La recensione di Mindcage: Il silenzio degli innocenti dei poveri (d'idee)

Senza spoiler, ecco cosa dovete sapere se decidete di vedere questo film

di Chiara Poli

Il soggetto è l’idea di un film. La sua storia, raccontata a grandi linee.

Il soggetto di Mindcage - Mente criminale, in prima visione su Sky e NOW dal 19 agosto, è firmato dal suo regista, l’italiano (di origine, ma nato in America) Mauro Borrelli.

La sceneggiatura è di Reggie Keyohara III (fra i 3 copioni che ha scritto, solo uno raggiunge la sufficienza: The Cage).

Mauro Borrelli ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, specializzandosi nel Rinascimento.

Borrelli è un artista, esperto di arte e visual designer. A Venezia ha vinto il premio per il migliore cortometraggio con la sua Donna del Moro, appunto incentrato sull’arte.

Questa doverosa premessa serve a spiegarvi come Borrelli, pur avendo lavorato alle importanti saghe di Star Wars, Pirati dei Caraibi e Batman, ha meno dimestichezza nel mondo del cinema, rispetto a quello dell'arte. E si vede.

Mindcage è un disastro. Una scopiazzatura cheap - anche registicamente parlando, e in modo fastidioso - de Il silenzio degli innocenti, con l’aggiunta di un elemento “paranormale” che, al momento della sua rivelazione, mi ha fatta scoppiare a ridere. Purtroppo per Borrelli, la risata non era voluta.

La trama di Mindcage - Mente criminale


I detective Mary (Melissa Roxburgh, Manifest) e Jake (Martin Lawrence, Bady Boys) indagano su sconvolgenti omicidi le cui vittime vengono “trasformate” in inquietanti opere d’arte. Per catturare il killer, il tenente Owings (Robert Knepper, Prison Break) autorizza Mary a contattare “L’Artista” (il grande John Malkovich), il serial killer che 5 anni prima aveva sconvolto l’opinione pubblica dando inizio a omicidi identiti. Mary cerca di convincere l’Artista a darle le informazioni per catturare il suo emulatore.

Il silenzio degli innocenti dei poveri (d’idee)


C’è poco da girarci intorno: tutto, in questo film, richiama Il silenzio degli innocenti. Non come un rispettoso omaggio, però. Semplicemente come fonte per raccontarci una storia assurda, che regge fin al momento in cui il “mistero” viene svelato.

Non è necessario che vi spoileri l’assurdità della rivelazione finale. È sufficiente che vi racconti come la sempre adorabile Roxburgh sia messa a cercare di sostenere un impietoso confronto con il premio Oscar Jodie Foster e il suo rapporto con Anthony Hopkins (Oscar anche lui, per il ruolo) nei panni di Hannibal Lecter.

La Roxburgh se la cava più che dignitosamente, ma non meritava di doversi sobbarcare la maggior parte del lavoro di questo film. Martin Lawrence è un noto comico, totalmente fuori parte. E se devo spiegarvi come mai John Malkovich abbia accettato di recitare in questo film, la risposta è facile: ha superato i 70 anni e i ruoli non piovono più come una volta. Bisogna pur lavorare, e lui lo fa sempre benissimo.

Ecco, Malkovich è l’unica vera attrattiva di questo film, ma non basta per reggere Mindcage da solo.

La povertà di idee che anima le vite di questi personaggi sullo schermo è disarmante.

Dal momento stesso in cui Mary entra nel manicomio criminale per incontrare l’Artista, anche i più volenterosi non possono non vedere la brutta copia di quel momento che fece la storia del cinema, quando l’agente Starling incontrò il dottor Lecter per la prima volta.

Per non parlare degli omicidi: un richiamo esplicito ed elaborato di ciò che lo stesso Lecter fa a una delle sue guardie, prima di fuggire.

Perfino la scena - anch’essa di culto - del montaggio che trae in inganno gli agenti dell’FBI mentre Starling bussa alla porta giusta viene citata. In malo modo.

E poi la cella, le sbarre, le opere d’arte, la fotografia… Tutto.

Mi stupisco che qualcuno abbia voluto produrre questo film. Ma probabilmente è un limite mio: come non capisco questo scempio, non capirò mai i film rifatti inquadratura per inquadratura (vedi Psyco di Gus Van Sant e Suspiria di Guadagnino, tanto per citarne due).

Un esercizio di stile che serve solo ai registi, non certo al pubblico: gli originali sono sempre infinitamente superiori. E vale anche per Il silenzio degli innocenti, 5 meritatissimi Oscar, smisuratamente lontano da questa operazione furba al limite dell’imbarazzante.