Macbeth

di Elisa Giudici
Quando si parla di adattamenti teatrali e letterari su grande schermo, si pone sempre l'annoso problema del come, cosa e quanto: come adattare un testo da un media a un altro, cosa prendere e cosa lasciare, quanto si può alterare? La risposta é così difficilmente decodificabile in maniera soddisfacente da generare la nota espressione “il libro é sempre meglio del film”.

Ennesima pellicola giunta in Italia dopo la presentazione a Cannes, Macbeth racchiude questo tipo di sfida all'ennesima potenza: testo teatrale, dialoghi in linguaggio desueto e soprattutto Shakespeare, cardine della cultura inglese, mostro sacro della letteratura tutta con cui ogni essere umano ha familiarità con almeno un paio di passaggi (nel caso specifico Lady Macbeth sonnambula e l'apparizione delle tre streghe).

Personalmente, da avida lettrice che spesso arriva in sala conoscendo la fonte originaria, negli anni mi sono fatta l'idea che gli adattamenti più riusciti necessitino di un certo grado di tradimento dell'originale, rapportandosi con rispetto ma senza timore reverenziale. Il cinema é un media visivo che, per accogliere una storia tanto potente ed esaltarla, necessita di cambiamenti atti a farla funzionare quantomeno a livello visivo e dinamico, una dimensione che nel testo originario é praticamente non esistente.


Su questo punto il regista Justin Kurzel sembra essere sostanzialmente d'accordo con me, tradendo il canone shakespeariano in maniera abbastanza sostanziale, intervenendo soprattutto sulla figura di Lady Macbeth, tramutandola da personaggio agente a reagente e mettendo al centro assoluto non la coppia assassina dei Macbeth, bensì il fedele vassallo, l'assassino, il traditore, il re folle, Macbeth.

Scelta che paga, perché ormai siamo ben consci che la forza espressiva di Michael Fassbender funziona al meglio sulle tinte più oscure e diaboliche dell'animo umano, ma che dall'altra parte relega in secondo piano una Marion Cotillard che non avrebbe davvero problemi a gestire la versione originale e ancor più nera di Lady Macbeth.

Con quest'unica eccezione, il resto dei cambiamenti apportati al film funziona alla perfezione. La strada é chiaramente quella dell'eleganza formale e della forza espressiva del mezzo cinematografico, con una fotografia di Adam Arkapaw smaccatamente estetizzante ma perfetta nei suoi toni ora cupi, ora caldissimi e avvolgenti, capace di rappresentare cromaticamente la psiche sempre più deviata dei suoi protagonisti.

Si fanno come sempre notare anche i costumi dell'amatissima Jacqueline Durran, che rinforzano un ambientazione dalla forte vibrazione medioevale, dove anche la corte reale e i suoi agi hanno un carattere appena sbozzato, rustico, il tutto però coniugato con grande eleganza (e la bellezza dei due protagonisti indubbiamente aiuta, così come i magnifici paesaggi scozzesi). In altre parole, esaltare con i mezzi visivi del cinema un nucleo originale riproposto con grande fedeltà anche nel linguaggio.