L’unica follia di Joker: Folie à Deux è di pensare di essere un buon film

Joker: Folie à Deux è di gran lunga il film peggiore tra quanti visti finora in competizione per il Leone d’Oro. Prende le criticità del film precedente e le amplifica in una pellicola esasperante per lentezza, ripetizioni, mancanza di lucidità.

di Elisa Giudici

Joker: Folie à Deux è di gran lunga il film peggiore tra quanti visti finora in concorso a Venezia 81. Lo è senza possibilità d’appello. Chi scrive all’epoca del Leone d’Oro al primo Joker di Todd Phillips (2019) fu molto critica rispetto a quella pellicola, ai suoi messaggi ambigui, all’ipocrisia di fondo con cui dipingeva il suo protagonista come vittima assoluta, inquadrandolo in una cornice blandamente populista e compiaciutissima, quasi esaltando la rilettura del personaggio DC in chiave incel. Joker però, nel suo essere ruffiano, insistito e mai sottile, era un film compiuto, con delle innegabili scelte brillanti.

Joker: Folie à Deux smette di brillare a una decina di minuti dall’avvio di pellicola sotto forma di cartone animato alla Looney Tunes. L’introduzione animata rivisita il finale del primo film esplicitando la lettura psicoanalitica che questo film vuole farne: Arthur è vittima di una seconda personalità, il Joker, sviluppatasi a seguito degli eventi traumatici della sua vita e incline alla violenza e all’omicidio. Joaquin Phoenix torna a interpretare l’eroe emaciato e complessato della prima pellicola, in procinto di affrontare il processo giudiziario in cui rischia la pena di morte per le cinque persone che ha ucciso. Joker: Folie à Deux è dunque un film giudiziario, che si consuma nell’aula dove il procuratore distrettuale Harvey Dent (Harry Lawtey) spinge per la pena capitale mentre la difesa tenta di provare che la sanità mentale di Arthur è irrimediabilmente compromessa.

Il processo di Joker: Folie à Deux è una farsa senza né capo né coda

Il processo è una farsa e non perché il Joker lo renda uno pseudo spettacolo circense-televisivo. Il film è del tutto incapace di creare un crescendo, un’aspettativa, un buon film procedurale ambientato in un’aula di tribunale. Ricorre a tutti gli stereotipi e trucchi del genere, non lasciando dietro di sé nulla, se non l’impressione che si sia distrutta, da subito, la sospensione dell’incredulità dello spettatore. La psichiatra di Arthur per esempio gli chiede se qualche evento precedente agli omicidi “gli abbia triggerato ricordi d’infanzia” (sic), gli fornisce la diagnosi di disturbo di personalità ancor prima di cominciare il colloquio che dovrebbe appurare se Arthur abbia questa condizione. Una delle peggiori psichiatre della storia del cinema? Anche da profani dell’arte psicoanalitica è evidente quanto sia sbagliato e approssimativo il ritratto dell’iter processuale e clinico del protagonista, che rimane l’imbattuto campione di un certo vittimismo esistenziale.

Durante un trasferimento conosce Lee (Lady Gaga), un’internata della sezione psichiatrica con il pallino della piromania. È amore al primo sguardo, alla prima canzone. Come ampiamente anticipato infatti, Joker: Folie à Deux è anche un musical (checché abbia detto Lady Gaga in conferenza stampa) con più di una decina di canzoni che punteggiano i sogni a occhi aperti e le fantasie di rivalsa di Joker. Nonostante il pallino per il fuoco di Lee comporti ricadute non da poco e nonostante il legame con Arthur sia immediato ed evidente, la polizia lascia la donna libera di circolare al capezzale di lui, nell’ennesimo passaggio di trama totalmente irrealistico e ridicolo, anche se ambientato nella città fittizia di Gotham.

Joker 2 è un musical ripetitivo e senza una canzone memorabile

La musica si diceva: si canta e si balla (il valzer e il tip tap) dentro e fuori le fantasticherie di Arthur. C’è un inedito di Gaga intitolato Folie à Deux che però si perde nel vasto utilizzo di brani dal sound retrò/datato, che si confondono e sovrappongono l’uno con l’alto. La durata dichiarata del film è di 138 minuti, ma nel lungo segmento centrale dove s’intrecciano le fantasticherie del protagonista e le udienze processuali Joker si perde così tanto per strada che quella percepita è di 813 minuti. Si finisce per dubitare che questo film abbia qualcosa da dire. L’impressione è che no, non ce l’abbia e si nasconda dietro il prepotente vittimismo della prima pellicola, replicandola.

Per fare un esempio: essendo ambientato ad Arkham Asylum, tra poliziotti violenti, guardie carcerarie corrotte e assistenti sanitari rassegnati al quieto vivere, Joker potrebbe tentare di far un discorso sulla violenza come insita sistematicamente nel sistema giudiziario, carcerario, potrebbe tentare un commento sull’evidente e crudele giustizialismo del futuro Duefacce. Invece dapprima mette sulla scena il poliziotto narcisista ma sostanzialmente positivo verso il protagonista e poi, a fronte di un commento molto blando, fa esplodere un grado di violenza immotivata, per il gusto di dirsi “estremo”. C’è la scena di un brutale omicidio con un martello che non ha motivo narrativo di esistere se non nel ribadire quando Joker come film non abbia limiti.

Invece ne ha eccome. È limitato da una trama ancor più involuta e sfilacciata del primo, che forse non diffondeva messaggi particolarmente edificanti - per lo più vittimisti e assolutori - ma non conosceva mai l’esasperante lentezza e ripetitività (di canzoni, di duetti, di concetti già espressi) di questo sequel. Il messaggio è sempre quello: sì, Arthur fa cose terribili alle volte, ma è messo sotto pressione da altri così grottescamente crudeli da giustificare la sua reazione uguale e contraria. Il film vorrebbe descriverci Joker come un simbolo capace di lusingare così tanto l’immaginario collettivo da diventare un marchio, una maschera slegata dalla persona, o almeno è questo che si ricava dalla chiusura della pellicola. Rimane il fatto che il finale ci fa interrogare sul sento dell’intera operazione: se deve finire così, dopo aver ripetuto poco e male quanto fatto col primo capitolo, che bisogno c’era di girarne un secondo.

Lady Gaga, a sorpresa, è l’unica a salvarsi nella debacle di Joker 2

A sorpresa l’unica che si salva è Lady Gaga, nei panni della più improbabile Harley Quinn vista finora su grande schermo. Come cantante non ha bisogno di presentazioni, mentre il suo collega Joaquin Phoenix non ha doti canore di rilievo e anzi si muove spesso sull’orlo della stonatura. S’impegna tanto e il film lo fa cantare a più e più riprese, ma davvero non ha la stoffa per incantare. Lady Gaga invece un’operazione canora come questa può condurla a oggi chiusI. Sul fronte recitativo i limiti della pop star sono più evidenti, ma perfettamente in bolla con quelli del film.

Joker: Folie à Deux infatti è quel genere di film che, anche quando azzecca una scelta di regia, non può che sottolinearla più e più volte, in attesa di lodi. È il genere di pellicola in cui se mimi il gesto di spararti in testa, il montatore farà in modo che tu prema il grilletto proprio quando la colonna sonora raggiunge il suo picco, a tempo di musica. In questa continua esasperazione dei toni e delle immagini, Lady Gaga è nel suo elemento, ne esce quasi morigerata in come recita il personaggio meglio scritto del film. Certo si ricade ancor una volta nella tentazione di dare tutta la colpa alla donna di turno, dopo averla data al turno del poliziotto, al giudice, all’avvocatessa della difesa.

Essendo Joker: Folie à Deux tale, Arthur subisce in tanti sensi il rapporto von Harley Quinn, che si rivelerà manipolatrice e insincera. Rimane il grande, enorme problema di prendere una decisione su chi sia Joker, sul se farlo apparire o no, sul concordare se Arthur sia consapevole o mosso dal suo subconscio. In un’arringa finale diluita e sfilacciata arriva una risposta così biascicata nella sua esposizione che non si può fare a meno di chiedersi se non sia l’ennesima farsa di un film che davvero manca del tutto l’obiettivo di spiegarci quanto è cambiato rispetto alla prima pellicola e perché tutto sia di molto peggiorato.

Nell’economia del film stesso, tutto è mutato in peggio: la narrazione, le soluzioni stilistiche, l’incapacità di creare nuove scene iconiche (e la soluzione pigra di rivisitare quelle del primo film, a partire dalla famosa scalinata). La soluzione fornita, ancora una volta piacionissima, porterà i più ingenui a parlare di geniale morale finale, mentre i più cinici e disincantati ci vedranno dentro la prova che questo film esiste solo in quando aberrazione creata dalla Mostra del cinema di Venezia. Nel 2019 quel Leone d’Oro legittimò artisticamente un film e un’opera che già allora avevano poco da dire e per giunta dicevano cose meschine ammantandosi dell’aria di chi si solleva contro l’establishment e i potenti.

Il bicchiere mezzo pieno? Significa che un premio come il Leone d'Oro ha ancora una certa rilevanza se Warner Bros è pronta a distribuire questo film, interamente giustificato da quella vittoria. Quello mezzo vuoto? Bisogna assegnarlo con grande oculatezza, per evitare altri Joker: Folie à Deux in futuro.