Lucy

di Marco Modugno
La cosa buona dei film é che mescoli tutto e alla fine sembra vero. Parola di Luc Besson e viene subito da pensare che se la gente di buon senso l'avesse tenuto presente anche all'epoca del sopravvalutato Codice di Dan Brown, ci saremmo risparmiati tante elucubrazioni teologiche da parte del collega della scrivania accanto, della sciampista mentre stava annodando le extension alla nostra ragazza e del vicino d'ombrellone, roba da rimpiangere quelli che una volta attaccavano bottone a suon di frasi fatte e luoghi comuni. Questo per dire che la trama di Lucy, il nuovo minestrone di un Besson che guida la volata dei registi anni Novanta sul viale del tramonto, seguito a un paio di incollature da Ridley Scott, é costruita su una serie di bufale che non le trovate nemmeno in un caseificio artigianale di Battipaglia.



Si parte dal nome della protagonista, scelto per ricordare al pubblico, dando per scontato che si tratti di quelli abituati ad acculturarsi con le notizie ripostate su Facebook da qualche amico di un vecchio compagno di università o dal bidello della scuola del figlio più piccolo, quello affibbiato d'ufficio dagli antropologi alle ossa dell'australopiteco femmina vecchio di tre milioni e duecentomila anni e ritrovato nel 1974 in Africa. Il quale, per anni, é stato considerato il nostro antenato più antico, salvo poi i ritrovamenti di scheletri di oltre un milione di anni più vecchi, e salvo il fatto che continuiamo a trovare ossa di specie formate (ominidi e non) senza mai imbattersi, nonostante l'accanimento scientifico, nell'agognato “anello mancante” (ossia i resti di una specie colta durante il mutamento, impedendo così all'evoluzionismo, che resta una teoria avvincente ma ad oggi ancora indimostrata, possa mai assurgere, un giorno, allo stato di verità scientifica dimostrabile).

Evidentemente intenzionato a spingere fino in fondo l'acceleratore della parascienza, Besson non si ferma qui, tentando di rispacciare dopo un breve giro nel microonde del cucinotto la teoria del cervello umano utilizzato al 10%, mentre invece quello dei delfini... A giustificazione della superiorità cerebrale dei simpatici cetacei, un Morgan Freeman ormai stremato e attonito cita il sofisticato sonar di cui i cuginetti di Winter sono dotati. Indice evidente, secondo gli sceneggiatori, di intelligenza superiore rispetto all'uomo. Poi però uno pensa da un lato a una specie di pesciolone simpatico e amante dei salti che passa la sua vita nuotando e mangiando pesce crudo con tutta la lisca e dall'altro alle cattedrali gotiche, al Rinascimento, a Mozart e a Neil Armstrong che mette giù il piede dalla scaletta dell'Eagle sulla superficie lunare. Ed ecco che l'idea di essere davvero immagine e somiglianza di qualcuno che ha acceso la miccia del grande petardo del Big Bang riprende consistenza, per fortuna.



Pare sia quello il discrimine che ci differenzia dagli animali, altro che le percentuali di Freeman, che in questo film più che Dio pare il custode di Villa Arzilla. Baggianate pseudoscientifiche a parte, nelle quali il vecchio Luc pare aver voluto puntare, a giudicare dal numero di spezzoni filmati stile Discovery Channel disseminati qua e là (si va dalla gazzella rincorsa dal ghepardo al flusso sanguigno). Della ricetta bessoniana fanno parte, immancabilmente, uno stuolo di cattivi da fumetto, coreani stavolta, un poliziotto francese con qualche goccia di sangue maghrebino e un cognome improbabile, un inseguimento in auto folle stile Taxxi/Transporter e un finale assurdo, il tutto condito di abbondanti dosi di emoglobina e polvere da sparo.

Il risultato finale é un affresco tutto sommato scorrevole, ma spesso ai limiti del grottesco e della farsa, popolato da una serie di personaggi dimenticabili dei quali si fa fatica a mandare a memoria non solo il nome, ma anche a comprendere il loro ruolo reale nella vicenda.
Il film ruota attorno alla protagonista femminile, affidata a una Johansson che riesce sbalordendo tutti ad essere meno espressiva dell'Harrison Ford dei tempi d'oro. Scarlett alterna per tutto il film due sole espressioni: quella da bambolina esterrefatta stile Goldie Hawn prima maniera e lo sguardo assassino da telepate inc***ata stile Carrie lo sguardo di Satana (parlo del remake del 2013 con Chloe Moretz, non della quasi mistica Sissy Spacek della versione storica di De Palma, ovviamente).

Gli altri attori sono relegati al ruolo di satelliti in orbita attorno alla stella Johansson. Vale non solo per l'appannato Freeman, poco più che comparsa, ma anche e soprattutto per l'egiziano Arm Waked, in teoria coprotagonista, in pratica ombra di un Jean Reno che fu, relegato al ruolo di bamboccione con un cognome improbabile (come si fa a ribattezzare Del Rio uno che sa di kebab e felafel lontano un miglio?) e per il supercattivo Min-Sik Choi. Sono passati undici anni dai tempi dell'allucinato Old Boy e l'attore coreano li dimostra tutti (che sia colpa del troppo soju?). Buono per il finale grand guignol di un videogioco della Rockstar, meno per bucare lo schermo con qualcosa di diverso dalle solite (fiacche) sventagliate di armi automatiche.


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La trama, allora, direte. Per non sconfinare nello spoiler più di quanto la concorrenza non abbia ancora fatto mi limiterò all'essenziale. Lucy (Johansson) vive non si sa perché a Taipei. Incappa per errore in una consegna di droga del cartello coreano e finisce suo malgrado imbottita di CPH4, un ormone sintetico che viene prodotto in natura dalle madri durante la gestazione, provocando lo sviluppo e la crescita del bambino tra il quarto e il sesto mese. In realtà il CPH4 non é una droga ma piuttosto un enzima, la carbossitetraidropterina, che c'entra con i legami dello zinco e non con la crescita.

L'ormone in questione, Besson giura che esiste davvero, non si chiama così. Un calcio in pancia fa rompere la sacca e Lucy si ritrova suo malgrado ad assumere un quantitativo massiccio della sostanza. Invece di vederle uscire materia cerebrale dal naso, dalla bocca e dalle orecchie come un plumcake con troppo lievito (cosa che accadrebbe nella realtà se uno si sparasse in vena mezzo chilo di quel magico ormone...) Lucy inizia a mutare.

Il suo cervello si sviluppa (il resto, perdonatemi la battuta da trivio, stava già bene così di suo, tutto sommato...) fino a percentuali mai viste, acquisendo un po' alla volta poteri straordinari che nemmeno il mio stregone di D&D possiede, mentre lei viaggia in una folle corsa contro il tempo, alla ricerca di uno scopo, che finisce per individuare, chissà come, nello spento evoluzionista Freeman. La seconda metà del film, ambientata a Parigi (evviva i registi un po' sciovinisti come Besson che mica fa come Muccino quando si dà arie da cineasta hollywoodiano e va a girare boiate invedibili negli USA!), spinge a tavoletta l'acceleratore dell'azione (nel senso letterale, visto che c'é anche l'immancabile rocambolesco inseguimento in stile 007 strafatto di metanfetamina, pardon, di CPH4!).



Dopo l'autoscontro, la Johansson arriva finalmente al dunque. Non vi diciamo come, limitandoci ad accennare che il finale concentra vendetta, raggiungimento dello scopo, ascesi e molto altro che sicuramente non abbiamo capito, non essendo in grado, secondo Besson, di usare più del 10% della nostra pur considerevole dotazione di neuroni. Conclusione tecno scientista con appena un accenno di metafisica (“La vita ci é stata data un miliardo di anni fa. Ora sapete cosa farne”).

Fotografia ossessiva, primissimi piani stile orto panoramica, cambi di campo e inquadratura, colonna sonora da cardiopalma alimentano una tensione che impedisce la noia, costringe all'attenzione e inibisce d'imperio qualsiasi possibilità di relax. Sconsigliato a chi soffre di aritmia e alle signore in stato interessante, il film gioca all'inglese, tenendo alta la palla della tensione da cardiopalma per non consentire allo spettatore il contropiede di un ragionamento ponderato, per nascondere la debolezza della trama e lo scarso spessore della prestazione dei protagonisti. Dai tempi di Il quinto elemento, però, di pellicola nelle bobine ne é girata parecchia e Scarlett, pur bellissima, non ha nemmeno metà del carisma di Milla Jovovich nella parte di Leeloo (“Multicard!”).



Che in definitiva aveva già raccontato la stessa storia con più garbo, ironia, spettacolarità, effetti speciali e recitazione (il Bruce Willis del 1997 sta al volenteroso Amr Waked come un carro armato Merkava al motorino del ragazzo delle pizze). Il bis, però stavolta, non convince e Lucy, che non si spreca nemmeno a tentare il 3D (e forse é un bene, se non probabilmente, visto l'andazzo, sarebbero occorsi Travelgum e sacchetti), rimane un film non certo disastroso, ma più adatto ad un pomeriggio a biglietto scontato, o ad una visione domestica in videonoleggio, vedendosi negata da qualche eccesso di presunzione la gloria che avrebbe potuto meritarsi, se affidato al Besson degli anni d'oro. Il vecchio leone mostra qualche acciacco e la magia di film come Leon o Jeanne d'Arc sembra ormai cosa del passato, coperta da una patina di ruggine che sa di stanchezza. Troppo tempo passato in compagnia dei Minimei, forse. O forse l'effetto del CPH4 sta ormai per finire.