L'Ufficiale e la Spia

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Il caso Dreyfus (secondo molti cineasti e soprattutto secondo molti storici) è probabilmente l'evento storico più complesso da portare sul grande schermo. Una vicenda giudiziaria complessa, necessita di una messa in scena per forza di cose in costume e di riprese dall'elevato costo e valore simbolico. Basti pensare alla scena della degradazione del capitano francese presso l'Hotel degli Invalidi (di cui ci resta soltanto una litografia) è che secondo molti registi rappresenta in potenza la sequenza cinematografica più spettacolare di tutti i tempi.

A tutto ciò, si deve la ritrosia e la congenita timidezza della cinematografia che conta nei confronti di questo evento storico.  Molti film del passato in realtà sono stati realizzati sul tema (il primo addirittura risale al 1899) ma nessuno è riuscito veramente a lasciare un segno. Probabilmente l'opera cinematografica di maggior successo fu un film che volutamente trattava il tema in maniera del tutto laterale (è questo già dice tutto), come "The Life of Emile Zole" di William Dieterle, che si aggiudicò il Premio Oscar al Miglior Film per il 1937.

L'Ufficiale e la Spia

Alla luce di queste strutturali perplessità (e alla ricerca di fondi per questo scopo) in molti erano preoccupati in vista della realizzazione di un film sul tema diretto da Romano Polanski, regista Premio Oscar e soprattutto di famiglia ebraica. Ovvero: quanto mai sensibile alla tematica trattata.

Il film proposto a Venezia (dove si è aggiudicato il Premio della Giuria) ha tra l'altro scatenato delle polemiche non tanto per la complessità del tema storico trattato, ma per i precedenti penali di Polanski che non si è potuto presentare a Venezia proprio per questo motivo (tra gli strali della Presidente della Giuria della Mostra del Cinema). A tutte queste grandi preoccupazioni e dubbi, Polanski ha risposto però con un film bellissimo. In primo luogo nell'essere un film "politicamente" intelligente.

Il tema dell'antisemitismo e della discriminazione nei confronti della religione ebraica, è purtroppo qualcosa che è tornato al centro del dibattito pubblico nazionale ed internazionale. Ma non è con questo "politicamente" che l'opera "L'officiale e la spia" si configura come ben riuscita. Ma nel senso dell'ottica prettamente cinematografica.

L'Ufficiale e la Spia

Polanski deve aver avuto ben presente (del resto da anni lavorava col fidato sceneggiatore Robert Harris a questa pellicola) come sia facile scottarsi con un vicenda storica come quella di Dreyfus. Più che realizzare dunque un film-kolossal sull'evento degli eventi (col rischio di far lievitare i costi e di conseguenza di realizzare un flop) ha deciso di rendere questo film una pellicola quanto mai parlata, quasi dall'impostazione più teatrale che cinematografica.

Le scene di esterni sono relativamente poche, e Polanski predilige un minuzioso racconto della vicenda giudiziaria e mediatica attraverso le sale dei ministeri, le topaie adibite ad uffici dei servizi segreti, le aule di tribunali come set di un potenziale film nel film, come insegnava la granitica e tradizionale cinematografia inglese d'antan ("Madeleine", "The Paradine Case" e via dicendo).

Facendo muovere il colonello Picquart (Jean Dujardin) attraverso un racconto storico che però diventa anche giallo, diventa capolavoro della messinscena, diventa esempio di cinema pedagogico, memore della lezione rosseliniana dei film per la tv degli anni '70 come "La presa di potere di Luigi XIV" o il favoloso "Cartesius" con l'indimeticato Ugo Cardea.

Ci si aspetta un kolossal, i colpi di cannone, la Cayenna come un parco giochi, mentre ti ritrovi davanti semplicemente una messa in scena fantastica, in quanto l'unica che si potesse realizzare per un materiale del genere.

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