Joy

di Francesca Perozziello
La storia (vera) di Joy Mangano, casalinga diventata miliardaria grazie al Miracle Mop, ha tutte le caratteristiche del perfetto sogno americano.
Deve averlo intuito anche David O. Russell, che ha deciso di portare sul grande schermo la vicenda di un'inventrice che ha rivoluzionato la vita di molte donne. Per farlo, Russell ha scelto un cast ormai collaudato: fra i protagonisti troviamo infatti Jennifer Lawrence, Robert De Niro e Bradley Cooper, giunti alla loro terza collaborazione con il regista dopo Il lato positivo e American Hustle.



1989. Siamo a Quogue, minuscolo centro nello stato di New York. Joy Mangano, trentenne divorziata con due figli, vive con la madre Terri (Virginia Madsen), che trascorre le giornate a guardare soap-opera dal proprio letto. Nella stessa casa vivono anche Mimi (Diane Ladd), nonna di Joy nonché unica persona della famiglia dotata di buon senso, ma anche l'ex-marito Tony (Edgar Ramirez), che abita nello scantinato.

Come in una moderna fiaba, la vita di Joy é piena di ostacoli e antagonisti, a partire dalle mura domestiche. Costretta a portare sulle sue spalle il peso di una famiglia assente o, ancora peggio, nociva, Joy alterna lavori precari per mantenere i figli. Soffocate le ambizioni e le invenzioni che avrebbe potuto brevettare, vive come una sorta di Cenerentola, subendo continue umiliazioni dalla nuova compagna del padre e dalla sorellastra. Ma é proprio un incidente domestico, quello che le permetterà di inventare il Miracle Mop, famoso mocio per pulire i pavimenti che può essere strizzato senza sporcarsi le mani.

Jennifer Lawrence, forse un po' troppo giovane per il ruolo, ha dieci anni in meno rispetto alla vera Joy all'epoca in cui brevettò la sua prima invenzione. Si ha l'impressione di avere davanti una bambina che indossi per gioco i vestiti e i trucchi della madre, troppo larghi e decisamente non adatti alla sua età. A parte questo primo impatto visivo, poco credibile, Lawrence si dimostra all'altezza della situazione, con un'interpretazione in grado di seguire gli stati d'animo della sfortunata protagonista dalle umiliazioni al successo.



Nei panni della matrigna anni '80 c'é una perfida Isabella Rossellini, elegante vedova italiana che non perde occasione per mettere alla prova Joy. Principe consorte di questa (aspirante) matrigna in carriera é un Robert De Niro che, per il film, é un padre inconsistente e ambiguo, come vuole la migliore tradizione letteraria. In questo idilliaco quadretto familiare non poteva mancare Peggy (Elisabeth Rohm), sorellastra di Joy con un lievissimo complesso di inferiorità.

Bradley Cooper é invece Neil Walker, personaggio fittizio che unisce due figure realmente esistite. Producer del canale televisivo QVC, celebre per le sue televendite, Walker é la "fata madrina" della storia, che con la sua televisione e le telefonate in diretta porta il Miracle Mop all'attenzione delle casalinghe americane.
La televendita é, a tutti gli effetti, la bacchetta magica e al tempo stesso l'incantesimo della storia, in grado di catapultare l'esperienza personale di Joy in migliaia di case sparse per tutti gli Stati Uniti.



Il film raggiunge i punti più alti quando fa affidamento su una narrazione non convenzionale. Le soap-opera tanto amate da Terri, infatti, diventano più di una volta parte integrante del racconto, fra sogno e allucinazione, ma si rivelano ottime metafore per dare corpo alle paure della protagonista. Anche il narratore, del quale ometteremo il nome per evitare lo spoiler, é fra le scelte più felici di Russell, autore della sceneggiatura insieme ad Annie Mumolo.
Altra scelta ammirevole perché poco convenzionale é quella di non aver riposto troppa fiducia sui personaggi maschili, che al massimo si rivelano aiutanti ma non veri e propri fautori della fortuna di Joy.

Più di una volta, nel corso del film, si fanno aperti riferimenti al tanto agognato American Dream. Quel sogno americano che ha permesso a David O. Selznick, come ricorda Walker, di diventare un uomo di successo e di sposare la fidanzatina d'America Jennifer Jones, pur essendo figlio di immigrati.
In Joy ci sono tutti gli ingredienti per raccontare una storia di riscatto personale e professionale: dagli inizi, fatti di estenuanti pulizie domestiche, fino alla sua rivalsa che passa attraverso le televendite. Una pellicola che, nel complesso, convince, ma che a tratti punta troppo sul patetismo e sull'empatia che la protagonista deve suscitare nello spettatore.

Un film che, probabilmente, piacerà al pubblico americano più che ad ogni altro.