Nonostante, recensione: Mastadrea da regista osa una storia “poco italiana”, ma è vittima della malinconia romana
Valerio Mastandrea per la seconda volta regista osa una storia e un genere abbastanza lontani dalle consuetudini del cinema italiano, ma purtroppo perde il ritmo a metà film. La recensione di Nonostante.
Alla sua seconda prova dietro la macchina da presa, Valerio Mastandrea ha la storia e i riferimenti giusti. Nonostante, la sua seconda regia, avrebbe tutte le carte in regola per stupire e convincere ma la sua malinconia esistenziale affossa un film potenzialmente interessante con una cronica mancanza di ritmo che pesa sullo spettatore
Da attore, regista e probabilmente persona, Mastandrea è l’incarnazione di un certa tipologia esistenziale dell'essere romano. Un fenotipo, un modo di essere, un'attitudine esistenziale che emana dalla sua persona, sin dai tempi dei suoi primi passi da attori, sin dal Maurizio Costanzo Show. Quella malinconia, che anche nel riso, nello sfottò, nella calata romana, non lo abbandona mai, come un'ombra di fondo nello sguardo. Fa parte del suo carattere, del suo carisma, lo aiuta a essere l'ottimo interprete che conosciamo.
È un sentimento e modo d'essere che condivide con altri artisti, che lo accomuna a molti concittadini. È una delle mille anime della città all’ombra del Cupolone e che rimbomba dentro Nonostante, che lo vede dietro la cinepresa dopo l'esordio Ride.
I fantasmi di Tim Burton, i fantasmi di Valerio Mastandrea
Nonostante è un film personale, che dà l'impressione di riflettere molto il carattere di chi lo dirige e di chi ne interpreta il protagonista. Ambientato in un reparto di ospedale che ospita persone in coma, la pellicola che apre la sezione Orizzonti di questa edizione della Mostra del cinema di Venezia crea uno strano, surreale dialogo con il film d’apertura “ufficiale”.
Tim Burton con Beetlejuice Beetlejuice porta al Lido i suoi fantasmi, irriverenti, vendicativi e sempre alla ricerca di un’anima gemella. Dall’altra parte del mondo, sulla sponda del Tevere, un po’ a sorpresa, Valerio Mastandrea fa lo stesso. Dai titoli di coda - perché il film manca di spiegare per bene il suo stesso titolo - capiamo che i personaggi senza nome che seguiamo sono dei “nonostante”. Né vivi né morti, in bilico, in attesa, "nonostante" tutto. Sono tutti espressione dello spirito, dell’anima, della coscienza di corpi fisici bloccati in un letto d’ospedale, in attesa del finale senza ritorno. Sia la morte sia il risveglio infatti li condannerebbero a dimenticare la loro vita da spiriti di corsia.
Il nonostante interpretato dal regista condivide le giornate con i compagni di coma: un uomo gentile (Lino Musella) con un impermeabile giallo e una donna (Laura Morante) cocciutamente alla ricerca della solitudin. Se ne va a zonzo, segue gli allenamenti degli allievi di una club d’atletica che si esercitano nel salto in lungo.
Nella scena d’apertura del film lo seguiamo in un lungo establishing shoot che ci dà fa esplorare l’ospedale in cui è bloccato. È una scena brillante, quasi da musical anni ‘50, con il protagonista che si muove con ritmo e grazia tra carrozzine, barelle, montacarichi, con eleganza e piglio sicuro. Per qualche minuto abbiamo l’illusione che il regista ci sedurrà con uno stile elegante e soluzioni sorprendenti, che devino dal dramma che ci aspetteremmo date le premesse della storia.
Invece poi è la storia che sorprende, mentre la forma rimane prevedibilmente preda della trappola malinconica di Mastandrea. Lui e i suoi compagni di coma riflettono sul prima e sul dopo. Quando uno dei tanti pazienti si avvicina alla morte devono aggrapparsi a qualcosa, perché le folate di vento fortissimo che la precedono rischiano di farli volare via. Si aggrappano alla vita metaforicamente (e letteralmente), in attesa che succeda qualcosa.
Nonostante diventa, a sorpresa, un melodramma romantico
Succede che arriva una nuova paziente (Dolores Fonzi), che viene posizionata nella camera del protagonista, destabilizzato dall’interruzione della sua consolidata routine. La donna, scontrosa e ostinata, gli dà del guardone. Nasce così un rapporto destinato a sfumare dall’amicizia all’amore. Un amore che ha dentro di sé una data di scadenza, una malinconia ineluttabile: se uno dei due si sveglia (o muore) finirà per dimenticare l’altro.
Nonostante vira nel territorio del melodramma e potrebbe essere struggente, oltre che romantico. Il problema è che il suo regista fatica moltissimo a trovare un passo che renda il film seducente se non proprio leggero, anche nelle svolte emotivamente più pesanti della trama. Il ritmo via via si sfalda, il passo si sgretola. Il peso esistenziale che grava sulla coppia si riflette sulla crescente macchinosità della narrazione. Magari qualche ingenuità in fase di scrittura c’è, ma il problema principale sta proprio in come la regia e il montaggio non esaltino quanto di buono faccia il film (e non è poco) ma lo spingano via via nel territorio della noia.
Un altro problema di Nonostante è che ha per le mani una chiusa perfetta nella sua brutale negazione di un lieto fine. Invece ancora una volta si allunga, sfuma, dilusce il dramma in una malinconia sempre più sfilacciata, rinunciando a un finale incisivo per uno che permetta a Mastandrea di misurarsi con una scena onirica, allegorica, ma poco efficace. Non è una cosa che si vede spesso nel cinema italiano ed è abbastanza ben eseguita, ma non ha lo stesso mordente della chiusa netta che il film poco prima metteva tra le mani al suo creatore.
Da frequentori abituali del Lido, viene alla mente una sequenza di volo simile vista l’anno scorso né Il Conde di Pablo Larraín e allora si capisce tutta la differenza tra chi affronta anche la regia con buona volontà ed entusiasmo e chi ha una capacità fuori scala di tirare fuori il meglio dalla sua storia stando dietro la cinepresa. A Mastandrea si augura di continuare a crescere come regista, ma anche di trovare un modo per sublimare la sua natura malinconica in un risultato che pesi un po’ meno sul ritmo del film e sulla pazienza dello spettatore.