Kill Me if You Can, recensione: Rambo è solo l’inizio
Viviamo in un’epoca in cui ogni minima pagliuzza narrativa può essere espansa per ore e ore, quale che sia la sua rilevanza. Riducendo questa frase ai minimi termini e in maniera un po’ volgare ma forse più efficace: ogni scorreggia può diventare un film o una serie, quale che sia il rumore o l’odore che fa.
La crescente popolarità dei servizi streaming sta plasmando la narrazione in modo da tirar fuori il massimo minutaggio dal minimo contenuto. Il risultato è che spesso, in recensioni come questa, ci si trova a ripetere con termini più o meno diversi un concetto molto semplice: questa serie sarebbe dovuta essere un film di due ore, questo film di due ore avrebbe funzionato meglio come cortometraggio. Il contenuto di qualità, se presente, viene spesso imbottito di aggiunte più o meno irrilevanti, spalmato in uno strato sottilissimo su tanti, tanti episodi, con il solo scopo di tenerci qualche momento in più davanti allo schermo.
Kill Me if You Can è uno di quei rarissimi casi in cui viene da rammaricarsi che un film non sia una serie o che quantomeno il suo creatore Alex Infascelli non ne abbia realizzato uno spin-off, una seconda parte.
D’altronde quella di Raffaele Minichiello è una di quelle esistenze in cui sono racchiusi dentro decine di fatti straordinari, laddove ci sono persone che non ne vivo (o sopravvivono) nemmeno al primo evento eccezionale che fronteggiano.
Per saperne di più continua a leggere la recensione di Kill Me if You Can:
Di cosa parla Kill Me if You Can
Raffaele Minichiello è un sopravvissuto a tante cose: alla guerra del Vietnam, certo, al più lungo dirottamento aereo della storia dell’aviazione statunitense (da lui stesso operato), alla morte di moltissime donne chiave della sua vita. Soprattutto, nel bene e nel male, è sopravvissuto a sé stesso, alla sua ingenuità e al suo narcisismo.
È soprattutto questo che racconta Kill Me if You Can, il documentario con cui Alex Infascelli realizza un ritratto molto incisivo del personaggio che mette al centro, riuscendo ad evidenziarne anche i lati non detti, i vuoti taciuti, i possibili risvolti oscuri di una figura che riesce a essere emblematica per ben tre decenni. Infascelli non è interessato a dare un giudizio morale o di merito alla figura di Minichiello, quanto piuttosto a catturare tutte le sue sfumature più sfuggenti.
Nonostante abbia passato gli ultimi 50 anni della sua vita con le telecamere puntate addosso, dando a Infascelli una marea di materiale d’archivio con cui lavorare, il Minichiello di Kill Me if You Can è una persona su cui esprimere un giudizio è piuttosto complesso, dato che il ritratto delle persone che hanno condiviso con lui un tratto di strada è molto variegato, talvolta contraddittorio. Nelle parole del figlio maggiore c’è amarezza, altri conoscenti esprimono ammirazione, c’è chi non è voluto nemmeno apparire nel doc, chi è scomparso prima di farlo, chi ancora lo considera un eroe.
Perché vedere Kill Me if You Can
Dopo i suoi inizi come regista di videoclip, conduttore e autore televisivo e infine regista di thriller e noir, Infascelli veste alla perfezione gli abiti del documentarista adulto, maturo, in pieno possesso degli strumenti necessari per girare un film riuscito come questo. Nell’intervista a Alex Infascelli che ho avuto occasione di fargli qualche giorno fa, lui stesso spiegava di essersi avvicinato ai doc quasi per caso, sentendo crescere in lui l’interesse per le storie vere e la voglia di autenticità al centro delle sue opere, pur avendo sempre pensato di voler essere un regista di genere.
Il bello di Kill Me If You Can è che la storia - documentatissima - di Minichiello si rivela di difficile autenticazione, la persona al centro del doc viene inquadrata sempre più nettamente come un personaggio proiettato dietro cui si nasconde qualcuno che ha taciuto alcune cose, rimosso altre.
Scoprire la storia del dirottatore d’aerei italiano e reduce del Vietnam che ha ispirato il personaggio di Rambo insomma è solo l’inizio di un’avventura umana molto italiana e molto statunitense, ricchissima di chiaroscuri, con tanti personaggi che a loro volta meriterebbero un documentario dedicato (la hostess afroamericana Tracy su tutti).
Peccato dunque che non ci sia stato più tempo, più ore, più minutaggio per inserire tutto quello che in Kill Me If You Can non è entrato, tutto quello che Alex Infascelli stesso ti racconta, se hai la fortuna di parlare con lui del progetto per qualche minuto. O forse meglio così, tutto considerato.
Le storie come quella di Minichiello non sono mai finite perché sono in continua evoluzione, in continuo ripiegamento su quel non detto che forse neppure il protagonista ammette lucidamente a sé stesso.
Rating: Tutti
Durata: 90'
Nazione: Italia
Voto
Redazione
Kill Me if You Can
La definizione stessa di “incredibile storia vera”: Infascelli confeziona un documentario su una vita straordinaria che non ha fretta di dare giudizi, ma si pone tante domande. Più avvincente di un podcast e un film true crime, con un protagonista che è difficile capire se sia il buono, il cattivo o l’eminenza grigia della sua stessa storia.