Contagious - Epidemia Mortale
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Dopo diversi anni dalla scrittura della sua sceneggiatura Maggie (qui da noi assurdamente tradotto Contagius: Epidemia Mortale) riesce a trovare una paternità registica in grado di portarlo finalmente sul grande schermo. L'esordiente Henry Hobson si incarica quindi di dare via e sostanza a quello che é già stato ribattezzato da molti il film di “The Last of Us”, ma che come scoprirete in questa recensione, punta su elementi decisamente più intimi ed inaspettati.
Il filone degli zombie movie ha preso decisamente piede negli ultimi anni. I mostri portati alla ribalta dal genio creativo di George A. Romero, hanno fatto passi da gigante e al classico survival movie dalle tinte horror, si sono affiancati prodotti più complessi ed in grado di sfruttare i "mostri mangia carne" in maniera differente da quella classica.
Tra questi esempi possiamo citare le serie The Walking Dead o In the Flash, il lungometraggio Benvenuti a Zombieland, 28 giorni dopo e molti altri ancora. Prodotti in grado di trasformare la figura del “mostro” o addirittura di trasformarlo in un elemento secondario, utile solo a contestualizzare una storia.
Ecco, leggendo il titolo italiano di questo lungometraggio molti penseranno al classico film sugli zombie in cui un nerboruto Arnold Schwarnegger ammazza - si fa per dire - quintalate di zombie. In realtà così non é, perché andando a leggersi il nome originale della pellicola - Maggie - si capisce già dal titolo che si tratta di un'opera profondamente differente, in cui non solo gli zombie vengono utilizzati unicamente come “strumento di scena” ma lo stesso Schwarzy mette in mostra una recitazione drammatica e dannatamente introspettiva.
La storia é ambientata nel Midwest americano, uno dei tanti luoghi sulla terra colpiti da un pericolosissimo virus chiamato “Necrovirus” che nell'arco di poche settimane trasforma gli essere umani colpiti in pericolosissimi mangia carne. Le autorità sono così costrette a creare dei centri di quarantena in cui gli infetti vengono isolati in attesa della triste trasformazione.
In questo contesto già visto più volte faremo la conoscenza di Maggie (Abigail Breslin) una giovane ragazza che dopo aver contratto il terribile virus, riesce a ricongiursi con il padre Wade (Arnold Schwarznegger), il quale ha promesso di prendersi cura della figlia fino all'ultimo secondo della sua vita.
Proprio da questo incipit si svilupperà tutto il film. Una trama che a differenza di quello che molti di voi si aspettano sfrutta il virus come elemento sui cui sviluppare un rapporto padre/figlio assolutamente intimista, carico di sentimenti e molto introspettivo.
Il problema di Contagius risiede in una sceneggiatura che presenta diversi momenti di stanca che fanno perdere ritmo e mordente alla pellicola. Nemmeno le scene d'azione, sistemate tra l'altro in modo poco strategico, riescono a risollevare il ritmo di un film tenuto in piedi quasi esclusivamente dalle ottime interpretazioni dei due protagonisti: Maggie e Wade.
Arnold mette in campo una delle sue migliori performance in assoluto. Il suo Wade é un personaggio che nonostante la grossa muscolatura ed una espressività visiva tutt'altro che memorabile (ma diciamocelo, non é mai stato il suo pezzo forte!) riesce a trasmettere perfettamente gli stati d'animo che vive attraverso i suoi gesti, gli sguardi e le sue movenze impacciate. Il suo corpo, ancora tonico ma inizia a mostrare i segni dell'età che avanza, diventa così lo strumento migliore per trasmettere a chi sta guardando la sofferenza di un padre che sa di non poter fare più nulla per sua figlia.
Ad aiutarlo c'é ovviamente una Abigail Breslin che mostra ancora una volta le sue indubbie doti recitative (candidata all'oscar per Little Miss Sunshine). La sua Maggie é una ragazza fragile ma allo stesso consapevole del fardello che sta portando suo padre. Inoltre, il bellissimo make up che ci mostra la sua lenta trasformazione arricchisce ulteriormente la vasta gamma di espressioni emotive che lentamente ci racconta la trasformazione interna, da speranza in ineluttabile rassegnazione.
In tutto questo Hobson dimostra di saperci fare, sfruttando abili passaggi in Handy cam che vanno ad indugiare in particolari che trasmetto in maniera ancora più nitida la dimensione umana di questo dramma. Certamente non mancano momenti più movimentati e qualche piccolo elemento gore, ma nel complesso il lavoro svolto da Hobson é particolare, intimo e decisamente alternativo.
Ad aiutarlo ci pensa anche un fotografia che definire perfetta é riduttivo. Lukas Ettlin dipinge attorno agli attori un mondo grigio, sporco, quasi cupo ma allo stesso tempo distaccato e poco dettagliato, lasciando agli attori il compito di riempire quel vuoto scenografico e scegliendo così di mettere in risalto unicamente la parte umana delle pellicola.
Insomma, Contagius: Epidemia Mortale é tutto tranne che un film perfetto. Un prodotto non per tutti, perché dietro al titolo assolutamente sviante, si nasconde un film profondo, intimo e decisamente più drammatico di quanto una lecitamente potrebbe aspettarsi. Al netto di una serie di elementi che ci hanno convinto poco, su tutti la sceneggiatura che sembra non riuscire a reggere la carica emotiva che viene trasmessa, la prima opera di Hobson é interessante, diretta e sincera. Un punto di vista differente, e quasi completamente riuscito, all'interno di un filone ormai fin troppo sfruttato. Buona (con riserva) la prima Henry!
Virus che fanno riflettere…
Il filone degli zombie movie ha preso decisamente piede negli ultimi anni. I mostri portati alla ribalta dal genio creativo di George A. Romero, hanno fatto passi da gigante e al classico survival movie dalle tinte horror, si sono affiancati prodotti più complessi ed in grado di sfruttare i "mostri mangia carne" in maniera differente da quella classica.
Tra questi esempi possiamo citare le serie The Walking Dead o In the Flash, il lungometraggio Benvenuti a Zombieland, 28 giorni dopo e molti altri ancora. Prodotti in grado di trasformare la figura del “mostro” o addirittura di trasformarlo in un elemento secondario, utile solo a contestualizzare una storia.
Ecco, leggendo il titolo italiano di questo lungometraggio molti penseranno al classico film sugli zombie in cui un nerboruto Arnold Schwarnegger ammazza - si fa per dire - quintalate di zombie. In realtà così non é, perché andando a leggersi il nome originale della pellicola - Maggie - si capisce già dal titolo che si tratta di un'opera profondamente differente, in cui non solo gli zombie vengono utilizzati unicamente come “strumento di scena” ma lo stesso Schwarzy mette in mostra una recitazione drammatica e dannatamente introspettiva.
La storia é ambientata nel Midwest americano, uno dei tanti luoghi sulla terra colpiti da un pericolosissimo virus chiamato “Necrovirus” che nell'arco di poche settimane trasforma gli essere umani colpiti in pericolosissimi mangia carne. Le autorità sono così costrette a creare dei centri di quarantena in cui gli infetti vengono isolati in attesa della triste trasformazione.
In questo contesto già visto più volte faremo la conoscenza di Maggie (Abigail Breslin) una giovane ragazza che dopo aver contratto il terribile virus, riesce a ricongiursi con il padre Wade (Arnold Schwarznegger), il quale ha promesso di prendersi cura della figlia fino all'ultimo secondo della sua vita.
Proprio da questo incipit si svilupperà tutto il film. Una trama che a differenza di quello che molti di voi si aspettano sfrutta il virus come elemento sui cui sviluppare un rapporto padre/figlio assolutamente intimista, carico di sentimenti e molto introspettivo.
Arnold mette in campo una delle sue migliori performance in assoluto.
Il problema di Contagius risiede in una sceneggiatura che presenta diversi momenti di stanca che fanno perdere ritmo e mordente alla pellicola. Nemmeno le scene d'azione, sistemate tra l'altro in modo poco strategico, riescono a risollevare il ritmo di un film tenuto in piedi quasi esclusivamente dalle ottime interpretazioni dei due protagonisti: Maggie e Wade.
Arnold mette in campo una delle sue migliori performance in assoluto. Il suo Wade é un personaggio che nonostante la grossa muscolatura ed una espressività visiva tutt'altro che memorabile (ma diciamocelo, non é mai stato il suo pezzo forte!) riesce a trasmettere perfettamente gli stati d'animo che vive attraverso i suoi gesti, gli sguardi e le sue movenze impacciate. Il suo corpo, ancora tonico ma inizia a mostrare i segni dell'età che avanza, diventa così lo strumento migliore per trasmettere a chi sta guardando la sofferenza di un padre che sa di non poter fare più nulla per sua figlia.
Ad aiutarlo c'é ovviamente una Abigail Breslin che mostra ancora una volta le sue indubbie doti recitative (candidata all'oscar per Little Miss Sunshine). La sua Maggie é una ragazza fragile ma allo stesso consapevole del fardello che sta portando suo padre. Inoltre, il bellissimo make up che ci mostra la sua lenta trasformazione arricchisce ulteriormente la vasta gamma di espressioni emotive che lentamente ci racconta la trasformazione interna, da speranza in ineluttabile rassegnazione.
In tutto questo Hobson dimostra di saperci fare, sfruttando abili passaggi in Handy cam che vanno ad indugiare in particolari che trasmetto in maniera ancora più nitida la dimensione umana di questo dramma. Certamente non mancano momenti più movimentati e qualche piccolo elemento gore, ma nel complesso il lavoro svolto da Hobson é particolare, intimo e decisamente alternativo.
Ad aiutarlo ci pensa anche un fotografia che definire perfetta é riduttivo. Lukas Ettlin dipinge attorno agli attori un mondo grigio, sporco, quasi cupo ma allo stesso tempo distaccato e poco dettagliato, lasciando agli attori il compito di riempire quel vuoto scenografico e scegliendo così di mettere in risalto unicamente la parte umana delle pellicola.
Insomma, Contagius: Epidemia Mortale é tutto tranne che un film perfetto. Un prodotto non per tutti, perché dietro al titolo assolutamente sviante, si nasconde un film profondo, intimo e decisamente più drammatico di quanto una lecitamente potrebbe aspettarsi. Al netto di una serie di elementi che ci hanno convinto poco, su tutti la sceneggiatura che sembra non riuscire a reggere la carica emotiva che viene trasmessa, la prima opera di Hobson é interessante, diretta e sincera. Un punto di vista differente, e quasi completamente riuscito, all'interno di un filone ormai fin troppo sfruttato. Buona (con riserva) la prima Henry!