Life
di
Los Angeles, 1955. Il giovane fotografo Dennis Stock (Robert Pattison) ha lasciato dietro di sé un'ex moglie e un figlio a New York e cerca di costruire il proprio portfolio e sfondare. Al momento però si limita a fotografare le stelle del cinema sui tappeti rossi delle premiére e i set tra un ciak e l'altro. Una notte in un party losangelino incontra il giovane protagonista del nuovo film di Kazan, un ragazzo dell'Indiana dai modi di fare strambi e dall'aria malinconica di nome James Dean (Dane DeHaan). Convinto di aver visto qualcosa in lui e di poter vendere un servizio fotografico a LIFE, Stock comincia a marcare stretto lo sfuggente attore, inseguendolo per la settimana che servirà a mettere insieme alcune delle più iconiche foto del protagonista di Gioventù Bruciata.
Anton Corbijn ha presentato alla Berlinale il suo nuovo film, che ha lasciato la stampa internazionale molto tiepida. In effetti si stenta persino a riconoscere la sua mano in una pellicola biografica (ma dall'arco temporale brevissimo, come va di moda in questi ultimi anni) assai tradizionale e lineare nel suo sviluppo. Difficile riconoscere il regista di The American e A most wanted man in un film che segue giorno dopo giorno i due protagonisti, accompagnando lo spettatore per mano, senza guizzi e senza forzare la mano a un ritmo per il vero molto lento.
A sfuggire al regista é soprattutto la capacità la motivazione che rende la sua storia meritevole di essere narrata: perché questo servizio fotografico é così importante, solo perché é uno degli ultimi prima della tragica morte dell'attore?
Davvero il lavoro di Stock é stato determinante nell'anticipare la fama di un attore in cui si sarebbe immedesimata un'intera generazione? Il film narra la cronologia dell'incontro e le difficoltà di relazione tra i due professionisti, ma non riesce mai davvero a trasmettere l'importanza di quella che alla fine sembra una storia hollywoodiana come tante.
Peccato davvero, perché così passa inosservata anche l'incredibile prova attoriale di Dane DeHaan. Uno che fin dai tempi di Chronicle aveva fatto capire di avere qualità ben sopra alla media ma che, dopo una serie di pellicole che sembravano averlo assegnato al ruolo della dramma queen più o meno isterica, tira fuori l'interpretazione che prova la sua assoluta versatilità.
Anton Corbijn ha presentato alla Berlinale il suo nuovo film, che ha lasciato la stampa internazionale molto tiepida. In effetti si stenta persino a riconoscere la sua mano in una pellicola biografica (ma dall'arco temporale brevissimo, come va di moda in questi ultimi anni) assai tradizionale e lineare nel suo sviluppo. Difficile riconoscere il regista di The American e A most wanted man in un film che segue giorno dopo giorno i due protagonisti, accompagnando lo spettatore per mano, senza guizzi e senza forzare la mano a un ritmo per il vero molto lento.
A sfuggire al regista é soprattutto la capacità la motivazione che rende la sua storia meritevole di essere narrata: perché questo servizio fotografico é così importante, solo perché é uno degli ultimi prima della tragica morte dell'attore?
Davvero il lavoro di Stock é stato determinante nell'anticipare la fama di un attore in cui si sarebbe immedesimata un'intera generazione? Il film narra la cronologia dell'incontro e le difficoltà di relazione tra i due professionisti, ma non riesce mai davvero a trasmettere l'importanza di quella che alla fine sembra una storia hollywoodiana come tante.
Peccato davvero, perché così passa inosservata anche l'incredibile prova attoriale di Dane DeHaan. Uno che fin dai tempi di Chronicle aveva fatto capire di avere qualità ben sopra alla media ma che, dopo una serie di pellicole che sembravano averlo assegnato al ruolo della dramma queen più o meno isterica, tira fuori l'interpretazione che prova la sua assoluta versatilità.