Lei
Riuscireste ad immaginare un mondo senza le fantasticherie tecnologiche inventate negli ultimi anni? Ma soprattutto, riuscireste ad immaginare lo stesso mondo tra altri venti, o perché no, cinquant'anni da oggi?
A quest'ultima domanda, con tanto di nomination per alcuni Oscar, ci risponde il regista Spike Jonze con il suo “Her”, love story dai contorni drammatici che inscena, con profonda convinzione e minuziosità, una storia pronta a farci riflettere intensamente sul nostro futuro, e su come esso sarà segnato dal rapporto uomo / macchina.
Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) é il protagonista di questa vicenda. Egli é un uomo solo, malinconico poiché da poco divorziato dalla moglie Catherine, unica compagna di una vita. Il suo lavoro é molto originale, visto che ogni giorno si prodiga a dettare molteplici lettere d'amore al computer, commissionate dalle persone più disparate che, per pigrizia forse, delegano a terzi le loro esperienze ed emozioni personali. A rompere la monotonia di un'esistenza tanto piatta sarà l'uscita di un nuovo prodotto altamente tecnologico, un SO munito di intelligenza artificiale che irromperà nella vita del protagonista, cambiandone drasticamente ogni ideale e convinzione.
L'interfaccia senziente, una volta avviata, sceglie di chiamarsi Samantha (Scarlett Johansson) e comunica con il suo interlocutore solo verbalmente, dato che é sprovvista materialmente di un corpo (al contrario del David di Spielberg). La sua voce suadente ed il suo comportamento così “reale” affascinano subito Theodore, ed il medesimo comincia lentamente a passare moltissimo tempo in compagnia della sua nuova compagna, riempiendo almeno mentalmente il vuoto creatosi a seguito del suo divorzio. E' solo con il passare del tempo che i due creano un rapporto di simbiosi profonda, che sembra trasformarsi (con la sorpresa di entrambi) in un amore atipico fatto solamente di parole e sogni.
Il distaccamento dalla realtà diventa palpabile scena dopo scena, ed il lavoro registico di Jonze si manifesta in tutta la sua complessità nella scelta dei contesti proposti che, coadiuvati dall'ottimo lavoro alla fotografia di Hoyte Van Hoytema, trasmettono all'occhio attento dello spettatore un mondo in profondo cambiamento e segnato da rapporti asettici con delle macchine che, senza dare troppo preavviso, prendono il posto dei rapporti reali tra esseri umani. Anche le persone intorno al nostro Theodore mutano drasticamente e, mentre inizialmente le vediamo pronte a camminare insieme mano nella mano con gioia, subito dopo l'arrivo degli OS li vediamo rimpiazzati da isole solitarie attaccate a freddi auricolari senza vita.
In molteplici scene il regista delinea la sua storia senza alcuna fatica, rendendo incredibilmente “palpabile” ogni sensazione. Lo spettatore viene accompagnato per mano in ogni stato d'animo del protagonista e ne assimila, quasi per simbiosi, ogni digressione da quella che sembrava una strada intrapresa, giusta o sbagliata poi sta sempre in mano al pubblico deciderlo.
E' l'ottimo lavoro del cast che rende l'idea cartacea di Jonze un'incredibile susseguirsi di emozioni. Prima fra tutte, va considerata l'interpretazione di Phoenix. Splendida, magistrale, in grado di tenere viva l'attenzione come se attratti da una calamita, che non perde il mordente anche nelle fasi più lente ed introspettive, e ne soddisfa i sensi con ogni sfaccettatura del suo Theodore. Profonda e suadente la voce della Johansson, che in lingua originale ci regala il programma senziente più affascinante che le nostre orecchie abbiano mai ascoltato, notevole anche Amy Adams nella parte dell'amica di Theo e simpatico persino Chris Pratt, che realizza la sua parte di piccola spalla in qualche scena pronta a smorzare la tensione con qualche piacevole risata. Una piccola mozione di sfiducia va espressa per il doppiaggio in lingua nostrana, che dai pochi trailer visionati sembra non rendere onore all'incredibile interpretazione dei due attori.
Viene da chiedersi, ancora una volta, come possa continuare ad essere interpretato il rapporto uomo-macchina ai giorni nostri e come, il medesimo, possa essere proiettato verso il prossimo futuro. La visione dei Fratelli Wachowski con il loro Matrix ancora oggi turba ed influenza un po' il nostro pensiero, ma probabilmente la riflessione più profonda si insinua personalmente in ognuno di noi, nel momento in cui ci domandiamo quanto possiamo essere “dipendenti” dalla tecnologia che ci circonda.
A quest'ultima domanda, con tanto di nomination per alcuni Oscar, ci risponde il regista Spike Jonze con il suo “Her”, love story dai contorni drammatici che inscena, con profonda convinzione e minuziosità, una storia pronta a farci riflettere intensamente sul nostro futuro, e su come esso sarà segnato dal rapporto uomo / macchina.
Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) é il protagonista di questa vicenda. Egli é un uomo solo, malinconico poiché da poco divorziato dalla moglie Catherine, unica compagna di una vita. Il suo lavoro é molto originale, visto che ogni giorno si prodiga a dettare molteplici lettere d'amore al computer, commissionate dalle persone più disparate che, per pigrizia forse, delegano a terzi le loro esperienze ed emozioni personali. A rompere la monotonia di un'esistenza tanto piatta sarà l'uscita di un nuovo prodotto altamente tecnologico, un SO munito di intelligenza artificiale che irromperà nella vita del protagonista, cambiandone drasticamente ogni ideale e convinzione.
L'interfaccia senziente, una volta avviata, sceglie di chiamarsi Samantha (Scarlett Johansson) e comunica con il suo interlocutore solo verbalmente, dato che é sprovvista materialmente di un corpo (al contrario del David di Spielberg). La sua voce suadente ed il suo comportamento così “reale” affascinano subito Theodore, ed il medesimo comincia lentamente a passare moltissimo tempo in compagnia della sua nuova compagna, riempiendo almeno mentalmente il vuoto creatosi a seguito del suo divorzio. E' solo con il passare del tempo che i due creano un rapporto di simbiosi profonda, che sembra trasformarsi (con la sorpresa di entrambi) in un amore atipico fatto solamente di parole e sogni.
Il distaccamento dalla realtà diventa palpabile scena dopo scena, ed il lavoro registico di Jonze si manifesta in tutta la sua complessità nella scelta dei contesti proposti che, coadiuvati dall'ottimo lavoro alla fotografia di Hoyte Van Hoytema, trasmettono all'occhio attento dello spettatore un mondo in profondo cambiamento e segnato da rapporti asettici con delle macchine che, senza dare troppo preavviso, prendono il posto dei rapporti reali tra esseri umani. Anche le persone intorno al nostro Theodore mutano drasticamente e, mentre inizialmente le vediamo pronte a camminare insieme mano nella mano con gioia, subito dopo l'arrivo degli OS li vediamo rimpiazzati da isole solitarie attaccate a freddi auricolari senza vita.
In molteplici scene il regista delinea la sua storia senza alcuna fatica, rendendo incredibilmente “palpabile” ogni sensazione. Lo spettatore viene accompagnato per mano in ogni stato d'animo del protagonista e ne assimila, quasi per simbiosi, ogni digressione da quella che sembrava una strada intrapresa, giusta o sbagliata poi sta sempre in mano al pubblico deciderlo.
E' l'ottimo lavoro del cast che rende l'idea cartacea di Jonze un'incredibile susseguirsi di emozioni. Prima fra tutte, va considerata l'interpretazione di Phoenix. Splendida, magistrale, in grado di tenere viva l'attenzione come se attratti da una calamita, che non perde il mordente anche nelle fasi più lente ed introspettive, e ne soddisfa i sensi con ogni sfaccettatura del suo Theodore. Profonda e suadente la voce della Johansson, che in lingua originale ci regala il programma senziente più affascinante che le nostre orecchie abbiano mai ascoltato, notevole anche Amy Adams nella parte dell'amica di Theo e simpatico persino Chris Pratt, che realizza la sua parte di piccola spalla in qualche scena pronta a smorzare la tensione con qualche piacevole risata. Una piccola mozione di sfiducia va espressa per il doppiaggio in lingua nostrana, che dai pochi trailer visionati sembra non rendere onore all'incredibile interpretazione dei due attori.
Viene da chiedersi, ancora una volta, come possa continuare ad essere interpretato il rapporto uomo-macchina ai giorni nostri e come, il medesimo, possa essere proiettato verso il prossimo futuro. La visione dei Fratelli Wachowski con il loro Matrix ancora oggi turba ed influenza un po' il nostro pensiero, ma probabilmente la riflessione più profonda si insinua personalmente in ognuno di noi, nel momento in cui ci domandiamo quanto possiamo essere “dipendenti” dalla tecnologia che ci circonda.