Le assaggiatrici è un film solido e austero come la storia (vera) che racconta: la recensione
Soldini regala a uno dei bestseller italiani di maggior successo internazionale un film che potrebbe piacere molto, anche fuori dall’Italia: la recensione di Le assaggiatrici.

Nel 2021 una 95enne tedesca di nome Margot Wölk rivelò di essere stata una delle assaggiatrici al servizio del Führer. Fino ad allora nessuno sapeva che Hitler si serviva di un gruppetto di giovani donne tedesche per sincerarsi che i pasti che consumava nel bunker noto come la Tana del lupo non venissero avvelenati. Wölk, l'unica sopravvissuta alla guerra di quel gruppo, svelò la sua storia poco prima di morire. Ispirata proprio da quella rivelazione, l’autrice Rosella Postorino ha ricavato Le assaggiatrici, romanzo di grande successo in Italia (premio Campiello) e internazionale (tradotto in 46 paesi). A intercettare il romanzo molto prima del suo status di bestseller sono stati i produttori di quella che oggi è la pellicola omonima di Silvio Soldini.

Pellicola dalla storia non facile, tra pandemia a un primo, sconcertante rifiuto da parte del Ministero di fornire il consueto appoggio economico a un film a cui non veniva riconosciuto un “interesse culturale”. Le cronache hanno raccontato e ancora seguono un momento non semplice per il cinema italiano, in cui il blocco temporaneo dei fondi ha mandato in tilt un sistema che, seppur con storture, ha consentito di mantenere in vita la produzione nostrana. Alla luce di queste considerazioni Le assaggiatrici appare ancora più interessante per come si vada a cercare un pubblico internazionale, facendo una scelta di campo importante. Scartata la prima ipotesi di girare in inglese, Soldini ha voluto una produzione in terra polacca (vicino dunque ai luoghi del romanzo) con un cast tedesco per in film girato in lingua teutonica.
Soldini cerca pubblico all'estero ma non regge il confronto con i migliori film del genere
Le assaggiatrici è insomma un film che si va a cercare un pubblico oltre confine, rimanendo però un fiero esponente del cinema indipendente europeo. E tra l’altro la seconda importante produzione dell’annatta dopo M. Il figlio del secolo di Sky a farlo basandosi su un romanzo italiano di successo che riguardi il periodo fascista/nazista. Il risultato è un buon adattamento, solido nella scrittura a austero nella forma, a cui purtroppo però manca quel guizzo in più. Specialmente se consideriamo come contesto non quello italiano (dove rimane comunque apprezzabile) ma quello europeo e internazionale, dove giocoforza bisogna confrontarsi con pellicole che si occupano di temi simili. Film del calibro di La zona d’interesse dell’inglese Jonathan Glazer, con cui Soldini proprio non regge il confronto.
Difficile non pensare a quel film, dato che il punto di partenza è simile: un regista che non parla tedesco ma si cerca un cast teutonico per raccontare una storia che riguarda il nazismo e il suo soffocamento della libertà, la violenza e la coercizione (contro gli ebrei ma non solo) Il tutto però rimanendo dentro una realtà quotidiana, senza mai andare al fronte o nei campi di concentramento. C’è un prima e un dopo La zona d’interesse, così come era stato per Faust e, in anni precedenti, Schindler’s List.
La storia della assaggiatrici di Soldini, sei ragazze con storie personali tra il doloroso e lo straziante, costrette a mettere la loro vita in pericolo che tutelare il Führer, è sin troppo convenzionale per sperare di avvicinare quelle vette. Non tanto nei contenuti, quanto nella forma, manca dello slancio necessario ad avere un impatto come quello dei film sopra citati.

La storia è narrata dal punto di vista di un’estranea: Rosa (Elisa Schlott) viene da Berlino, conosce a malapena i suoceri da cui si è rifugiata per sfuggire alle bombe e alla fame, su suggerimento del marito al fronte. È la sua prospettiva di giovane moglie sola a guidare il film, che pian piano mostra la paura e il dissenso serpeggiante tra la popolazione tedesca, man mano che diventa chiaro come la guerra la si stia perdendo e Hitler tema di venire assassinato.
Una guerra e un regime che, oltre che a colpire oppositori politici ed ebrei, esprime svariati gradi di coercizione nei confronti delle donne, esemplificati proprio dalle sei assaggiatrici e dalle loro piccole storie di ribellione personale. Il film però non fa mai il tentativo di prendere in contropiede lo spettatore, di creare contrasti culinari, storici e cinematografici interessanti. Il prelibato cibo servito al Führer non è per esempio mai presentato come tale se non a parole, le storie delle protagoniste faticano a diventare personali e carismatiche, rimanendo sempre un po’ dei segnaposto per il tipo di soprusi e angherie che uno si aspetta purtroppo di sentirsi raccontare contro la popolazione femminile in uno scenario bellico.
Paradossalmente questo film di Soldini, perfettamente calato nei trend di come si racconta oggi al cinema una storia sulla Germania nazista - con tanto di passaggio molto, molto impacciato a ribadire che ovviamente tutti sapevano e tutti sono colpevoli - mette in evidenza come un titolo considerato di risulta vent’anni fa fosse avanti anni luce. Black Book di Paul Verhoeven faceva nel 2006 tutto ciò che Silvio Soldini riesce a portare a casa discretamente 20 anni dopo. Il tutto con un carisma, un’energia e una capacità di uscire dagli schemi che evidenziano la distanza siderale tra chi sa fare bene il suo mestiere e chi ha quel talento, quella visione che sfocia nel genio. La differenza diventa particolarmente impietosa se si confrontano le due storie d’amore che conducono il film, con la protagonsta che s’innamora di un gerarca nazista e poi viene ricambiata, con tutte le implicazioni del caso. Ecco: le implicazioni che venti anni fa Verhoeven mise sul tavolo risultano ancor oggi più disturbanti e ficcanti di quel che racconta Soldini. Che comunque il suo lo fa e riesce quasi sempre a evitare moralismi e non è una cosa da poco.

Durata: 123'
Nazione: Italia
Voto
Redazione

Le assaggiatrici
Soldini regala un adattamento solido, austero ma purtroppo senza guizzi a un best seller letterario italiano già molto amato all’estero. Le assaggiatrici è realizzato con molta cura e ha davvero discrete possibilità di trovare un pubblico anche oltre confine. Laddove però dimostra tutti i suoi limiti è quando finisce, giocoforza, per scontrarsi con titoli che diventano inevitabili paragoni cinematografici quando ci si addentra nei territori del racconto della Germania nazista su grande schermo. Soldini fatica a reggere il confronto con altri colleghi europei come Glazer e Verhoeven, che hanno raccontato storie simili in maniera infinitamente più incisiva.