La prima Notte del Giudizio

Il cinema è stato sempre pronto a sbatterci in faccia realtà alternative che tanto distopiche, a volte, proprio non lo sono. In questo caso parliamo di The Purge, thriller del 2013 scritto e diretto da James DeMonaco, il quale evidenzia come la società americana affronti la crisi economica e la frustrazione sociale istituendo un giorno di “purificazione”, nel quale ogni cittadino può andarsene liberamente per strada a sfogare ogni sua perversione finanche a commettere degli omicidi, così da ripartire il giorno dopo come se nulla fosse accaduto.

L’idea alle spalle del progetto è stata ambiziosa quanto critica, soprattutto leggendo alcune linee di dialogo tra le righe, e ha dato il via a una trilogia, sempre diretta da DeMonaco, dove si è delineata una trama filopolitica avvincente, votata soprattutto a far emergere temi globali di pubblico dominio: il controllo demografico della popolazione mondiale, la disparità economica delle classi sociali e la sempre, crescente, rabbia sottocutanea nei confronti del diverso.

Lo stesso cinema citato poco sopra ha fatto spesso anche uso della politica del prequel, o per meglio dire, ha dato spago a diversi registi che hanno voluto fare lo spiegone sul “come tutto ebbe inizio”. Potevano esimersi dal raccontarci questa storia?

LA PRIMA VOLTA NON SI SCORDA MAI

Arriviamo a oggi, pensando a ieri. La situazione economica non è delle più rosee e la società americana è al limite, mostrando i segni evidenti di quella che potrebbe diventare presto una vera e propria guerra civile. Il sistema dichiara di non riuscire a trovare una soluzione definitiva ed è qui, prontamente, che entrano in gioco i Nuovi Padri Fondatori, un élite di personaggi politici predisposti a prendere lo scettro del potere al fine di risanare la situazione.

Tra tutte le manovre economico/politiche immaginabili, un team di psicologi capitanato dalla Dottoressa Updale (Marisa Tomei) arriva alla “geniale” conclusione di condurre alla Purificazione. Un esperimento sociale in cui, appunto, i cittadini possono dare libero sfogo a ogni tipo di violenza per un’intera notte, senza alcun tipo di ritorsione giuridica. E' interessante scoprire il luogo dove si conduce l’esperimento, visto che viene preso di mira il quartiere di Staten Island, noto per ospitare una grandissima comunità di persone di colore molto povere.

L’esperimento prevede inoltre che i membri della comunità, qualora accettino volontariamente di rimanere in loco (partecipando anche all’occorrenza) possano ricevere un compenso dai 5000 dollari in su. Non serve uno scienziato a rivelarci che, per rendere l’esperimento funzionante a 360°, gli stessi organizzatori montino delle telecamere e forniscano delle particolari lenti a contatto a chi partecipa, così da monitorare e condividere i “successi” di tale pratica.

A discapito delle previsioni la "Battle Royale" non sembra iniziare, o per meglio dire, la partecipazione è così bassa da non indicare la necessità di una pratica così barbarica quanto insensata. Motivo per cui, inutile dirvi anche questo, qualcuno degli organizzatori cambia le carte in tavola di nascosto, calando il poker d’assi al momento più opportuno per portare a casa il risultato con un egoistico “all-in” macchiato di sangue.

Senza raccontarvi le dinamiche nello specifico, il concetto messo in tavola da Gerard McMurray (sempre guidato da DeMonaco alla scrittura) sembra funzionare sulle prime battute, soprattutto perché fa largo uso di inquadrature frenetiche che alternano primi piani a inseguimenti veloci, rendendo noto allo spettatore ogni caratteristica del substrato sociale in cui si svolgono gli eventi. Si parla di rispetto tra bande, di persone che preferiscono rimanere tranquillamente in casa o fare delle feste in strada piuttosto che andare in giro a uccidersi (il che potrebbe essere anche ovvio, dato che mi paghi 5 cucuzze per non fare nulla). L’utilizzo delle lenti a contatto luminose, nonché di colore diverso, hanno il pregio di rendere l’intera vicenda surreale nelle ambientazioni buie, dove a emergere sono proprio questi occhi spiritati che danno l’idea di essere inseguiti da qualche bestia inumana.

Il problema però emerge da metà pellicola in poi. Sembra infatti che l’intera vicenda subisca un repentino cambio di connotati , passando da quello che vuole essere un film permeato da agghiaccianti tematiche sociali (razzismo e orrori della storia americana), volutamente inseriti per richiamare diversi cliché, a un film appartenente al genere blaxploitation, dove ad emergere sono i protagonisti Dmitri (Y’Lan Noel) Nya (Lex Scott Davis) e Isaiah (Joivan Wade).

Il primo è un gangster locale che ha fatto i soldi grazie alla droga, ma davanti al putiferio messo in atto dai poteri forti decide di difendere il suo quartiere, nonché la sua ex e suo fratello, dalla minaccia di turno. Che ci potrebbe pure stare, sia chiaro, ma che nel farlo mi vai in giro con la canotta della salute accompagnato dal sottofondo musicale hip-hop di Kevin Lax, insomma, forse un po’ stona sviando dal contenuto principale.

Il montaggio dona un contributo fondamentale alla riuscita iniziale della pellicola, ma non riesce a salvare il salvabile sulle battute finali della pellicola. Detto in soldoni, si avverte velocemente la perdita della natura conflittuale di critica socio-politica al mondo, facendo passare il tutto nelle mani di un antieroe che fa il suo lavoro in modo eccessivamente plateale. Le incongruenze sono tantissime e vi troverete più di una volta a chiedervi la ragione per cui alcuni personaggi continuano a occupare frammenti di pellicola.