Non sposate le mie figlie 2

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La Francia è il paese del dirigismo, della pubblica amministrazione che funziona come un carro armato e (sopratutto) è il paese dell'eccezione culturale. Il cinema francese ha sempre (o quasi) seguito questa linea guida di politica culturale. Il cinema francese (dal 1959) ha cercato di proporre un modo nuovo di fare cinema. Un metodo peculiare, un tentativo di far scuola. Se nella Quarta Repubblica francese il cinema autoctono era retorico e "filo-americano", con la Quinta Repubblica nascono i vari Truffaut, i Godard e quel montaggio del tutto peculiare.

I maestri del passato (Melville a parte, devotamente omaggiato in "Fino all'ultimo respiro" nella parte di se stesso) sono banditi. Poi i tempi passano, i generi scemano. E cosa farne nel nuovo secolo, di questa eccezione culturale? 

La risposta è semplice: investire in commedie.

Story Trailer

Non si hanno i mezzi per far concorrenza ai vari blockbuster a stelle e strisce e ai vari Capitani Marvel (anche se qualche tentativo è stato fatto con Luc Besson e con la saga d Asterix)? Allora facciamo commedie nostre, autarchiche, raffinate. Da ceto medio riflessivo. In certi casi, sperimentiamo qualcosa. Se ci va bene e riusciamo a fare lobby, possiamo addirittura vincere l'Oscar (come "The Artist").

Questi i principii cardine di gran parte delle produzioni della Republique che negli ultimi anni hanno sperimentato commedia sui temi d'attualità come "Quasi amici" e appunto "Non sposate le mie figlie". Ora è il tempo di rodare ulteriormente il genere, attraverso la realizzazione di "Non sposate le mie figlie 2".

Il regista Philippe de Chauveron torna infatti sul luogo del delitto e ripesca il successo al botteghino del 2014 realizzando un atteso sequel, con al centro le avventure della famiglia Verneuil alle prese con la società francese e la sua multietnicità.

Se nel primo episodio il duo della Francia centrale assisteva imperterrita ai matrimoni delle loro 4 figlie, qui il tema matrimoniale è quasi un inutile sottotesto. E si mira invece ad una struttura maggiormente episodica dell'intreccio narrativo. La storia è ormai ben definita, e i due coniugi si trovano a dover convincere i rispettivi mariti delle loro figlie a non lasciare la Francia.

Non sposate le mie figlie 2

Sono infatti i francesi di seconda generazione (almeno in questa commedia) a trovarsi maggiormente in difficoltà in questa mutazione sociale e in cui tutti "voi avete votato per Macron". Da questo canovaccio de Chauveron dunque anziché dare un vero e proprio sbocco alla trama, decide di sottolineare maggiormente i toni farseschi di una commedia che per quanto tratti temi legati alla società contemporanea non mira a dare lezioni. Ne' di tipo cinematografico ne' di tipo politico e sociale.

Ed è forse questo l'elemento che rende questo secondo episodio migliore del primo. Non vi è una sceneggiatura incerta di fronte ad un soggetto solido e storicamente fondato. Ma uno sviluppo dell'introspezione umoristica, un differente modo di far evolvere i personaggi verso lidi e sensibilità ancora inesplorate.

Christian Clavier in stato di grazia si trova a svolgere un ruolo pro-attivo, convince i 4 sodali a non lasciare il paese e mette in luce gli esempi di eccellenza del paese. Ma senza eccedere nelle retorica (come la terribile scena dell'inno nazionale del primo episodio) e caratterizzando il suo personaggio in primo luogo come idealtipo comico (e dunque esportabile) anziché come il francese medio.

Poi sì, si tratta senz'altro di una commedia ruralista, per certi versi antiglobalizzazione: col protagonista che dopo un mese all'estero saluta le vacche nemmeno fosse lo Jacques Chirac dei tempi d'oro. Ed in cui la scorpacciata di formaggio sostituisce la ben più nobile (in tutti i sensi) frittatona di cipolle del ragionier Fantozzi.

Vi è addirittura (in questi sketch concatenati, con un montaggio che ricorda vagamente la fantasia al potere sessantottina di un certo modo di intendere la Nouvelle Vogue) parte del cinema del mondo esterno che compare. Tra le citazioni da "L'esorcista", al "terribile" cinema di Spike Lee e a quel cognome del protagonista (Verneuil) che rimanda esplicitamente al cineasta di pellicole come "Il clan dei siciliani" con Jean Gabin (per lo più noto per le note morriconiane di sottofondo). Quando lo stato fa il cinema, escono fuori pellicole rassicuranti. Ma non sempre godibili come questa.

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