Megalopolis, recensione: il nuovo film di Coppola è un disastro, o forse lo capiremo solo tra 30 anni
Un disastro irredimibile o un film troppo geniale e d’avanguardia per essere capito oggi? L’impressione è che Coppola sia vittima della sua stessa libertà creativa.
Megalopolis deraglia così spettacolarmente, senza nemmeno tentare di frenare, buttandosi alla massima velocità possibile in un abissale burrone che a un certo punto ti viene anche il dubbio: “stai a vedere che non lo sto capendo, che non lo stiamo capendo, che tra 30 anni sarà uno di quei film su cui inchiodare la critica, come Zodiac, come Showgirls”.
Pensavo soprattutto al film e in generale al cinema di Verhoeven perché mi sono trovata spesso a chiedermi, per ragioni anagrafiche: se l’avessi visto in sala all’epoca i suoi film scandalo mi sarei accodata con quanti non capirono cosa c’era dietro il suo cattivo gusto, il suo eccesso? O forse è stata Aubrey Plaza che durante un amplesso inarca la schiena all’indietro fino quasi a toccarsi le caviglie a ispirarmi questa riflessione? Difficile non pensarci, quando Megalopolis ha una scena più o meno consapevolmente fotocopiata da Black Book, con un’erezione maschile ben visibile sotto le lenzuola che culmina in un tipo di violenza inaspettato. Coppola riesce incredibilmente a superare in assurdo e in eccesso il regista olandese: è un traguardo, a modo suo.
L’impressione però è che tra 30 anni gli accreditati del Festival di Cannes sopravvissuti alla vecchiaia, all’AI e alla crisi dell’editoria si racconteranno di quella volta in cui in una sola giornata videro il bellissimo Furiosa e il film più sbagliato di sempre di Coppola.
Il film più sbagliato di Francis Ford Coppola
La storia ormai è già leggenda. Confesso che ci si sente abbastanza delle carogne a demolire il lavoro di uomo che ha sognato per mezzo secolo di girare questo film, che ha venduto parte del suo impero enologico per potersi finanziare in maniera libera e indipendente il suo progetto. Certo, il risultato forse ci fa rivalutare le redini tirare al limite della censura degli studios.
Megalopolis, in breve, racconta la storia di una città del futuro alter ego di New York, degradata e corrotta, schiava del vizio e dell’eccesso. Questa megalopoli tutta grattacieli e feste s’ispira alla Roma di Caio Giulio Cesare per nomi, acconciature, vestiti e momenti in cui senza nessuna spiegazione plausibile i protagonisti cominciano a parlare in latino (un pessimo latino). New Roma è a metà tra Gotham con il sindaco pragmatico e utilitarista Franklyn Cicero interpretato da Gianfranco Esposito e la luminosa Metropolis di Superman, dove un visionario architetto di nome Cesar (Adam Driver) inventa un materiale che gli vale un premio Nobel. Il Megalon si rivelerà una sorta di sua personale criptonite.
Nel mezzo ci sono una moglie morta, una donna santa e una femme fatale intrigante: ruoli ancillari femminili, una sorta di proiezione maschile della donna perfetta. Nathalie Emmanuel è Julia Cicero, una donna che tutti ci dicono eccezionale ma la cui più grande dote sembra essere quella di sorbirsi senza colpo ferire gli sproloqui infiniti dell’amato sulle sue ex e i rimbrotti del padre perché lei non più "la sua bambina". Non va meglio a Aubrey Plaza nei panni della zietta Wow Platinum, una femme fatale così aggressiva, dominatrice e castrante che le sue dita fanno il rumore delle delle delle forbici quando si chiudono. Vi lascio immaginare che fine facciano entrambi i personaggi.
Cosa c'è di buono (poco) in Megalopolis
D’altronde questo è il sogno di Coppola, un’enorme allegoria di un’artista che sa già di aver creato qualcosa d’immortale ma che desidera disperatamente poter fermare il tempo. Superare la sua mortalità con un materiale magico, che tutto migliora e rimargina: il megalon è il cinema, Cesar è Francis. Quantomeno ciò che ispira il genio creativo e dà i suoi poteri all’artista è l’amore, anche se un po’ vecchia maniera.
Essendo Coppola Coppola - un grande maestro, un regista visionario, uno che ha avuto il coraggio di prendere la via scomoda e di venire capito solo dopo decenni - del buono c’è, a volerlo trovare. Per onestà intellettuale vado a elencare quel poco di Megalopolis che impressiona in positivo.
A partire dallo stile di regia. Coppola ha 85 anni ma adotta da subito uno stile contemporaneo, tra il videoclipparo, il meme e certe leccatissime pubblicità di profumi per uomo un po’ tamarre. Non un'estetica che personalmente apprezzo, ma non si può certo dire che viva nel passato, che non abbia cercato di rinnovarsi.
Del cast stellare di Megalopolis si salva solo LaBeouf
Megalopolis non manca di guizzi registici, ma le sbandate sono talmente tante che cancellano ciò che c’è di buono. Anche gli interpreti vengono spinti alla performance eccessiva, sopra le righe, caricaturale. Adam Driver fa quel che può ma deve reggere da solo un discorso che vorrebbe essere ispiratore e toccante, come se un redivivo Kennedy tornasse a parlare all’America di Trump: fa male al cuore vederlo sforzarsi così tanto.
Aubrey Plaza sembra fare un po’ il personaggio e un po’ la sua parodia al SNL. Nathalie Emmanuel è trasparente, non certo aiutata da un personaggio raramente inconsistente: Beatrice di Dante come donna angelicata aveva più cazzimma. L’unico davvero in palla, anzi, così a suo agio e naturale da meritare davvero un premio (e forse la giuria di Greta Gerwig salverà così capra e cavoli) è Shia LaBeouf. Lui è pazzesco ed è forse l'unico per cui vale la pena di vedere film. Mentre gli altri annaspano, LaBeous sguazza nell’eccesso e lo rende naturale, vibrante, magnetico. È come se la follia insita della storia gli risultasse naturale, riesce persino a passare un che di ridicolo e di debole da tragedia d'operetta.
Da salvare non rimanere davvero nient’altro. Da bocciare c’è molto, moltissimo. A partire da un film visionario incapace di portare in vita una visione futurista e utopica credibile, coerente, non abbozzata. I visual della città utopica che Cesar vuole costruire sembrano il meme di “come sarebbe il mondo se...”, in più passaggi si ha l’impressione che gli scenografi abbiano dovuto preparare una visione futuristica e statunitense dell’impero romano in meno di mezz’ora. Per quanto riguarda gli effetti speciali, diciamo pure che è evidente che il comparto dei professionisti della VFX fosse ai ferri corti col regista e la produzione.
Non è solo un problema estetico - anche se alcuni passaggi sono davvero brutti e posticci - è un colpo mortale per un film visionario che a livello visivo ed estetico è del tutto privo di visione. Almeno a voi verrà probabilmente risparmiata l’incursione, a metà proiezione, di un uomo che si mette di spalle allo schermo armato di asta e microfono e intervista Adam Driver. Dovrebbe essere un grande colpo di teatro, ma sa un po’ di mezzuccio, un po’ di boutade.