L'ora più Buia

Joe Wright è uno che non si è mai spaventato davanti a certe sfide. D’altronde è proprio grazie alla sua determinazione che con Espiazione è diventando il più giovane regista nella storia del Festival di Venezia. E nel suo percorso di crescita artistica, da buon inglese, ha deciso di provare a confrontarsi con una delle figure più importanti ed ingombrati dell’era moderna Britannica. Un personaggio carismatico, istrionico, indecifrabile, fragile e allo stesso tempo inamovibile: Winston Churchill.

Storia di un grande personaggio

Guardando l’Ora più Buia con attenzione, è abbastanza facile notare quell’amore che Wright nutre per la storia dell’arte. Una passione così forte che spesso e volentieri ha influenzato i suoi lavori con inquadrature e montaggio.

Ed è proprio in questi due elementi che L’Ora più Buia eccelle e spicca in maniera determinante; scelte precise, propedeutiche al minuzioso racconto su quelle che sono state le prime fasi di guerra dell’Inghilterra, fino al “successo” di quell’operazione Dynamo che ha rinvigorito gli animi del popolo.

Una guerra raccontata però da un differente punto di vista, dalle aule della politica e della burocrazia; da quelle stanze in cui si decidono le sorti di un paese e la vita di migliaia di soldati brutalmente soggiogati dalla potente avanzata dei panzer tedeschi.

Ed è qui che si infila la figura di Churchill e la sua evoluzione all’interno della pellicola: dalla scelta obbligata del suo partito (a discapito del più benvisto Visconte Halifax) di sceglierlo per un governo di larghe intese, fino alla forte decisione di non cedere alle pressioni del suo partito e ad un potenziale tavolo dei negoziati con la Germania (mediata, tra l’altro, dal governo italiano).

Per raccontare la figura di un vero leader, Wright sceglie la strada meno ovvia e banale. Il personaggio di Churchill viene raccontato principalmente attraverso i dialoghi, i litigi, le debolezze e le tensioni. Un ragnatela di rapporti umani che viene tessuta magistralmente da Kristin Scott Thomas  nei panni della moglie, di Lily James in quelli della sua dattilografa, per non dimenticare quelli con il Re Giorgio VI interpretato da un bravissimo Ben Medelsohn.

Al centro di questo fitto vortice umano c’è poi il Churchill di Gary Oldman. Un’interpretazione praticamente perfetta,  aiutato da un trucco che lo rende quasi irriconoscibile. Il Primo ministro interpretato dall’attore inglese ci regala un performance perfettamente equilibrata nei suoi eccessi, profonda e in grado di portare a galla pregi e difetti di un uomo a cui si è chiesto di diventare leader in pochissimo tempo.

C’è davvero tanto di cui si potrebbe parlare; la quantità di spunti di discussione che nascono dalla visione di questo biopic sono così ben raccontati e montati che, difficilmente falliranno nella loro volontà di far riflette sulla dimensione politica e umana, e di come questi due elementi confluiscano in una figura che si è trovata a governare il paese nell’ora più buia della sua esistenza.

Chiudo parlandovi del già citato montaggio (praticamente inattaccabile, in grado di dare ritmo anche ad un film piuttosto lento) e di un fotografia che ho trovato quanto mai piacevole. Senza girarci troppo attorno abbiamo, senza ombra di dubbio, un altro serio candidato alla vittoria dell’Oscar più importante di tutti (Miglior Film), ma soprattutto una pellicola in grado di far emergere una figura di indubbio fascino e curiosità.