La recensione di It’s What’s Inside, il film di Netflix che riflette sull’identità

Chi sei davvero? Impossibile saperlo...

di Chiara Poli

Alicia Clark in versione influencer fa una certa impressione. Siamo abituati a vederla non esattamente in forma e preoccupata del look, visto che Alycia Debnam-Carey è l’attrice divenuta celebre proprio grazie al ruolo di Alicia in Fear The Walking Dead. Alycia con la “y” stavolta ci si presenta in una veste inedita. Interpreta Nikki in It’s What’s Inside su Netflix, ovvero un volto noto dei social che dispensa consigli sulla bellezza su come ritrovare la passione con il partner. A seguire i suoi consigli c’è Shelby (Brittany O’Grady, Star) ed è una cosa molto triste. Perché lei e il suo ragazzo Cyrus (James Morosini, The Sex Lives of College Girls) sono molto giovani. E che ci siano problemi di passione in una coppia così giovane è al tempo stesso triste e preoccupante. Ma se pensate che il problema sia questo, vi sbagliate di grosso.

La trama di It’s What’s Inside


Un gruppo di vecchi amici si ritrova in occasione del matrimonio di Reuben (Devon Terrell, Curde), che si sposerà il giorno seguente. Il matrimonio si terrà nell’enorme villa che apparteneva alla madre di Reuben, in cui erano già stati tutti anni prima. La sera prima del matrimonio arrivano Shelby e Cyrus, Nikki, Dennis (Gavin Leatherwood, Le terrificanti avventure di Sabrina), Maya (Nina Bloomgarden, The Resort), Brooke (Reina Hardesty, StartUp) e Forbes (David Thompson, Gotham). Forbes, che in passato pare aver causato qualche problema, porta con sé una valigia che non lascia mai. Al suo interno c’è una macchina che Forbes usa per proporre un “gioco” ai suoi amici: scambiarsi l’identità. Ma le cose non vanno come previsto e la situazione precipita…

Non conta l’aspetto esteriore, ma cosa c’è dietro


Nikki dispensa consigli su come riaccendere la passione in una coppia e a seguire le sue indicazioni c’è Shelby. Nonostante le due ragazze si conoscano di persona, Shelby ha un rapporto evidentemente fondato sull’invidia con la versione social di Nikki. Nessuno segue il profilo di Shelby, mentre quelle di Nikki spopolano. Questo aspetto è interessante perché rispecchia molto la realtà di oggi, in cui i ragazzi hanno una versione pubblica, quella dei social, e una dimensione privata che a volte è piuttosto diversa. Non nel caso di Nikki, che per la sua vanità e la sua superficialità verrà punita, come monito dell’autore del film a non fingere ma di essere qualcun altro (capirete meglio vedendo il film). Nell’era degli influencer, come ha tristemente dimostrato la vicenda di Chiara Ferragni, fingersi migliori e apparentemente perfetti alla fine non paga. Perché la verità prima o poi viene a galla. E in una storia di finzione come quella di It’s What’s Inside si viene puniti in modo creativo. È sostanzialmente questo il messaggio del film scritto e diretto da Greg Jardin, al suo esordio in un lungometraggio.

La premessa sugli intenti è fondamentale per arrivare al nodo della narrazione: il gioco. Forbes racconta di aver lavorato per anni con il suo team alla macchina che permette di “giocare” a diventare qualcun altro. In un’evidente metafora dei social network e di come molti si trasformino in una versione di sé che non esiste davvero. Quando Forbes afferma che quello che lui chiama “gioco” è sicuro ci sta anticipando ciò che sappiamo già: succederà un disastro.

Perché, qualcuno inizia a non seguire le regole, le cose prendono una piega inaspettata.

Nei panni degli altri


La dicotomia presente in certe persone fra dimensione pubblica e privata diventa una delle chiavi di lettura di questo “gioco” in cui ci si mette, letteralmente, nei panni degli altri. Perché prendersi cura di qualcun altro come ci si prenderebbe cura di se stessi è qualcosa che solo chi non vive questa dicotomia potrebbe fare. Non a caso, la scelta dei personaggi protagonisti dell’evento tragico che cambia tutto, spiazzando sia noi che i personaggi, rimanda esattamente a questa idea. Da quel momento in poi, mescolare le carte serve solamente a confondere noi, il pubblico.

Perché abbiamo appena conosciuto 8 personaggi e già ci troviamo a dover cercare di riconoscerli, di fidarci di loro, di capire come si comporterebbero in determinate situazioni.

La metafora di mettersi nei panni degli altri, e non solo in senso letterale, serve a mettere a nudo la vera personalità dei protagonisti. Solo di fronte a una situazione di emergenza siamo davvero noi stessi. Solo quando dobbiamo prendere una decisione moralmente impegnativa mostriamo realmente di che pasta siamo fatti.

It’s What’s Inside, il cui titolo fa riferimento al vecchio adagio secondo cui, alla fine, l’aspetto esteriore non avrebbe importanza, non fa giri di parole. Ci mostra, anziché dircelo, quanto pensare di conoscere qualcuno sia un’illusione. Perché le persone possono essere imprevedibili o, più spesso, possono essere molto diverse da come pensavamo. A prescindere che siano amici, compagni e famigliari.

Non è tanto il gioco (nostro) di indovinare chi sia chi, a far funzionare il film. I virtuosismi stilistici a tratti convincono, perché funzionali alla narrazione, e a tratti fanno sembrare il tutto troppo pretenzioso, ma a pensarci bene hanno uno scopo, perché è esattamente questo che Greg Jardin ci sta dicendo: che ci sono forma e sostanza, e che spesso vengono confuse, più o meno volutamente e più o meno consapevolmente.