Noah
di
Marco Modugno
Noé era vegano? I lettori più seriosi mi perdoneranno quest'attacco sul filo dell'umorismo, che non rende immediatamente l'onore meritato al kolossal di Aronofsky dedicato alle gesta del patriarca biblico, coinvolto nel Diluvio Universale. La domanda, però, sorge spontanea alla luce di quella che si rivela una delle principali stonature del copione del film sceneggiato da Aronofsky stesso e dal correligionario Ari Handel (se vi state ancora chiedendo di quale confessione vi do un aiutino: in questi giorno si apprestano a festeggiare la Pesach). Ossia l'eccessivo e ripetitivo animalismo, ribadito più volte nel film, in ossequio al quale Noé e la sua famiglia rifuggono i pasti a base di carne, preferendo a quanto pare una dieta totalmente vegetale, arrivando al punto di asserire con sicumera che la forza dell'uomo non deriva dall'assunzione di proteine, ma esclusivamente dall'azione divina e che vale la pena di salvare più gli animali (unici innocenti) che gli uomini.
Chiunque abbia anche solo scorso il libro della Genesi sa che, pare, il Padreterno non la pensasse affatto così e anche il film, nel finale, recupera terreno da questa brutta scarrocciata “new age”. Resta il fatto che le fanfaluche turboanimaliste (questo neologismo lo rubo a Luttwak) sembrano davvero fuori posto, in era antidiluviana, e fa un po' strano dover concordare con il cattivo per antonomasia, Tubal-Cain discendente del primo omicida della storia, quando sbotta, citando Genesi quasi alla lettera, dicendo che solo l'uomo é stato creato da Dio a Sua immagine, e gli animali invece per servirlo (e servirgli, all'occasione, come pasto). Gnam!
L'altra licenza, di ben diverso spessore culturale ed esegetico, intrapresa da Handel e Aronofsky, riguarda il ruolo dei Nephilim. I “caduti” di cui si parla brevemente in Genesi e molto più diffusamente nel Libro di Enoch, considerato apocrifo rispetto al canone ebraico e cristiano (fatta eccezione per la Chiesa copta eritrea). Ribattezzati Guardiani nel film sarebbero, secondo gli sceneggiatori, angeli scesi dal cielo per insegnare, precursori del Prometeo greco, i segreti della tecnica all'uomo appena scacciato dal Creatore dall'Eden. Il gesto di compassione, però, sarebbe costato loro caro, suscitando la punizione del Padreterno che costringe la loro natura divina luminosa all'interno della materia bruta. Una scelta suggestiva, ma totalmente difforme da quanto narrato nei testi sopra citati, che vorrebbero invece i Nephilim come i “figli di Dio” (angeli, appunto, oppure semplicemente i discendenti di Set, terzo figlio di Adamo) i quali, vista la bellezza delle “figlie degli uomini” (discendenti da Caino) le presero in mogli, facendo adirare Dio non poco e spingendolo a decretare una sensibile riduzione della lunghezza della vita degli uomini.
Certamente la versione prometeica scelta dalla pellicola per giustificare la presenza terrena di Samyaza e compagni e la possibilità per loro di una catarsi penitenziale, é suggestiva e magari più adatta a un lungometraggio hollywoodiano della vicenda originale, che sarebbe parsa a molti come una versione antidiluviana del ratto delle Sabine. Vedere angeli costretti nella materia, trasformati dalla caduta in esseri mostruosi, sgraziati, contorti, odiati e banditi da quegli stessi uomini che erano venuti ad aiutare, evoca emozioni e colpisce in profondità. Ma lascia anche perplessi perché, se certamente la presenza di questa specie di “Transformers” biblici fornisce spunti d'azione in attesa che arrivi l'acqua, e dà una mano a spiegare come Noé sia riuscito a completare l'arca in tempi men che biblici (appunto), é anche vero che costituisce l'unica seria digressione da una fedeltà al testo ricercata e mantenuta dagli sceneggiatori con cura e attenzione davvero stimabili.
Era difficile davvero, e chi conosce la Bibbia lo sa, tirare fuori 138 minuti di azione e dialoghi dalle poche righe dedicate dal cronista antico a Noé, alla sua famiglia e al Diluvio. Aronofsky e Handel, però, fatta eccezione per le digressioni di cui sopra, riescono a restare attaccati allo spirito del racconto originale, e non é poca cosa, dato che dopotutto si tratta della Parola di Dio per tre quarti dei credenti di tutto il mondo (ebrei, islamici e cristiani) e gli argomenti da toccare sono di conseguenza piuttosto delicati. Russel Crowe giganteggia in una delle sue prove di recitazione più riuscite, interpretando un patriarca pronto all'azione, contrapposto con scaltrezza che non stride al gentile e speculativo Matusalemme, affidato ad un Anthony Hopkins tanto delicato da far dimenticare per qualche momento Hannibal.
Ottima l'ex ragazzina di Phenomena Jennifer Connelly nella parte di Naameh, moglie di Noé devota ma forte, che riesce assieme all'altra protagonista femminile, Emma Watson, a fare la differenza nella storia. L'ex allieva di Hogwarts é decisamente cresciuta, anche come attrice, e riesce a far dimenticare con un'ottima recitazione che culmina nel più bel monologo del film, (quello sull'amore liberamente scelto dall'uomo che rappresenta la giusta risposta di fede nei confronti del Creatore, poco prima del finale), la performance non proprio eclatante di The Bling Ring. Ottimo infine il "cattivo ma non troppo" Tubal-Cain, costruito su un personaggio biblico realmente esistito e ricordato come il primo chimico metallurgico della storia umana. In lui si vede tutto il dibattersi dell'uomo materialista moderno, uguale a quello antico nelle scelte sbagliate e nel rifiuto dell'essere, scambiato con l'avere.
Nel corso del film, sotto un cielo sempre più plumbeo che annuncia l'inevitabile, assistiamo al declino della razza umana, disposta a perdersi dietro sogni di gloria legati al progresso tecnologico, a vivere in promiscuità, senza altre regole che quella del più forte. I motivi del Diluvio sono evidenti, ma Noé dovrà ugualmente passare attraverso un'ordalia personale drammatica, addirittura peggiore della fuga nell'arca, prima di comprenderne il senso profondo, manifestando tutta la sua umanità. E rischiando perfino di perdersi, richiamato in extremis sulla via della salvezza dall'amore (eccolo di nuovo) dei suoi cari.
Noah colpisce nel segno sotto tutti gli aspetti. La pellicola é spettacolare al punto giusto, emozionante e capace di suscitare la riflessione di noi uomini moderni, vaccinati a qualsiasi orrore dalla nostra società impazzita. Sorprende positivamente chi si aspettava l'ennesimo filmone 3D pieno di effetti speciali, ma con pochi contenuti. O chi, come il sottoscritto, diffidava della rilettura hollywoodiana di uno dei capitoli biblici più antichi e in qualche modo oscuri. Ci sono tutti gli elementi per un successo duraturo e perfino per diventare punto di riferimento di una nuova rivisitazione della narrazione cinematografica dei grandi affreschi biblici.
Chiunque abbia anche solo scorso il libro della Genesi sa che, pare, il Padreterno non la pensasse affatto così e anche il film, nel finale, recupera terreno da questa brutta scarrocciata “new age”. Resta il fatto che le fanfaluche turboanimaliste (questo neologismo lo rubo a Luttwak) sembrano davvero fuori posto, in era antidiluviana, e fa un po' strano dover concordare con il cattivo per antonomasia, Tubal-Cain discendente del primo omicida della storia, quando sbotta, citando Genesi quasi alla lettera, dicendo che solo l'uomo é stato creato da Dio a Sua immagine, e gli animali invece per servirlo (e servirgli, all'occasione, come pasto). Gnam!
L'altra licenza, di ben diverso spessore culturale ed esegetico, intrapresa da Handel e Aronofsky, riguarda il ruolo dei Nephilim. I “caduti” di cui si parla brevemente in Genesi e molto più diffusamente nel Libro di Enoch, considerato apocrifo rispetto al canone ebraico e cristiano (fatta eccezione per la Chiesa copta eritrea). Ribattezzati Guardiani nel film sarebbero, secondo gli sceneggiatori, angeli scesi dal cielo per insegnare, precursori del Prometeo greco, i segreti della tecnica all'uomo appena scacciato dal Creatore dall'Eden. Il gesto di compassione, però, sarebbe costato loro caro, suscitando la punizione del Padreterno che costringe la loro natura divina luminosa all'interno della materia bruta. Una scelta suggestiva, ma totalmente difforme da quanto narrato nei testi sopra citati, che vorrebbero invece i Nephilim come i “figli di Dio” (angeli, appunto, oppure semplicemente i discendenti di Set, terzo figlio di Adamo) i quali, vista la bellezza delle “figlie degli uomini” (discendenti da Caino) le presero in mogli, facendo adirare Dio non poco e spingendolo a decretare una sensibile riduzione della lunghezza della vita degli uomini.
Certamente la versione prometeica scelta dalla pellicola per giustificare la presenza terrena di Samyaza e compagni e la possibilità per loro di una catarsi penitenziale, é suggestiva e magari più adatta a un lungometraggio hollywoodiano della vicenda originale, che sarebbe parsa a molti come una versione antidiluviana del ratto delle Sabine. Vedere angeli costretti nella materia, trasformati dalla caduta in esseri mostruosi, sgraziati, contorti, odiati e banditi da quegli stessi uomini che erano venuti ad aiutare, evoca emozioni e colpisce in profondità. Ma lascia anche perplessi perché, se certamente la presenza di questa specie di “Transformers” biblici fornisce spunti d'azione in attesa che arrivi l'acqua, e dà una mano a spiegare come Noé sia riuscito a completare l'arca in tempi men che biblici (appunto), é anche vero che costituisce l'unica seria digressione da una fedeltà al testo ricercata e mantenuta dagli sceneggiatori con cura e attenzione davvero stimabili.
Era difficile davvero, e chi conosce la Bibbia lo sa, tirare fuori 138 minuti di azione e dialoghi dalle poche righe dedicate dal cronista antico a Noé, alla sua famiglia e al Diluvio. Aronofsky e Handel, però, fatta eccezione per le digressioni di cui sopra, riescono a restare attaccati allo spirito del racconto originale, e non é poca cosa, dato che dopotutto si tratta della Parola di Dio per tre quarti dei credenti di tutto il mondo (ebrei, islamici e cristiani) e gli argomenti da toccare sono di conseguenza piuttosto delicati. Russel Crowe giganteggia in una delle sue prove di recitazione più riuscite, interpretando un patriarca pronto all'azione, contrapposto con scaltrezza che non stride al gentile e speculativo Matusalemme, affidato ad un Anthony Hopkins tanto delicato da far dimenticare per qualche momento Hannibal.
Ottima l'ex ragazzina di Phenomena Jennifer Connelly nella parte di Naameh, moglie di Noé devota ma forte, che riesce assieme all'altra protagonista femminile, Emma Watson, a fare la differenza nella storia. L'ex allieva di Hogwarts é decisamente cresciuta, anche come attrice, e riesce a far dimenticare con un'ottima recitazione che culmina nel più bel monologo del film, (quello sull'amore liberamente scelto dall'uomo che rappresenta la giusta risposta di fede nei confronti del Creatore, poco prima del finale), la performance non proprio eclatante di The Bling Ring. Ottimo infine il "cattivo ma non troppo" Tubal-Cain, costruito su un personaggio biblico realmente esistito e ricordato come il primo chimico metallurgico della storia umana. In lui si vede tutto il dibattersi dell'uomo materialista moderno, uguale a quello antico nelle scelte sbagliate e nel rifiuto dell'essere, scambiato con l'avere.
Nel corso del film, sotto un cielo sempre più plumbeo che annuncia l'inevitabile, assistiamo al declino della razza umana, disposta a perdersi dietro sogni di gloria legati al progresso tecnologico, a vivere in promiscuità, senza altre regole che quella del più forte. I motivi del Diluvio sono evidenti, ma Noé dovrà ugualmente passare attraverso un'ordalia personale drammatica, addirittura peggiore della fuga nell'arca, prima di comprenderne il senso profondo, manifestando tutta la sua umanità. E rischiando perfino di perdersi, richiamato in extremis sulla via della salvezza dall'amore (eccolo di nuovo) dei suoi cari.
Noah colpisce nel segno sotto tutti gli aspetti. La pellicola é spettacolare al punto giusto, emozionante e capace di suscitare la riflessione di noi uomini moderni, vaccinati a qualsiasi orrore dalla nostra società impazzita. Sorprende positivamente chi si aspettava l'ennesimo filmone 3D pieno di effetti speciali, ma con pochi contenuti. O chi, come il sottoscritto, diffidava della rilettura hollywoodiana di uno dei capitoli biblici più antichi e in qualche modo oscuri. Ci sono tutti gli elementi per un successo duraturo e perfino per diventare punto di riferimento di una nuova rivisitazione della narrazione cinematografica dei grandi affreschi biblici.