Anche Jon Voight deve pagare le bollette: la recensione di Mercy, su Netflix
Su Netflix un film con regia, sceneggiatura e montaggio disastrosi
Su Netflix è disponibile, Mercy, il film con Jonatan Rhys-Meyers, John Voight e Leah Gibson in cui una dottoressa, ex militare, combatte un gruppo di criminali che prendono in ostaggio il piccolo ospedale in cui lavora.
La trama di Mercy
Reduce da un grave trauma personale e familiare, la dottoressa Michelle Miller (Leah Gibson, Jessica Jones, Manifest) - ex medico dell’esercito in Afghanistan - lavora in un piccolo ospedale. Mentre il figlio la spetta all’ingresso, l’ospedale viene preso in ostaggio da una banda criminale appartenente al clan dei Quinn, una famiglia di delinquenti irlandesi a cui appartengono Patrick Quinn (Jon Voight, Mission: Impossible), suo figlio Sean (Jonathan Rhys Meyers, Sognando Beckham) e un altro figlio, Ryan (Anthony Konechny, Animal Kingdom) che, rimasto ferito durante uno scontro con la polizia - così racconta Sean - diventa un paziente della dottoressa Miller. Patrick e i suoi prendono in ostaggio l’intero ospedale per vendicare il ferimento del figlio. Ma le cose non sono andate come pensa Patrick… E la presenza della dottoressa Miller in corsia metterà i bastoni fra le ruote alla banda dei criminali.
Un film di rara bruttezza, con una fra le peggiori regie mai viste
Sarebbero bastati anche solo due elementi per capire che siamo di fronte a un film di scarsissima qualità: il primo minuto e mezzo, che già rende l’idea, e la presenza di Jonatan Rhys Meyers che, negli ultimi anni, si è reso protagonista di produzioni di serie Z. Speravo che la presenza di Jon Voight, attore dai grandi trascorsi che risulta essere tre spanne sopra al resto del cast, rappresentasse l’eccezione che conferma la regola. Mi sbagliavo. Fra la sequenza iniziale, affrettata ai limiti del ridicolo, e i ripensamenti della dottoressa sotto la doccia in modo vagamente lascivo, tocchiamo il fondo entro i primi cinque minuti del film di Netflix.
Più in basso di così era difficile scendere, e ci aspetteremmo che il livello si alzi. Attenderemo invano.
Far gridare: “Attenti, è un’imboscata!” a un personaggio quando ti stanno già sparando da un quarto d’ora significa spiegare al pubblico ciò che sta succedendo come se il pubblico fosse cieco e sordo. Aggiungiamo il rallenty di due colpi di pistola, una regia e un montaggio totalmente confusionari e abbiamo il quadro della situazione.
Livello dei dialoghi della sceneggiatura: “Non mi sono mai piaciuti gli ospedali, ci muoiono troppe persone”.
La regia sconsiglia la visione a chi soffre il mal di mare. Ti fa sentire come se fossi ubriaco… Ma è più facile che fosse Tony Dean Smith, il regista, ad aver alzato un po’ il gomito. Magari durante una cena la sera precedente l’inizio delle riprese con lo sceneggiatore Alex Wright. Inquadrature inclinate, finta camera a mano che in realtà sono inquadrature instabili, sequenze ondeggianti… Negli anni ’70 hanno inventato un simpatico strumento, una macchina da presa con stabilizzatore, chiamato steadycam che rende stabili le riprese in caso di operatori alticci. Si vede che nessuno l’ha detto al team tecnico di Mercy.
Questo film è pieno di perle trash. Avete presente quando Ben Stiller in Zoolander muove velocemente le mani attorno alla testa di Christine Taylor ottenendo in tre secondi un’acconciatura professionale? Ecco: la stessa cosa la fa - su di sé - la nostra dottoressa dottoressa Miller mentre si prepara a combattere gli irlandesi brutti e cattivi. Muove le braccia e come per magia eccola là: una coda di cavallo perfetta in meno di un secondo. Alla cena alcolica c’era anche il montatore.
Sconsigliato a chi soffre il mal di mare
Il continuo ondeggiare delle riprese instabili è talmente fastidioso - più che altro perché a volte è quasi impercettibile: non voluto - che rischia di farvi venire il mal di mare. Tenetelo presente, casomai voleste comunque cimentarvi nella visione di questo esempio di tutto ciò che non andrebbe fatto in un film.
L’incapacità degli interpreti è così evidente che la presenza e il carisma di Jon Voight - a un certo punto si mette a cantare una vecchia canzone triste, rappresentando il picco più alto del film - lo fa sembrare un alieno sbarcato per caso sul set.
Ma Jon Voight è anche l’unica ragione per cui il mio voto, che dovrebbe essere un 2, sarà un 3. Ma salire più di così, Voight o no, è impossibile. Peccato anche per il povero Mike Dopud, qui nei panni dell’agente dell’FBI Duncan Jones, ma noto al grande pubblico per tante serie, da Battlestar Galactica a Smallville, da Cedar Cove a Power. Ma sapete com’è: le bollette si devono pur pagare.