bambini, come Rossana, soffrono molto la separazione dai genitori e sono arrabbiati: non capiscono perché, per essere al sicuro, hanno dovuto lasciare l’unica casa che avevano mai conosciuto. Altri bambini, come Amerigo, scoprono un futuro che non sognavano neppure. L’amore per la musica, il violino che impara a suonare, le lezioni a scuola, il rapporto di amore-odio, da veri fratelli, con Nario: tutto, per Amerigo, diventa “casa”. Quando parte ha solamente sette anni. E quando torna sa già cosa vuole fare da grande. Qualcosa che la sua mamma non può offrirgli.
Con gli occhi di un bambino
Non tutti conoscono la storia dei treni di bambini che separavano le famiglie e ne creavano di nuove. Il treno dei bambini ce la racconta senza fronzoli, con onesta verità, ma anche con delicatezza mostrandocela dal punto di vista dei bambini. Ragazzini che non capiscono perché devono lasciare i loro genitori, che hanno paura di ciò che non conoscono, che tornano a casa con una mamma in più… Mentre i grandi, i genitori del Sud e del Nord, affrontano il dolore e le difficoltà come si fa quando l’infanzia non esiste più, o magari non è mai esistita.
L’Italia del film scritto da Cristina Comencini insieme a Furio Andreotti, Giulia Calenda e Camille Duguay, è un’Italia che non esiste più ma nella quale è facile ritrovarsi. Perché anche dopo 80 anni esatti, riconosciamo gli italiani che hanno ricostruito un Paese per noi. Gli italiani che quando c’è bisogno si tolgono il pane di bocca per darlo a chi ne ha bisogno per sopravvivere. Gli italiani che si battono per conquistare una vita migliore, gli uomini e le donne che lottano contro tanti nemici, inclusi la fame e la disparità.
Il treno dei bambini non fa retorica, racconta una realtà poco conosciuta che meritava attenzione. Il treno dei bambini conquista dal primo istante, da quel bambino che gioca a nascondino mentre cadono le bombe, dai ragazzini che ridono in mezzo alle macerie e che sono i nostri nonni, i nostri genitori, gli italiani che forse non meritavamo, ma di cui avevamo un disperato bisogno.