Oculus
La pellicola di Mike Flanagan presa in esame quest'oggi, ha preso il volo grazie ad un trailer (costato solo duemila dollari) pubblicato su Kickstarter.com e che, nel giro di nemmeno un mese, é riuscito a fruttare al regista i proventi necessari per creare il lungometraggio “Oculus”, distribuito nei nostri cinema grazie alla M2 Pictures.
La storia basa il suo ritmo in virtù di un continuo susseguirsi di vicende, grazie ad un sapiente utilizzo dei flashback, in un intercalare di fotogrammi ben strutturati che riescono a dare il giusto spessore ai due protagonisti: i fratelli Kaylie Karen Gillan e Tim Brenton Thwaites (quest'ultimo lo vedremo presto al fianco di Angelina Jolie in Maleficent) Russell. Dopo la morte dei loro genitori, avvenuta in circostanze più che misteriose, i due neo orfani vengono separati forzatamente a causa dell'arresto del piccolo Tim, unico capro espiatorio accusabile dell'efferato omicidio dei suoi genitori, ed internato successivamente in un riformatorio che, per dieci anni, gli ha permesso di lasciarsi l'incubo alle spalle e rifarsi una vita.
Peccato che la più intraprendente Kaylie, ormai completamente ossessionata dal mistero dietro allo specchio maledetto (in qualche modo legato alla morte dei genitori), abbia fatto carte false per riottenere il potente strumento del male solamente per riportare il medesimo nella casa di famiglia dove é iniziato tutto, tirare nuovamente il fratello in ballo (così da mandare all'aria tutto il lavoro fatto) e scoprire, o svelare finalmente, la verità dietro agli oscuri eventi legati alla loro infanzia.
La bellezza della pellicola di Flanagan si manifesta dietro alla sua struttura, a nostro avviso piacevolmente redatta ed in grado di mantenere il giusto mordente durante le prime fasi del film, fondamentali per coinvolgere lo spettatore e focalizzare l'attenzione verso gli eventi che verranno in seguito svelati.
Infatti é dal momento in cui il ritmo comincia ad aumentare, che si manifesta il gioco creato dal regista, giacché il film comincia a far saltare abilmente il filo temporale degli eventi dal passato al presente, in un continuo susseguirsi di flashback e flashforward che in alcuni casi addirittura si sovrappongono, trasmettendo al palcoscenico la confusione necessaria alla presenza demoniaca per confondere (tra realtà e inganno) non solo i poveri protagonisti, ma anche gli stessi spettatori che tentano di districare la matassa dietro agli eventi.
Purtroppo, però, non appena superata la fase culminante di questa gradevole onda, ci accorgiamo che il suo andamento diventa precariamente sinusoidale, poiché la caratteristica principale che viene a mancare é proprio la paura, elemento che in pellicole simili riesce a fare la differenza tra un prodotto riuscito ed un semplice blockbuster da intrattenimento casalingo.
Il problema dietro ad Oculus deriva, secondo noi, dalla mancanza di una buona colonna sonora, indispensabile per riuscire a ricreare quell'atmosfera votiva ed adatta ad un clima di terrore, espediente più riuscito nel recente “The Conjuring” di James Wan o, tanto per vagare in tema videoludico, nel buon “Outlast” della Red Barrels, dove la giusta mistura di protagonismo (rigorosamente disarmato di fronte agli eventi) ed ottime musiche riescono a creare il giusto compromesso tra immersività e distacco.
In questo caso, il film non consente dunque allo spettatore di provare sulla propria pelle le paure dei protagonisti ed allo stesso tempo estraniarsi dalla storia stessa allo scopo di tranquillizzarsi, cadendo di fatto all'interno di un circolo vizioso che secondo il nostro giudizio non consentirà di arrivare alla fine della pellicola pienamente soddisfatti.
La storia basa il suo ritmo in virtù di un continuo susseguirsi di vicende, grazie ad un sapiente utilizzo dei flashback, in un intercalare di fotogrammi ben strutturati che riescono a dare il giusto spessore ai due protagonisti: i fratelli Kaylie Karen Gillan e Tim Brenton Thwaites (quest'ultimo lo vedremo presto al fianco di Angelina Jolie in Maleficent) Russell. Dopo la morte dei loro genitori, avvenuta in circostanze più che misteriose, i due neo orfani vengono separati forzatamente a causa dell'arresto del piccolo Tim, unico capro espiatorio accusabile dell'efferato omicidio dei suoi genitori, ed internato successivamente in un riformatorio che, per dieci anni, gli ha permesso di lasciarsi l'incubo alle spalle e rifarsi una vita.
Peccato che la più intraprendente Kaylie, ormai completamente ossessionata dal mistero dietro allo specchio maledetto (in qualche modo legato alla morte dei genitori), abbia fatto carte false per riottenere il potente strumento del male solamente per riportare il medesimo nella casa di famiglia dove é iniziato tutto, tirare nuovamente il fratello in ballo (così da mandare all'aria tutto il lavoro fatto) e scoprire, o svelare finalmente, la verità dietro agli oscuri eventi legati alla loro infanzia.
La bellezza della pellicola di Flanagan si manifesta dietro alla sua struttura, a nostro avviso piacevolmente redatta ed in grado di mantenere il giusto mordente durante le prime fasi del film, fondamentali per coinvolgere lo spettatore e focalizzare l'attenzione verso gli eventi che verranno in seguito svelati.
Infatti é dal momento in cui il ritmo comincia ad aumentare, che si manifesta il gioco creato dal regista, giacché il film comincia a far saltare abilmente il filo temporale degli eventi dal passato al presente, in un continuo susseguirsi di flashback e flashforward che in alcuni casi addirittura si sovrappongono, trasmettendo al palcoscenico la confusione necessaria alla presenza demoniaca per confondere (tra realtà e inganno) non solo i poveri protagonisti, ma anche gli stessi spettatori che tentano di districare la matassa dietro agli eventi.
Purtroppo, però, non appena superata la fase culminante di questa gradevole onda, ci accorgiamo che il suo andamento diventa precariamente sinusoidale, poiché la caratteristica principale che viene a mancare é proprio la paura, elemento che in pellicole simili riesce a fare la differenza tra un prodotto riuscito ed un semplice blockbuster da intrattenimento casalingo.
Il problema dietro ad Oculus deriva, secondo noi, dalla mancanza di una buona colonna sonora, indispensabile per riuscire a ricreare quell'atmosfera votiva ed adatta ad un clima di terrore, espediente più riuscito nel recente “The Conjuring” di James Wan o, tanto per vagare in tema videoludico, nel buon “Outlast” della Red Barrels, dove la giusta mistura di protagonismo (rigorosamente disarmato di fronte agli eventi) ed ottime musiche riescono a creare il giusto compromesso tra immersività e distacco.
In questo caso, il film non consente dunque allo spettatore di provare sulla propria pelle le paure dei protagonisti ed allo stesso tempo estraniarsi dalla storia stessa allo scopo di tranquillizzarsi, cadendo di fatto all'interno di un circolo vizioso che secondo il nostro giudizio non consentirà di arrivare alla fine della pellicola pienamente soddisfatti.