La zona d’interesse cambia per sempre il cinema sull’Olocausto
Gelido e inquietante, il dramma storico di Jonathan Glazer segna un punto di non ritorno per il cinema che racconta l’Olocausto, senza nemmeno mostrarlo.
“La banalità del male” è la frase più usata e abusata per descrivere quel che fa La Zona d’Interesse, il nuovo film di Jonathan Glazer. Eppure non c’è nulla di banale né in quello che fanno i suoi protagonisti né in come il regista di Under The Skin li racconta. Anzi. Il suo film segna un prima e un dopo il racconto dell’Olocausto, macchia nera del Novecento a cui è stato dedicata una sconfinata pagina di filmografia, in costante crescita.
Glazer adatta l’omonimo romanzo del 2014 di Martin Amis, ma lo fa in maniera così libera e radicale che si fatica a riconoscere dentro il suo film quelle pagine. Il regista inglese trova un modo inedito per raccontare la realtà dei campi di concentramento in quel particolare momento storico in cui lo sterminio era già in corso ma la cosiddetta “soluzione finale” era in corso di messa a punto, sperimentazione.
Dentro il fronte nazista raccontato dalla pellicola ci sono due posizioni che si fronteggiano: una vuole mantenere in vita gli ebrei in condizioni appena più umane per sfruttarli come forza lavoro per l’industria tedesca, l’altra vuole ucciderne quanti più possibile ma incappa in un problema di natura organizzativa, pratica. Liberarsi di un così grande numero di persone concentrate in luoghi così limitati richiede uno sforzo ingegneristico di proporzioni enormi. Il protagonista del film sarà colui che troverà "la soluzione al problema", facendo pendere la bilancia in questa direzione.
Girato in Polonia e parlato interamente in lingua tedesca (ecco perché è candidato agli Oscar come miglior film internazionale). La zona d'interesse fa uno sforzo filologico enorme. Glazer mette insieme un cast di grandissimi interpreti teutonici, non piegandosi alla facile tentazione di ricorrere a facce familiari, hollywoodiane. Girato nel massimo riserbo, è un film che ha richiesto un prezzo emotivo non indifferente sia a lui, di origini ebraiche, sia agli interpreti tedeschi. A loro è stato chiesto il rischio di venire fraintesi nell'interpretazione questi personaggi senza una condanna esplicita, continua, senza un cornice da "nazisti cattivissimi" tutt'intorno.
Una famiglia nell’occhio dell’Orrore
Al centro di questo sforzo c’è Rudolf Höss (Christian Friedel), che vive con la sua famiglia in una graziosa villetta il cui giardino confina con il muro di recinzione di Auschwitz. È qui che Glazer confine il suo film, lungo la cui durata si vedrà un solo internato. Auschwitz è presenza sempre palpabile, che assedia i sensi, ma ai lati della vista. Se ne odono le urla e gli spari in lontananza, si vedono gli sbuffi di fumo dei treni in arrivo, le ceneri e i resti umani contaminano l’acqua, la natura tutt’attorno.
La famiglia Höss è divisa, scissa tra la soddisfazione pragmatica di ricavare prestigio e beni materiali dalla vicinanza al campo (provviste di cibo, vestiario e piccoli oggetti di loro tolti agli internati, una certa influenza all’interno dei Reich) e i momenti improvvisi, violentissimi, di scontro con quanto sta succedendo. Amanti della natura, gli Höss coltivano il sogno di darsi in futuro all’agricoltura, curano un delizioso giardino ricco di piante, ma si ritrovano in più versanti a fare i conti con quella stessa natura satura degli ebrei che stanno uccidendo.
I giochi innocenti dei bambini s’intrecciano continuamente con suppellettili e vestigia della morte che brucia oltre il muro. Tra il protagonista e la moglie Hedwig (la solita, immensa Sandra Hüller) corre una tensione a basso voltaggio, continua, scatenata dalla difficile carriera di lui, dalle resistenze di lei a lasciare quella casa che sente di essersi meritata.
La zona d’interesse è un grande esempio di cinema sperimentale
Glazer sviluppa il suo stile registico già rigoroso e austero in una forma altamente sperimentale, ad hoc per questo lungometraggio. Le sue scelte registiche esaltano ancora di più la qualità collettiva e spersonalizzata del film. La zona d’interesse è un racconto famigliare, corale, che non eleva quasi mai i suoi personaggi in protagonisti dell’azione. Per ottenere questo effetto d’incursione nel quotidiano della famiglia Höss il film è stato girato posizionando sul set numerose cineprese statiche. A ogni ciak gli interpreti recitavano quasi spiati, senza sapere esattamente dove fossero posizionati tutti gli obiettivi, da qualche prospettiva sarebbero stati ripresi, guidati da una sceneggiatura scarna, da completare affidandosi all’ispirazione.
I volti di gran parte del cast sono appena percettibili, ripresi di spalle, da lontano, con primi piani quasi del tutto assenti. L’impressione che se ne ricava è quella del racconto autoriale delle tensioni presenti in un matrimonio teutonico d’altri tempi, i sogni spezzati della moglie sommate alle ambizioni di carriera frustrate del marito. Come coppia, entrambi sono a loro agio con quanto succede oltre al muro, abituati ai suoni e agli odori, fino a escluderli dal proprio campo visivo. Eppure quanto succede esercita una pressione, un peso, non morale quanto piuttosto pratico. Nonostante la loro entusiastica convinzione il lavoro di efficientamento del campo di concentramento non porta alla promozione sperata.
La zona d’interesse risulta dunque un’incursione da lontano nel quotidiano di una famiglia esemplare per teutonico pragmatico e credo nazista, una sorta di visione da incubo dell’idillio da pubblicità Barilla. Nel sonnanbulismo dei bambini, nelle inquietudini dei visitatori, negli improvvisi scoppi d’ira di Hedwig c’è però una tensione continua. A contrasto invece con la scena più distesa, silenziosa del film: il finale, che ci mostra quanto ciò che è successo affligga ancora quei luoghi, avvolti oggi da un silenzio irreale, totale, carico di senso mentre si svolgono anche le attività più mondane.
Durata: 105'
Nazione: Regno Unito
Voto
Redazione
La zona d'interesse
Glazer mette a punto un modo nuovo di raccontare l’Olocausto, un approccio sperimentale che non è né gratuito né compiuto, ma si rivela efficacissimo per dimostrare tutta la potenza di una pagina oscura della storia, capace di gelare lo spettatore anche se rimane sullo sfondo, in lontananza. Emotivamente durissimo, richiede grande attenzione e concentrazione, essendo un film autoriale a cui assistiamo quasi da voyeur, strizzando gli occhi, senza che la scena, i volti, gli sguardi ci vengano continuamente serviti, incorniciati. Decisamente non per tutti, dati gli argomenti e il ritmo basso, ma segna un prima e un dopo in questo specifico filone cinematografico.