Operazione Vendetta ha modeste ambizioni ma sa sorprendere, in positivo: la recensione del thriller con Rami Malek
Alle volte la chiave per la riuscita di un film è metterne esattamente a fuoco possibilità e ambizioni: Operazione vendetta sa esattamente quanto in alto puntare e riesce nell’impresa di essere interessante.

Sin dalla locandina promozionale, Operazione Vendetta trasmette al pubblico una sensazione precisa: quella di sapere con certezza di non essere un film di prima fascia, ardito e ambizioso, desideroso di stravolgere le menti e le vite dei suoi spettatori. C’è qualcosa di anzi remissivo, se non quasi anonimo, nell’immagine poco carismatica di Rami Malek scelta per il poster, nel titolo italiano che più generalista di così non si potrebbe, che riesce a essere anche meno intrigante dell’originale The Amateur. La vibrazione è quella di una pellicola straight to homevideo, i vecchi film di cassetta. È però in questa estrema consapevolezza delle sue risorse, nell’estrema coerenza e onestà con cui le impiega e comunica col pubblico che Operazione Vendetta trova la sua dimensione di esistere di essere un film dignitoso e godibile, sorprendendo in positivo.
La pellicola è l’adattamento di un romanzo di successo di Robert Littell, che parte da uno dei più abusati stereotipi letterali legati al genere del thriller, tentando di inserire un elemento dissonante e in grado di dargli una sua specificità. Ci troviamo di fronte al classico esempio di marito devastato dalla morte dell’amatissima moglie, tanto da essere disposto a stravolgere la sua vita per mettere in piedi la sua operazione volta a a vendicarsi di quanti hanno causato la morte di lei: Operazione Vendetta, appunto. Siamo dalle parti di Liam Neeson, Keanu Reeves in John Wick, in una certa misura persino Marco Giallini in Rocco Schiavone.
Operazione Vendetta punta su un protagonista inconsueto per un thriller di vendetta
Solo che, pur lavorando nel quartier generale della CIA a Langley, Charlie (Rami Malek) non è esattamente materiale da spionaggio, corpo a corpo e sparatorie. Qui entra in gioco un typecasting che funziona davvero: Rami Malek infatti questo ruolo sembra idealmente continuare il lavoro fatto su Mr. Robot, tornando a vestire i panni di una persona la cui estrema intelligenza analitica e le capacità di sfruttare la tecnologia a proprio piacimento si combinano con l’estrema difficoltà a gestire relazioni e rapporti umani. Charlie ci viene descritto come un tipo tranquillo e anzi abbastanza remissivo, sepolto in uno dei piani sotterranei del quartier generale di Langley, impegnato a scovare informatori e verificare dati ricevuti da altri reparti.
Un passaggio particolarmente riuscito del film è quello che ne descrive il rapporto con la moglie dolce ed espansiva, interpretata dall’ex Mrs Maisel Rachel Brosnahan. Noto più che altro per la sua lunga esperienza in produzioni d’azione, James Hawes riesce a costruire un momento di perfetta, dolcissima intimità familiare per i due. Lui ha paura di volare, lei cerca di convincerlo a seguirla a Londra. Si sentono per telefono, lei gli lascia un mazzo di fiori per ricordarsi di lei mentre è via. Lui traccia la sua posizione per assicurarsi che stia bene e lei, divertita, ci scherza su, consapevole delle ansie del marito.
Ansie confermate nel peggiore dei modi: un commando prende degli ostaggi nell’albergo in cui si trova la donna e la moglie di Charlie è una delle vittime. Di fronte all’inattività dei suoi stessi superiori e a sospetti di coinvolgimenti diretti e insabbiamenti delle indagini, Charlie decide di diventare un rogue, di prendersi direttamente la sua vendetta. Nel farlo trova il modo di costringere il dipartimento ad addestrarlo.
È esattamente il punto di partenza di American Assassin, fortunatissima serie di romanzi diventata un film (flop) con protagonista Dylan O’Brien. Non che Operazione Vendetta si muova in territori propriamente realistici, ma riesce con una certa verosimiglianza a stabilire la premessa della sua storia: Charlie non sarà mai un assassino, o quantomeno, non è il tipo di persona che riesca a sparare a sangue freddo a un altro essere umano, anche se ha provocato la morte di sua moglie. Proprio non ce l’ha nel sangue, nel suo sistema, per non parlare del fatto che il suo fisico esile e non allenato non è fatto per tenere testa a sicari professionisti.
Il che non vuol dire che non abbia le potenziale per uccidere gli assassini della moglie, anzi. Il film è tutto costruito su questa sfida: Charlie che usa la tecnologia, la sua bravura con i numeri e la scienza dura per escogitare modi per stanare i terroristi in fuga e metterli alle strette, spingendoli in una direzione che dia loro una minima possibilità di salvarsi e ritagliando per sé il ruolo di giustiziere che si palesa all’ultimo per spiegare ai criminali perché stanno per morire, da chi sono stati battuti, chi viene vendicato. Operazione Vendetta sta tutto lì, nella creatività con cui s’inventa modi per spingere il protagonista a uccidere e al contempo a sfuggire al generale dell’esercito (Lawrence Fishburne) che è stato messo sulle sue tracce per fermarlo.
La sua trama non è propriamente realistica, ma è gestita con abbastanza coerenza interna da portare a casa il risultato partendo dalle premesse. Questo anche perché James Hawes scegli un tono malinconico, teso, che rifugge dalle roboanti esagerazioni e che ben si abbina con la ricerca di una certa plausibilità di fondo. Il regista della prima stagione di Slow Horses si muove a Londra e in altri scenari internazionali classici per il mondo dello spionaggio con bravura e solidità registica, portandosi dietro un cast di personalità molto brave e in generale molto sottoutilizzate al cinema (Caitríona Balfe, Jon Bernthal, Michael Stuhlbarg, Holt McCallany, Julianne Nicholson, Adrian Martinez, Danny Sapani), che purtroppo anche qui possono mostrare solo in parte i propri talenti, dato che gli viene riservato uno spazio limitato. Un cast ben scelto, sempre all’insegna di una sorta di typecasting che funziona, come quello di Malek. Impossibile per esempio vedere la scena madre di Michael Stuhlbarg e non intuire che a ispirare la produzione verso il suo nome sia stato il monologo paterno finale di Chiamami col tuo nome.