Jeanne du Barry è il grande ritorno di Johnny Depp? La recensione

Maïwenn regala a Johnny Depp l’occasione di fare il suo grande ritorno. Jeanne Du Barry è godibile, ma non certo un film che assolve i peccati dei suoi protagonisti.

di Elisa Giudici

Johnny Depp è tornato, sì, ma perché una parte del pubblico e una parte del gotha hollywoodiano ha deciso che è arrivato il momento di riaccoglierlo a braccia aperte. A Cannes il divo dal presente burrascoso ha raccolto 7 minuti di applausi per la sua interpretazione di Luigi XV nel film di scritto diretto e interpretato dalla regista franco-algerina Maïwenn e dedicato a Jeanne Du Barry.

In tutto il film però si faticano a trovare motivi per applaudire tanto a lungo, anche se va concesso a questo titolo in costume di essere quantomeno godibile e di facile visione. Una favoletta, una fanfiction ambientata a Versailles che smussa gli angoli di una storia che già immaginiamo, scambiando sesso, intrighi politici e lotte tra i corridoi della reggia francese per una storia d’amore a cui si fatica a credere, ma che si tutto sommato si lascia guardare.

Al Festival di Cannes si sono viste aperture affidate ai film francesi ben più claudicanti di questa, ma rimane interessante capire perché la parte del re invaghito della cortigiana spavalda e anticonformista sia stata proprio affidata a Depp.


Continua la leggere la recensione di Jeanne du Barry - La favorita del re:

Jeanne du Barry, tra realtà storica e finzione

La storia le ha messe una contro l’altra e ora anche il cinema le affianca. Da sempre Jeanne du Barry è l’altra faccia di Maria Antonietta. La favorita di Luigi XV e la giovane principessa austriaca destinata a diventare sposa dell’ultimo re di Francia si sono incrociate in vita e hanno condiviso lo stesso destino “rivoluzionario”: la ghigliottina. L’aneddotica vuole la contessa du Barry e Maria Antonietta impegnate a far valere il proprio potere sull’avversaria, con la giovane delfina costretta infine a capitolare.

 

Bellissima, spavalda e ammaliatrice, la contessa e favorita del re è circondata da un’aura da faccendiera, sgualdrina, politicante. L’idea di fondo di Maïwenn - qui impegnata nel triplice ruolo di sceneggiatrice, autrice e protagonista - è quella di concedere alla favorita lo stesso beneficio del dubbio di cui gode la delfina.

La sua Jeanne è una donna curiosa e assetata di avventure e sapere, che conquista un posto a corte non tanto per mire politiche, quando perché in grado di ammaliare naturalmente un re prigioniero di una vita oltremodo ripetitiva e cerimoniosa. Maïwenn va controcorrente nel trasformare l’intrigante arrivista in una donna affettuosa, genuina, travisata per il suo troppo amore e lo scarso interesse per l’etichetta di corte.

Cosa funziona e cosa no in Jeanne du Barry - La favorita del re

La critica un po’ snob adorerà demolire questo film, dissezionandone le numerose ingenuità. Nella proiezione dedicata alla stampa - un luogo a cui ai film non si perdona davvero nulla - si è riso un po’ di fronte a certe uscite molto melodrammatiche, come quando Maria Antonietta esclama, inorridita dalle convenzioni di palazzo: “è grottesco!” e un servitore le risponde: “No, è Versailles”.

Maïwenn ha però una dote che difficilmente questo tipo di detrattori le riconoscerà: sa fare cinema che lo spettatore spaventato dall’autorialità riconosce come proprio e potenzialmente apprezza. Jeanne du Barry - La favorita del re non è nemmeno lontanamente la peggior apertura francese vista a Cannes, anzi. Pur claudicante in molti passaggi, ha l’indubbio merito di scivolare via velocemente e senza tediare lo spettatore; nel bene e nel male.

Non si può che riconoscere alla sua realizzatrice l’ardire, o forse sarebbe meglio dire la cazzima, con cui decide di mettere sé stessa al centro di un film che racconta la contessa che stregò il re francese. Una donna a cui è impossibile resistere per dolcezza, affettuosità, magnanimità. Non si fatica a capire perché la sua reazione standard in ogni scena sia un risolino divertito: a chi non piacerebbe essere al centro di un film se non sontuoso comunque ricco, girato a Versailles, pieno di costumi e dettagli lussuosi, in cui la protagonista è il centro costante dell’attenzione? Pazienza se i gusti di Maïwenn sono un po’ cheap, pazienza se la sua scrittura ricorda certe fanfiction che si leggono su Wattpad.


La sua Jeanne è molto onesta nel dire di non sapere cosa sia l’amore. Anche chi l’ha scritta fatica enormemente a dire un qualcosa, ancorché banale, in merito. Jeanne e Luigi XV si amano, semplicemente, senza motivi, senza conseguenze, con pochissime complicazioni. È una precisa scelta quella di scambiare sul piatto della bilancia intrighi politici e scandalose capriole nei baldacchini reali con una romanticheria di palazzo priva di erotismo e mordente. Funziona? Personalmente avrei preferito vedere un ritratto di una donna consapevole e presente a sé stessa, a testamento delle sue grandi capacità amatorie certo, ma anche psicologiche e politiche, che le hanno permesso di rivaleggiare con cui stava sotto lo stesso tetto per mero diritto di nascita.

Maïwenn in questo però è iper-contemporanea, perché interpreta le fallacie e le arguzie della sua protagonista come indesiderabili difetti da omettere: meglio renderla buona come il pane che riconoscerle il merito di aver giocato, anche sporco, per arrivare dov’è arrivata.

Com’è Johnny Depp Jeanne du Barry - La favorita del re

E in tutto questo Johnny Depp e il suo francese dall’accento americano che fa? Non facciamo gli ingenui come questa Du Barry: Maïwenn scegliendolo forse non ha preso l’attore più regale e adatto alla parte, ma si è assicurata una visibilità stratosferica, impensabile con un collega francese al fianco. Il film di ottimi interpreti francesi abbonda, ma ai lati del re decaduto, ma in via di riabilitazione, di Hollywood.

Depp ricava dal film forse ancora di più. La sua interpretazione è passabile, di certo non stellare. Si vede che non appena c’è un che di buffonesco si trova subito a suo agio, si percepisce che nei momenti più malinconici deve proprio trattenersi. Gli costa non essere al centro della scena, lavorare per sottrazione, anche se poi Maïwenn gli regala tutta la lenta parte finale.

Non è un grande ritorno, ma è sufficiente come pretesto per quanti - nel pubblico e nell’industria, a torto o a ragione - avevano fretta di rimetterlo sul piedistallo da cui è caduto per vicende extra cinematografiche.