Miller's Girl: Jenna Ortega è ancora una liceale gotica in un thriller erotico che deraglia ma, talvolta, intriga
Martin Freeman e Jenna Ortega nobilitano un thriller erotico che si crede più trasgressivo e intelligente di quel che è, ma che nel suo essere disastroso, riesce in qualche modo a risultare promettente.
La prima, sprezzante risata di scherno Miller’s Girl la strappa più o meno a due minuti dall’inizio del film, quando la voce fuori campo di Jenna Ortega proclama il suo personaggio come “una 18enne irrilevante”, subito dopo averci mostrato la sua bellezza fuori dal comune, la magione gotica immersa nella foresta del Tennessee in cui risiede, abbondata dai ricchi genitori avvocati perennemente all’estero, il tutto a una passeggiata di distanza da un liceo costantemente fuori fuoco in cui studia. La cinepresa è tutta per lei, la ragazza di Miller, dapprima un’ingénue eccezionalmente versata nella letteratura, poi una jeune & jolie con tante cruel intentions nell’agenda per il college.
Per andare a Yale deve scrivere un elaborato sul più grande risultato ottenuto nella sua vita, ma si rende conto di non aver combinato granché nei suoi primi 18 anni sul pianeta da ricca adolescente annoiata e solitaria con il pallino della letteratura. Da qui l’idea di giocare col fuoco, con i sentimenti dei pochi personaggi parlanti che la circondano: l’amica queer Winnie (Gideon Adlon), procace e sempre in vena di flirtare con i prof, l’insegnante di ginnastica Boris (Bashir Salahuddin) che la compagna tenta di portarsi a letto per perdere la verginità e il professore di scrittura creativa, il signor Miller (Martin Freeman), verso cui la protagonista prova una qual certa attrazione.
Jade Hailey Bartlett è un'esordiente misteriosa
La quantità di primissimi piani sugli occhioni vitrei, le sue delicate efelidi, la sua bocca perennemente socchiusa di Jenna Ortega parrebbe suggerire quasi un che di quasi morboso, non fosse che alla regia c’è Jade Hailey Bartlett, originaria del Tennessee, sceneggiatrice e regista di questo bizzarro esordio, basato su un dramma teatrale precedentemente scritto dalla stessa, poi riadattato a film.
Una volta digerito il nome pretenziosissimo della protagonista - Cairo Sweet - l’estetica del suo liceo tirata fuori dritta dritta dalle bacheche Pinterest delle amanti dell'estetica Dark Academia e il suo pascolare per i corridoi e le aule perennemente prive di studenti con sotto braccio un’edizione con copertina rigida di Finnegans Wake, Miller’s Girl si rivela per quello che è: un’elaborata fantasia romantica ed erotica. Una storia ritoccata dopo il #MeToo per essere socialmente accettabile da qualcuno che ha le competenze letterarie per trasformare il Miller del titolo dal professore protagonista allo scrittore Henry Miller, facendo sentire lo spettatore meno a disagio con una spruzzata di studiatissimi riferimenti pop (Harry Potter, Friday Night Lights, Celine Dion).
Miller’s Girl insomma sembra presentarsi come una versione più high brow, più raffinata di tutta una serie di titoli romantici in cui l’eroina goffa e impacciata non è consapevole del suo potenziale, che la rende irresistibile agli occhi del protagonista maschile ma anche una sorta di alter ego di chi scrive sulla tastiera.
Martin Freeman e Jenna Ortega salvano Miller's Girl da molti imbarazzi
Non ci fossero al timone due attori ben sopra la media come Martin Freeman e Jenna Ortega, il film sarebbe probabilmente passato inosservato e avrebbe fatto rabbrividire più di quanto già non faccia. Se a Ortega si chiede, in buona sostanza, di tornare a calarsi nei panni di Mercoledì Addams addizionando un po’ sensualità (è così gotica da emergere da una nebbiolina a bordo campo ogni volta che si avvicina a scuola, è così ribelle che, a 18 anni, fuma e breve), a Martin Freeman tocca l’ingrato compito di interpretare il marito banale, scrittore fallito e insegnante incapace di resistere all’avvenenza e alle lusinghe della sua giovane pupilla. Miller’s Girl gli mette in bocca una sequela di cliché micidiali e lui riesce persino a trovare un qualche briciolo di umanità dentro questo personaggio fantoccio, che vorrebbe essere una vittima ma il #MeToo ha trasformato in un mezzo carnefice, senza mai decidersi in merito al suo destino, alla sua valenza nella narrazione.
Il dettaglio mancante che permette d’interpretare al meglio le intenzioni del film sta nella sua origine: la piece teatrale scritta da Bartlett in origine voleva essere “la genesi di una cattiva nata da una cocente delusione amorosa”.
Mi si consenta una ricostruzione plausibile della genesi di Miller’s Girl, purtroppo scarsamente corroborata dalle poche informazioni disponibili in merito alla sua creatrice. Come gran parte delle opere giovanili e acerbe, l’autrice ci ha riversato dentro il suo mondo (nelle parole di Cairo “scrivi di quello che conosci e provi”), le sue aspirazioni, molto più di quanto consciamente crede di aver fatto.
Miller's Girl è un miscuglio di ingenuità e talento
Se Miller’s Girl fustigasse l’ipocrisia senza fine dei suoi personaggi, i loro credersi padri eterni della letteratura e del senso della vita, il loro plasmare la vita come ci si aspetta da chi ha quello status sociale, sarebbe un titolo grandioso. Invece trasmette un senso di familiarità con il mondo alto borghese, depresso e un po’ arrapato. Miller's Girl racconta un’ingenuità e un’arroganza di fondo che sono la summa sia di Cairo, sia del film, sia di chi l’ha scritto e diretto: la storia di un giovane talento femminile mescolato a tanta ingenuità ed inesperienza, che espone i suoi piccoli intrighi credendoli più sofisticati di quanto non siano. Il tutto in un liceo popolato da fantasmi, perennemente deserto come la casa di Cairo: Miller's Girl è un mondo vuoto, abitato solo dai protagonisti i cui destini stanno a cuore della scrittrice.
Eppure il talento c’è, anche a livello di regia. Miller’s Girl, nel suo completo e assoluto irrealismo, ha un’allure e un’atmosfera palpabili e alle volte, specie quando non è sovrastato dalla smania di sembrare intelligente, tira fuori soluzioni brillanti. Certo, pensando a un film come "Stoker" di Park Chan-wook (che parte esattamente dalla stessa premessa e insegue con insistenza un'estetica altrettanto calcata) viene quasi da piangere. Specie considerando quanto quel film sia stato stroncato dalla critica e quanto sia attualmente inviso al suo stesso regista.
Qui però parliamo di un esordio. Ci ritroviamo spettatori di un film che da una parte non coglie l’imbarazzante pomposità del titolo del libro scritto dal suo protagonista (”Apostrophes and Ampersands”, se riuscite a crederci), dall’altra nelle scene finali fa una brillante sintesi dello sprezzo della moglie di Miller nei confronti del marito e la sua voglia di voltare pagina con un primo piano del volume davvero ficcante.
Cairo Sweet è troppo vicina al cuore della sua creatrice per non risultare una fantasia egoriferita, il probabile simulacro di una certa sensibiltà e irrequietezza che Bartlett ha vissuto a 18 anni, che la facevano sentire diversa, unica, speciale. Un personaggio femminile disastroso, affiancato però a due figure verso cui è più distaccata e che risultato assai più brillanti.
L’amica Winnie, dientro le sue battute studiatissime e molto artificiose, è un personaggio brillante, una sorta di sorellina delle protagoniste di Euphoria: lesbica, sessualmente disinibita, alla ricerca di una prima volta con un uomo maturo e “proibito”, emotivamente e moralmente più matura degli adulti e dell’amica che la compatiscono per la sua schiettezza. La moglie di Miller è una versione più tagliente della compagna di Tom Hanks in C’è post@ per te: nevrotica, sempre al lavoro, appiccicata al cellulare, quasi alcolizzata, ma capace di intercettare ogni cambiamento d’umore del marito, sedurlo, stimolarlo e poi umiliarlo, tenendolo sempre sul chi vive.