La profezia dell'Armadillo
Zero, ventisettenne con la passione per i disegni, vive nel quartiere romano di Rebibbia e si divide fra lavori precari, ripetizioni a un annoiato ragazzino benestante e serate al centro sociale o davanti ai videogames con l'amico di sempre Secco. Ad accompagnare questa quotidianità una serie di riflessioni semiserie sulla vita, l'etica, la società, una sorta di esilarante flusso di coscienza con la forma (e la voce) di un ingombrante armadillo. La notizia dell'improvvisa morte per anoressia di Camille, una vecchia compagna di scuola, scuoterà questo torpore e porterà Zero, forse, a una nuova maturità.
Diciamolo subito, a scanso di equivoci: portare sul grande schermo i fumetti di Zerocalcare serbandone intatto lo spirito non era affatto impresa facile.
Troppo complessa e allo stesso tempo fin troppo 'banale' la quotidianità raccontata in prima persona dal 30enne fumettista romano (al secolo Michele Rech) in forma di strisce, prima pubblicate sul proprio blog e poi approdate in libreria. Una quotidianità fatta di primi lavoretti, nevrosi, centri sociali, serie tv, plumcake, amori mai consumati, amici sciroccati, militanza pseudo-anarchica e legame viscerale con la periferia ("siamo andati in centro due giorni di seguito, è grave", esclama uno dei protagonisti, desideroso di tornarsene a Rebibbia).
La comicità delle avventure quotidiane, dunque, e la possibilità di identificarsi nelle nevrosi del nostro eroe: sono sempre stati questi gli ingredienti del successo di Zerocalcare; purtroppo sono proprio gli elementi che mancano ne 'La profezia dell'armadillo' di Emanuele Scaringi, trasposizione cinematografica dell'omonima graphic novel del 2012.
La mancanza di una sceneggiatura solida si avverte già dalle prime inquadrature: se nel fumetto l'alternarsi delle scene di vita quotidiana con la vicenda 'principale' - la morte di Camille e la ricerca degli amici che la conoscevano per dar loro la notizia - a suo modo funziona, nel film questo delicato equilibrio si perde e la sensazione è quella di assistere a una serie di sequenze slegate tra loro e prive di un vero collante. A peggiorare il quadro si aggiungono alcune scelte registiche e narrative incomprensibili: inserti di animazione che scimmiottano lo stile di Zero ma che non sono disegnati da lui, personaggi inventati, la scarsa cura per i dettagli e una morale finale posticcia.
Qua e là si intravedono spunti potenzialmente divertenti (l'apericena in centro, i colloqui casalinghi con l'armadillo, la discussione sull'alta velocità, non a caso orchestrata da Pietro Castellitto, unico nel cast a salvarsi) ma sono veramente poca cosa rispetto al quadro generale. Non è un caso che Zerocalcare si sia lentamente defilato dalla produzione di questo film, che è quanto di più lontano dal suo stile e salla sua 'poetica'.